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Diritto di critica politica (Cass. pen., 48712/14)

24 novembre 2014, Cassazione penale

La critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica: quanto alla critica cd. politica, maggiore è il potere esercitato, maggiore è l'esposizione alla critica, che non può però risolversi in pure e semplici contumelie o, comunque, in frasi gratuitamente espressive di sentimenti ostili.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 settembre ? 24 novembre 2014, n. 48712
Presidente Bevere ? Relatore Lignola

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del Tribunale di Bari del 21 settembre 2011 M.V. era assolto perché il fatto non costituisce reato, dall'accusa di diffamazione a mezzo stampa perché, quale direttore responsabile del settimanale "Fax", nonché autore dell'articolo dal titolo "Solo" del 3 febbraio 2007, offendeva la reputazione di I.F. , sindaco del comune di Conversano, scrivendo, con riferimento a quest'ultimo, "all'occorrenza un altro consigliere da comprare lo troverà. Se non fosse così certo della disponibilità del mercato, non continuerebbe a fare cose di cui vergognarsi (...) Con lui tutto si può fare, tutto è consentito. Ha un'abilità straordinaria nel mettere a posto le carte, nel simulare legalità (...) Noi continuiamo a sperare che un giorno o l'altro qualche magistrato si interesserà seriamente a quanto ormai da più parti denunciano, sulle cose poco chiare che combina", aggiungendo che la maggioranza politica di cui I. faceva parte "fa solo gli affari propri" e che "anche per questo l'ufficio del sindaco si riempirà di consulenti asserviti che completeranno l'opera. Perché continuare a prestarsi a questo sporco gioco?".
Il Tribunale riteneva sussistere nel caso di specie la scriminante del diritto di critica politica, poiché, nell'articolo, l'informazione di partenza era data in modo corretta e le espressioni incriminate, per quanto "forti", non si traducevano in un'offesa gratuita alla persona in quanto tale, essendo le stesse manifestazione di una sia pur aspra critica politica.
2. La Corte d'appello di Bari, a seguito di impugnazione proposta dalla parte civile e dal pubblico ministero, riformava la sentenza di primo grado, condannando l'imputato alla pena di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile, escludendo la ricorrenza dell'esimente anche sotto il profilo putativo.
3. Propongono ricorso per cassazione i difensori dell'imputato, avv.ti Carmelo Piccolo e Giulio Stano, articolando due motivi di impugnazione.
3.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell'articolo 606, lettera B ed E, cod. proc. pen. in relazione agli artt. 51 e 59 cod. pen.: la critica, esprimendo un giudizio di valore, ha connotazioni soggettive e, poiché con essa si esprime un dissenso verso una certa realtà, con notazioni proprie di un attacco, non può essere richiesto al suo autore la stessa obiettività di chi si limiti alla cronaca.
Si richiama la giurisprudenza di questa Corte in materia di diritto di cronaca e di diritto di critica, con particolare riferimento alla critica politica, sottolineando come la scriminante venga meno solo laddove le argomentazioni, opinioni, apprezzamenti degenerino in attacchi personali o in manifestazioni gratuitamente lesive dell'altrui reputazione.
Laddove poi sia criticato un uomo pubblico, quale è il sindaco di Conversano, l'attacco personale è solamente quello che invada la sfera privata dell'uomo, evento che non si è mai verificato nel fatto contestato.
A sostegno di tale affermazione i ricorrenti richiamano un articolo pubblicato due mesi prima di quello incriminato, nel quale si precisava che le critiche erano rivolte al sindaco I. esclusivamente nel suo ruolo istituzionale; si ricorda che l'articolo in questione era un "editoriale"; che l'imputato e la parte civile erano amici, tanto che il primo sostenne il secondo al momento della candidatura, anche attraverso il settimanale "Fax"; che il titolo dell'editoriale e la premessa dell'articolo, ossia l'uscita dalla maggioranza consiliare di Ma.Fr. , si riferivano ad un fatto storico realmente accaduto, contrariamente a quanto affermato nella decisione impugnata.
