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Condanna in contumacia e mandato arresto europeo (Cass., 51773/13)

23 dicembre 2013, Cassazione penale

In tema di decorrenza del termine per contestare la sentenza contumaciale in un procedimento di mandato di arresto europeo, una volta appresa l'esistenza del procedimento, il condannato - salvi i casi di formaza maggiore o caso fortuito - non può procrastinare il termine di decadenza stabilito dalla legge al fine di beneficiare della restituzione nel termine per proporre impugnazione.

Il termine per richiedere la remissione in ermini ex art. 175 c.p.p. decorre quindi dall'esecuzione del MAE e non dall'effettiva consegna in Italia.

 

Cassazione penale

sez. I, sent.23.12.2013 ud. 26/11/2013),n. 51773

sentenza

sul ricorso proposto da:

K.A. N. IL (OMISSIS);

avverso l'ordinanza n. 787/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del 15/01/2013;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;

lette le conclusioni del PG Dott. CESQUI Elisabetta che ha chiesto l'annullamento del provvedimento impugnato e la restituzione nel termine per proporre ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Milano in data 5 dicembre 2011.
Svolgimento del processo

1. Con ordinanza resa in data 15 gennaio 2013, la Corte di Appello di Milano respingeva l'istanza di restituzione in termini presentata il 23 agosto 2012 nell'interesse di K.A. e dichiarava irrevocabile a far data dal 20 marzo 2012 la sentenza di condanna n. 4954 emessa dalla stessa Corte territoriale il 5 dicembre 2011 nel procedimento n. 5331/2010 R.G. C. App. Quanto all'istanza difensiva principale, mirante ad ottenere la declaratoria di nullità delle notifiche e la conseguente non esecutività della citata sentenza n. 4854/2011, osservava la Corte che, per quanto emergeva dagli atti, del tutto corretta doveva considerarsi la vocatio in ius del K. secondo le forme dell'art. 165 c.p.p. , in presenza di un decreto di latitanza ritualmente emesso alla stregua di vane ricerche della persona.

Quanto all'istanza subordinata di rimessione in termini, risultava dagli atti che il K. aveva avuto notizia del procedimento soltanto il 14 giugno 2012, quando venne sottoposto in Irlanda a misura cautelare equivalente all'obbligo di presentazione alla P.G., contestualmente alla notifica del Mandato di Arresto Europeo.

Dunque, da tale data decorreva il termine di trenta giorni entro il quale il predetto aveva l'onere di attivarsi per chiedere la restituzione nel termine.

La contraria opinione difensiva, secondo cui in tale termine egli aveva avuto conoscenza del procedimento, ma non anche del provvedimento, era esatta, ma non teneva conto del fatto che, una volta reso edotto dell'esistenza del procedimento, il condannato non può procrastinare il termine di decadenza stabilito dalla legge al fine di beneficiare di una restituzione nel termine per proporre impugnazione. La stessa difesa dava atto di aver ricevuto il mandato dal K. in data 25 luglio 2012, confermando così il superamento del termine di trenta giorni dal 14 giugno precedente.

Da ciò conseguiva la tardività della richiesta di restituzione nel termine avanzata ex art. 175 c.p.p..

2. Ricorre per cassazione avverso la citata ordinanza il K., per il ministero del suo difensore, lamentando "inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 175 c.p.p. , comma 2-bis in relazione all'art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. b) e c) e contestuale mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. c)".

Secondo il ricorrente, la Corte di Appello di Milano aveva disatteso la lettera dell'art. 175 bis c.p.p. facendo decorrere il termine di decadenza per proporre istanza restitutoria dal 14 giugno 2012 - giorno in cui il K. aveva avuto conoscenza di un procedimento formalmente in corso - e non dal 2 agosto 2012, data in cui il medesimo, dopo aver incaricato il difensore di accertare la propria posizione giuridica in Italia, aveva avuto ufficialmente contezza della definizione con sentenza irrevocabile del procedimento per cui gli era stato notificato il M.A.E..

Erronea e non condivisibile era l'interpretazione offerta dalla Corte nell'affermare che, una volta appresa l'esistenza del procedimento, il condannato non possa procrastinare il termine di decadenza stabilito dalla legge per beneficiare di una restituzione nel termine per proporre impugnazione.

Invero - prosegue il ricorrente - i trenta giorni previsti dall'art. 175 c.p.p. , comma 2-bis decorrono da quello in cui l'imputato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento e non semplicemente del procedimento: secondo l'intenzione del legislatore, finchè un soggetto non è informato dell'avvenuta emissione di una sentenza di condanna irrevocabile, non può nemmeno ritenere di dover proporre istanza restitutoria per impugnare la sentenza medesima.

Egualmente erronea era l'affermazione della Corte territoriale secondo cui, appena avuto contezza dell'esistenza del procedimento, l'imputato avrebbe avuto l'onere di attivarsi per proporre la richiesta di restituzione nel termine.

