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Dire la verità non costituisce diffamazione (Cass. civ., sent. 22600/13)

3 ottobre 2013, Corte di Cassazione

La lesione dell'onore e della reputazione altrui non si verifica quando la diffusione a mezzo stampa delle notizie costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca, condizionato all'esistenza dei seguenti presupposti: la verità oggettiva o anche solo putativa dei fatti riferiti, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, tenuto conto della gravità della notizia pubblicata; l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. pertinenza); la correttezza formale dell'esposizione (c.d. continenza).

Corte di Cassazione,

sez. III Civile, sentenza n. 22600/13; depositata il 3 ottobre 2013

(..)

Giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, nell'azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l'apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell'altrui reputazione e la configurabilità o l'esclusione dell'esimente del diritto di cronaca o di critica, costituiscono accertamenti di fatto riservati al giudice di merito ed incensurabili in sede di legittimità se sorretti da motivazione congrua ed esente da vizi logico-giuridici (v. Cass., 10/1/2012, n. 80; Cass., 8/8/2007, n. 17395; Cass., 1/8/2002, n. 11420).

Si è al riguardo in particolare precisato che la lesione dell'onore e della reputazione altrui non si verifica quando la diffusione a mezzo stampa delle notizie costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca, condizionato all'esistenza dei seguenti presupposti: la verità oggettiva o anche solo putativa dei fatti riferiti, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, tenuto conto della gravità della notizia pubblicata; l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. pertinenza); la correttezza formale dell'esposizione (c.d. continenza) (v. Cass., 20/10/2009, n. 22190).


Il limite della continenza connota anche il diritto di critica, il cui legittimo esercizio presuppone la rilevanza sociale dell'argomento trattato e la correttezza formale delle espressioni adoperate (v. Cass., 22/3/2012, n. 4545; Cass., 16/5/2008, n. 12420; Cass., 20/10/2006, n. 22527; Cass., 13/6/2006, n. 13646).

Il diritto di critica non si concreta, come quello di cronaca, nella narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio, o, più genericamente, in una opinione, come tale fondata su un'interpretazione dei fatti e dei comportamenti dal punto di vista di chi la manifesta.

È pertanto di carattere imprescindibilmente soggettivo, fermo restando che il fatto o il comportamento oggetto della critica deve corrispondere a verità, sia pure non assoluta bensì "ragionevolmente" putativa, per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive (v. Cass., 6/4/2011, n. 7847; Cass., 19/12/2006, n. 27141; Cass., 11/1/2005, n. 379).

Il diritto di critica giornalistica, come questa Corte ha già avuto occasione di porre in rilievo, può essere invero esercitato anche in modo "graffiante", purché vi sia peraltro proporzione tra l'importanza del fatto e la necessità della sua esposizione anche in chiave critica rispetto ai contenuti espressivi con i quali la critica è esercitata, non dovendo questa pertanto trascendere in attacchi e aggressioni personali diretti a colpire, sul piano individuale, la figura morale del soggetto criticato (v. Cass., 6/8/2007, n. 17180; Cass., 20/10/2006, n. 22527).

In tale quadro, il giudizio di legittimità è limitato alla verifica del rispetto, oltre che del suindicato canone della continenza, della congruità e della logicità dell'argomentazione posta dal giudice a base della decisione, rimanendo per converso precluso un nuovo e diverso accertamento del merito della controversia, la valutazione del contenuto degli scritti e l'apprezzamento della loro attitudine offensiva, nonché l'esclusione della sussistenza dell'esercizio del diritto di critica, sostanziandosi in accertamenti di fatto, apprezzamenti e valutazioni riservati al giudice del merito (v. Cass., 6/4/2011, n. 7847; Cass., 19/1/2010, n. 690; Cass. 8/8/2007, n. 17395; Cass., 15/2/2006, n. 3284).

In ordine alla configurabilità del legittimo esercizio del diritto di cronaca e del diritto di critica (che rispetto al primo consente l'uso di un linguaggio più pungente ed incisivo) si è nella giurisprudenza di legittimità in realtà delineata una sostanziale equiparazione di base dei presupposti, precisandosi che presupposti per il legittimo esercizio di entrambi sono:

a) l'interesse al racconto, ravvisabile quando anche non si tratti di interesse della generalità dei cittadini, ma di quello generale della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la pubblicazione di stampa;

b) la correttezza formale e sostanziale dell'esposizione dei fatti, nel che propriamente si sostanzia la c.d. continenza, nel senso che l'informazione di stampa non deve trasmodare in argumenta ad hominem né assumere contenuto lesivo dell'immagine e del decoro;

c) la corrispondenza tra la narrazione ed i fatti realmente accaduti, nel senso che deve essere assicurata l'oggettiva verità del racconto, la quale tollera, perciò, le inesattezze considerate irrilevanti se riferite a particolari di scarso rilievo e privi di valore informativo (v. Cass., 18/10/2005, n. 20140; e, conformemente, Cass., 22/3/2013, n. 7274).

Allorquando deve accertare la sussistenza del carattere diffamatorio di un fatto, il giudice è tenuto allora a rilevare tutte le circostanze allegate e provate, giacché l'eventuale configurabilità di un'esimente esclude il carattere diffamatorio del fatto (v. Cass., 30/1/2013, n. 2190).

Al fine di valutare se ricorrano eventuali cause di giustificazione, quali il diritto di cronaca, il diritto di critica e il diritto di satira, è allora necessaria la disamina dell'intero contesto in cui si inseriscono le espressioni censurate; solamente in tal modo può accertarsi se parole oggettivamente offensive conservino siffatto carattere una volta poste in connessione con quelle che le precedono e le seguono, considerato altresì il tono e lo spirito dell'intero scritto (come anche di valutare il caso opposto, se parole oggettivamente neutre non pervengano ad assumere valenza offensiva in ragione del contesto in cui sono inserite) (v. Cass., 10/1/2012, n. 80).