Con riferimento al passaggio dell'articolo nel quale si richiama "l'acquisto" di altro consigliere, si contesta il senso attribuito dalla sentenza impugnata al verbo "comprare", che non implicava necessariamente un fatto corruttivo illecito, ma solamente la capacità del sindaco di rimpiazzare l'uscita di un consigliere, attingendo a quelli di opposizione, propensi a farsi sedurre in cambio di una contropartita politica.
Anche il richiamo alla "simulata legalità" dell'azione amministrativa del sindaco e l'auspicio di un intervento della magistratura, secondo la tesi dei ricorrenti, sono pienamente scriminati e non implicano, come erroneamente ritenuto dalla Corte barese, un attacco alla persona ed al professionista, soprattutto laddove si consideri che la stessa decisione impugnata riconosce che le critiche riguardano solo l'operato del sindaco nell'esercizio della sua attività amministrativa.
3.2 Con il secondo motivo si deduce violazione dell'articolo 606, lettera E, cod. proc. pen., per mancanza di motivazione in ordine all'elemento psicologico del reato, dovuta ad evidente travisamento di fatti decisivi ed all'omessa considerazione di circostanze rilevanti.
La Corte territoriale fonda l'affermazione del dolo sulle dichiarazioni rese dall'imputato in dibattimento, nelle quali egli avrebbe tentato di mistificare la realtà, e sull'assoluta mancanza di resipiscenza, omettendo di considerare il contesto in cui si inseriva l'articolo incriminato, rappresentato dai pregressi articoli pubblicati sul periodico, quali ad esempio quello del 25 novembre 2006, intitolato "Diavolo", del quale già si è detto.
4. Ha proposto ricorso anche il difensore della parte civile, avv. Domenico Conticchio, deducendo inosservanza dell'articolo 12 della legge numero 47 del 1948 e dell'art. 539, comma 2, cod. proc. pen., per mancanza di decisione sulla richiesta di riparazione pecuniaria, formulata nell'atto d'appello in aggiunta alla richiesta di risarcimento del danno, nonché sulla concessione di una provvisionale.
Con riferimento al primo aspetto si sottolinea che l'imputato si è mostrato sulle colonne del suo giornale felice e soddisfatto di essere stato condannato ad una sanzione penale di appena Euro 600 di multa, con un titolo a tutta pagina, appena 9 giorni dopo la condanna in appello.
5. Con memoria depositata in data 1 settembre 2014 la parte civile ha proposto motivi nuovi, ribadendo le censure già sviluppate nel ricorso principale ed allegando l'atto di costituzione di parte civile e le conclusioni di parte civile depositate sia in grado di appello, sia in primo grado.
6. Con un ulteriore memoria depositata in data 1 settembre 2014, la parte civile ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, per manifesta infondatezza o, in subordine, il rigetto dello stesso e la condanna alla rifusione delle spese di parte civile, per il grado di giudizio.
La parte civile richiama i passaggi principali dell'articolo incriminato, sottolineando la gratuità delle accuse, provata dalla loro genericità, che esclude la ricorrenza di qualsiasi scriminante. Si ricorda che la parte civile è un avvocato, in quanto tale obbligato al massimo rispetto della legge; che lo stesso imputato, nel corso del suo esame dibattimentale, ha ammesso di avere esagerato nel diritto di critica e le offese rivolte al sindaco di Conversano non fanno mai riferimento ad alcun fatto specifico, risolvendosi esclusivamente in offese alla sua persona.
7. Con una terza memoria depositata in data 1 settembre 2014, la parte civile sottolinea che non è intervenuta la prescrizione del reato per effetto del rinvio disposto il 12 maggio 2010 al 19 gennaio 2011, che ha comportato la sospensione della prescrizione per 8 mesi e 6 giorni, sicché la causa estintiva interverrà solo in data 8 aprile 2015.