Al più, secondo il ricorrente, si sarebbe potuto ipotizzare il generico onere per l'imputato reso edotto del procedimento di attivarsi per accertare se quel procedimento si fosse o meno concluso con sentenza definitiva, onere cui, in concreto, il K. aveva assolto provvedendo, all'uopo, ad incaricare un difensore italiano in data 25 luglio 2012.

Da quanto argomentato, andava dedotta anche la manifesta contraddittorietà- illogicità della motivazione.

La Corte, infatti, individuata nel 14 giugno 2012 la data di conoscenza, da parte del K., di un procedimento a suo carico, aveva illogicamente fissato in tale momento l'inizio della decorrenza del termine ex art. 175 c.p.p. , anzichè farlo decorrere dal giorno in cui l'interessato aveva avuto contezza del provvedimento.

Conclude il ricorrente per l'annullamento dell'ordinanza.

3. Nella sua requisitoria scritta, il Procuratore Generale rileva come la Corte milanese, nell'impossibilità di equiparare la notifica di un provvedimento custodiale emesso nel corso delle indagini alla conoscenza del provvedimento conclusivo del giudizio in grado di appello, abbia forzato l'interpretazione della norma, ricavandone un onere di attivazione del destinatario del provvedimento da assolversi nei termini decadenziali previsti dall'art. 175 c.p.p. , comma 2-bis che devono, invece, ritenersi di stretta interpretazione.

Osserva, inoltre, il P.G. che per costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, l'ordine di esecuzione è l'atto ritenuto idoneo a costituire conoscenza effettiva della sentenza e a far decorrere i trenta giorni utili per la richiesta di restituzione, poichè dallo stesso è possibile evincere i dati essenziali che consentono l'individuazione del provvedimento e del suo dispositivo senza che sia necessario che l'interessato debba avere la materiale disponibilità dell'atto.

Tale condizione non è, tuttavia, soddisfatta dalla sola notifica di un provvedimento cautelare emesso in corso di indagini.

Conclude, pertanto, il P.G. per l'annullamento dell'ordinanza impugnata e la restituzione nel termine in favore del K. per impugnare la sentenza della Corte di Appello di Milano n. 4954/2011.


Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va, perciò, rigettato.

L'art. 175 c.p.p. , comma 2, come sostituito dalla L. 22 aprile 2005 n. 60 , di conversione del D.L. 21 febbraio 2005 n. 17 , stabilisce che, ove sia stata pronunciata sentenza contumaciale, l'imputato sia restituito, a sua domanda, nel termine per proporre impugnazione, a meno che non si accerti che egli abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento oppure del provvedimento ed abbia, volontariamente, rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione.

Si è già chiarito (Sez. 4, sent. n. 23137 del 14 maggio 2008, Mostardini, Rv. 240311; Sez. 6, sent. n. 2718 del 16 dicembre 2008, dep. il 21 gennaio 2009, Holczer, rv. 242430; Sez. 3, sent. 9940 del 12 novembre 2009, dep. l'11 marzo 2010, Loi, Rv. 246225; Sez. 2, sent. n. 9776/2013, El Badaoui, Rv. 254826; Sez. 3, ordinanza n. 28914 del 20 febbraio 2013, Tonutti, Rv. 255591) che, agli effetti dell'accertamento della non "effettiva conoscenza" e degli altri presupposti "volontari" indicati e pretesi dalla norma per ottenere la restituzione, è l'Autorità Giudiziaria richiesta che deve compiere ogni necessaria verifica, considerato che la legge in questione ha introdotto una sorta di presunzione iuris tantum di non conoscenza, ponendo a carico del Giudice l'onere di reperire negli atti l'eventuale prova contraria e, più in generale, di effettuare tutte le verifiche occorrenti al fine di accertare se il condannato abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento ed abbia volontariamente rinunciato a comparire.

Si è aggiunto che la ratio dell'intervento legislativo che ha novellato l'art. 175 c.p.p. , è da ravvisare nella necessità di adeguare la legge processuale ai principi della Convenzione dei diritti dell'uomo e di riformare il previgente regime di restituzione in termini, già giudicato reiteratamente dalla Corte di Giustizia europea come contrastante con il diritto dell'accusato alla effettiva conoscenza dell'accusa e del processo, ad essere presente, a conoscere la decisione finale e, in difetto, ad ottenere una nuova sede giurisdizionale per la verifica della fondatezza dell'accusa.

Ferma restando la presunzione iuris tantum di non conoscenza dell'atto in questione da parte dell'imputato contumace, il riferimento contenuto nell'art. 175 c.p.p. , comma 2 all'onere dell'Autorità Giudiziaria di compiere ogni necessaria verifica evoca necessariamente un corrispondente onere di allegazione di circostanze rilevanti ad hoc, suscettibili di verifica da parte dell'A.G., a carico del soggetto interessato ad ottenere la rimessione in termini per l'impugnazione della stessa sentenza contumaciale (v., tra le altre, Sez. 2, sent. n. 12791 dell'8 marzo 2011, Rv. 249677).

