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Coltivatore incapace? Non c'è reato (Cass. pen., 24732/15)

11 giugno 2015, Corte di Cassazione

Nel reato di coltivazione di sostanza stupefacente rileva (e va verificato nel caso concreto) l'effettiva offensività della condotta di coltivazione, sopratutto se le piantine sono in cattivo stato vegetativo.

Corte di Cassazione

sentenza IV 13 maggio ? 11 giugno 2015, n. 24732

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'appello di Caltanissetta, con sentenza del 29/10/2013, ha confermato l'affermazione di responsabilità di M.A. per il reato di cui all'art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, relativo alla coltivazione di cannabis indica, pronunciata dal Tribunale di Nicosia.


2. La difesa di M. deduce violazione dell'art. 606 comma 1 lett.b) ed e) cod.proc.pen. con riferimento all'applicazione della fattispecie incriminatrice in situazione in cui, come nella specie, l'entità del principio attivo complessivo non supera la dose media giornaliera, e manca la prova della destinazione della sostanza alla cessione, situazione che esclude l'offensività della condotta, che va accertata in concreto e non risulta ricavabile dalla modalità dell'azione.
3. Con ulteriore motivo si sottolinea l'illogicità della motivazione, che ha posto in rilievo la potenzialità di sviluppo della capacità drogante, in luogo che limitarsi a valutare il dato oggettivo riscontrato.

Considerato in diritto

1. II ricorso è fondato.

2. Deve ricordarsi che la sentenza delle sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239921) ha chiarito che, con riferimento alla condotta di coltivazione, non assume alcun rilievo la destinazione ad uso personale della sostanza, sicché la circostanza sottolineata dalla difesa che le dosi potenzialmente ricavabili dal materiale in sequestro fosse quantificabile al di sotto della dose media giornaliera non è dirimente al fine di escludere l'accertamento del reato.

Quel che rileva, e che non appare verificato nel concreto, è l'effettiva offensività della condotta di coltivazione contestata che risulta eseguita, sulla base delle acquisizioni in atti, attraverso il possesso di quattro piantine in vaso alte al massimo 25 cm, in cattivo stato vegetativo.

Invero, come è agevolmente ricavabile dal complesso delle decisioni in argomento, il differente e più rigoroso trattamento della condotta di coltivazione rispetto a quella di materiale detenzione della sostanza pronta per l'uso è individuabile esclusivamente nella potenzialità lesiva della prima, poiché essa è direttamente connessa alla presenza di ulteriori sviluppi, e risulta, almeno in via astratta, idonea ad ampliare la possibilità di diffusione della sostanza.

Ne consegue che il richiamo all'offensività cui l'interpretazione si riferisce vada concretizzato con la valutazione di tale aspetto tipico della condotta che deve essere idealmente prospettata con riferimento alle sue possibilità future, al fine di poterne verificare la concreta lesione del bene giuridico tutelato.

Al contrario nel caso concreto, a fronte di allegazioni sul cattivo stato di coltivazione, potenzialmente incidenti proprio su tale aspetto, ove tale condizione irreversibilmente incideva sulle prospettive di accrescimento, non risulta affrontata alcuna analisi da parte del giudice del merito, che si è limitato correttamente ad escludere la rilevanza dei numero delle dosi ricavabili al momento del controllo, ma non ha svolto alcuna valutazione prospettica della situazione verificata, ed ha così omesso un accertamento rilevante al fine di configurare l'antigiuridicità della condotta.

La circostanza evidenziata, ponendo in dubbio l'accertamento dell'antigiuridicità della condotta, impone l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Caltanissetta, per nuovo esame sul punto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Caltanissetta.