Lo stesso onere, evidentemente, grava sull'imputato che, come il ricorrente, abbia scelto di restare latitante, sottraendosi così alla giustizia (Sez. 1, sent. n. 6607 del 5 febbraio 2008, Pala, Rv.239369; Sez. 5, sent. n. 14882 del 26 novembre 2009, dep. il 19 aprile 2010, Ben Hassine, Rv. 246858).

Tale regola non è un puro formalismo, essendo finalizzata ad evitare che le situazioni processuali possano essere prolungate in uno stato di incertezza all'infinito.

Ciò detto, dalla lettura del provvedimento impugnato si rileva che il K. era stato dichiarato latitante dal GIP di Milano, nell'ambito del proc. n. 806/99 R.G.N.R., in data 4 aprile 2008 e, in tale qualità, aveva ricevuto, presso il difensore d'ufficio ex art. 165 c.p.p. , la notifica del decreto di citazione a giudizio (emesso il 10 marzo 2009), l'estratto contumaciale della sentenza di primo grado (emessa il 22 dicembre 2009), il decreto di citazione per il giudizio di appello e, infine, l'estratto contumaciale della sentenza di secondo grado emessa il 5 dicembre 2011 (notifica del 2 febbraio 2012).

Dagli atti del procedimento emerge - come detto nella esposizione in fatto - che il K. fu informato del procedimento in data 14 giugno 2012, ossia quando gli fu notificato il M.A.E. del 19 giugno 2008 fondato su ordinanza cautelare resa dal GIP milanese il 17 settembre 2007 e gli fu contestualmente applicata una misura assimilabile all'obbligo previsto dall'art. 282 c.p.p..

Il ricorrente nominò, quindi, in data 25 luglio 2012 un difensore di fiducia per accertare la sua posizione giudiziaria in Italia e apprese solo il 2 agosto successivo dell'irrevocabilità della sentenza pronunciata sui fatti oggetto del M.A.E..

La Corte di Appello di Milano ha giudicato tardiva l'istanza presentata nell'interesse del ricorrente il 23 agosto 2012, poichè aveva violato il termine decadenziale di trenta giorni fissato dall'art. 175 c.p.p. , termine che doveva farsi decorrere dal 14 giugno 2012 (data di conoscenza del procedimento) e non, come sostenuto dalla difesa, dal 2 agosto 2012 (data di conoscenza del provvedimento), in quanto dal 14 giugno il K. avrebbe potuto richiedere notizie non solo sul procedimento, ma anche sul provvedimento.

Ha osservato la Corte territoriale che, una volta appresa l'esistenza del procedimento, il condannato non può procrastinare il termine di decadenza stabilito dalla legge al fine di beneficiare della restituzione nel termine per proporre impugnazione, evidenziando, che già la nomina del difensore di fiducia, officiato il 25 luglio 2012, era stata conferita dal condannato a più di un mese di distanza dalla conoscenza del procedimento.

Tale ragionamento della Corte di merito non è manifestamente illogico, nè determinante erronea applicazione dell'art. 175 c.p.p..

Il caso in esame presenta, infatti, delle peculiarità che convergono nel senso di dimostrare il mancato adempimento dell'onere di allegazione da parte del ricorrente e, conseguentemente, giustificano come adeguata la decisione impugnata che ha stabilito la decadenza del predetto dal termine di legge.

Si intende fare riferimento: alla lunga latitanza del K., protrattasi per circa un quadriennio prima di ricevere la notifica in Irlanda del M.A.E.; all'immediata possibilità di rilievo, dalla lettura del provvedimento cautelare notificatogli, della vetustà del provvedimento stesso (reso, come detto, dal GIP di Milano in data 17 settembre 2007) e dei fatti contestati con la conseguente ragionevole previsione della verosimile intervenuta definizione del procedimento nelle more; all'avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di condanna in data 20.3.2012, antecedente di circa tre mesi la data di conoscenza del procedimento.

In considerazione di tali specifiche connotazioni del caso, non risultano allegate da parte del ricorrente circostanze riconducibili al caso fortuito o alla forza maggiore che gli abbiano impedito di officiare tempestivamente (in un tempo ben inferiore ai 41 giorni decorsi dal 14 giugno al 25 luglio 2012) il difensore di fiducia alla scopo di informarsi della sua posizione giuridica in Italia, ragionevolmente e verosimilmente già definita.

Siffatta ingiustificata inerzia si traduce in una inammissibile discrezionalità lasciata all'imputato rispetto alla scelta del momento in cui prendere cognizione del provvedimento impugnato, sulla base della propria convenienza, discrezionalità che si pone in contrasto con il fondamentale principio della ragionevole durata del processo.

Per le esposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2013