Considerato in diritto

1. Il ricorso dell'imputato è infondato.
In punto di diritto va premesso che la sussistenza dell'esimente del diritto di critica presuppone, per sua stessa natura, la manifestazione di espressioni oggettivamente offensive della reputazione altrui, la cui offensività possa, tuttavia, trovare giustificazione nella sussistenza del diritto di critica (Sez. 5, n. 3047 del 13/12/2010 - dep. 27/01/2011, Belotti, Rv. 249708); l'esercizio del diritto in parola consente l'utilizzo di espressioni forti ed anche suggestive al fine di rendere efficace il discorso e richiamare l'attenzione di chi ascolta.
In via generale, in tema di esimenti del diritto di critica e di cronaca, la giurisprudenza di questa Corte si esprime ormai in termini consolidati nell'individuare i requisiti caratterizzanti nei requisiti dell'interesse sociale, della continenza del linguaggio e della verità del fatto narrato e in tale ottica ha evocato il parametro della attualità della notizia: nel senso cioè che una delle ragioni fondanti della esclusione della antigiuridicità della condotta lesiva della altrui reputazione è vista nell'interesse generale alla conoscenza del fatto ossia nella attitudine della notizia a contribuire alla formazione della pubblica opinione, in modo che ognuno possa fare liberamente le proprie scelte, nel campo della formazione culturale e scientifica (tra le ultime, Sez. 5, n. 39503 del 11/05/2012, Clemente, Rv. 254789).
2.1 Con riferimento specifico al diritto di critica politica, però, si osserva che il rispetto della verità del fatto assume rilievo limitato, necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010 - dep. 10/02/2011, Simeone e altri, Rv. 249239). Tale affermazione trova eco in una recente decisione della Corte Europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU, Sez. 2, 27/11/2012, Mengi v. Turkey, p.49), che distingue tra "giudizi di fatto" e di "valore", laddove mentre l'esistenza del fatto può essere soggetta a prova, il giudizio di valore non può esserlo, poiché la richiesta di dimostrare la verità di un giudizio di valore determina un evidente effetto dissuasivo sulla libertà di informare.
2.2 Il limite immanente all'esercizio del diritto di critica è, pertanto, costituito dal fatto che la questione trattata sia di interesse pubblico e che comunque non si trascenda in gratuiti attacchi personali (Sez. 5, n. 4031 del 30/10/2013 - dep. 29/01/2014, De Marzo, Rv. 258674; Sez. 5, n. 8824 del 01/12/2010 - dep. 07/03/2011, Morelli, Rv. 250218). Ove il giudice pervenga, attraverso l'esame globale del contesto espositivo, a qualificare quest'ultimo come prevalentemente valutativo, i limiti dell'esimente sono costituiti dalla rilevanza sociale dell'argomento e dalla correttezza di espressione (Sez. 5, n. 2247 del 02/07/2004 - dep. 25/01/2005, Scalfari, Rv. 231269; Sez. 1, n. 23805 del 10/06/2005, Rocchini, Rv. 231764).
2.3 Va poi tenuto conto della perdita di carica offensiva di alcune espressioni nel contesto politico, in cui la critica assume spesso toni aspri e vibrati e del fatto che la critica può assumere forme tanto più incisive e penetranti quanto più elevata è la posizione pubblica del destinatario (Sez. 5, n. 27339 del 13/06/2007, Tortoioli, Rv. 237260): ciò vale a dire che il livello e l'intensità, pur notevoli delle censure indirizzate a mò di critica a coloro che occupano posizioni di tutto rilievo nella vita pubblica, non escludono l'operatività della scriminante, poiché nell'ambito politico risulta preminente l'interesse generale al libero svolgimento della vita democratica (Sez. 5, n. 15236 del 28/01/2005, Ferrara, Rv. 232125).
Di conseguenza quanto maggiore è il potere esercitato, maggiore è l'esposizione alla critica, perché chi esercita poteri pubblici deve essere sottoposto ad un rigido controllo sia da parte dell'opposizione politica che dei cittadini (Sez. 5, n. 11662 del 06/02/2007, Iannuzzi, Rv. 236362, che ha fatto applicazione del principio con riferimento al giudizio sull'operato di un pubblico ministero, definito "sprovveduto" ed "incauto", in quanto la figura istituzionale del criticato - magistrato designato alla trattazione dibattimentale ed al coordinamento di indagini di grande rilievo sociale e criminale - rendeva legittima la critica giornalistica).

Tuttavia è sempre necessario che ci si trovi in presenza di critica e non di pure e semplici contumelie o, comunque, di frasi gratuitamente espressive di sentimenti ostili.

In una recente decisione di questa Sezione, riguardante una fattispecie non molto dissimile da quella oggetto del presente giudizio, si è rilevato che "il giudizio critico su di un avversario politico può anche essere formulato con parole che - decontestalizzate - costituirebbero meri insulti, ma che, viceversa, riferite a determinate vicende e/o situazioni, possono essere lette come sintetico giudizio negativo sull'operato del predetto avversario", ma le espressioni offensive devono essere "pronunziate nell'ambito di una polemica politica avente attinenza con il contenuto dell'addebito denigratorio" (Sez. 5, n. 7626 del 04/11/2011 - dep. 27/02/2012, De Simone, Rv. 252160).


3. La sentenza impugnata ha fatto corretto uso dei principi enunciati da questa Corte in materia di critica politica.
Nella concreta fattispecie, pur partendo da un fatto storico vero (l'uscita dalla maggioranza di un consigliere comunale), l'articolista formula una serie di attacchi del tutto generici, con l'uso di termini oggettivamente e gratuitamente offensivi.
Si pensi al riferimento alla compravendita di un consigliere, che sottende l'acquisizione del consenso di avversari politici "a pagamento" e non attraverso la pesuasione e mediazione politica, oppure alla paventata abilità nel "simulare legalità", che richiama alla mente lo svolgimento di pratiche illegali, accusa certamente grave per un amministratore di un ente locale. O ancora l'auspicio di di un intervento della magistratura a sanzionare le "cose poco chiare che combina" ed il generico riferimento a "consulenti asserviti".
Tutte queste espressioni non possono essere scriminate dal diritto di critica poiché, pur riferendosi all'attività amministrativa, non si collegano a specifici episodi narrati nell'articolo, per cui finiscono con l'essere generiche censure, all'individuo e non alla sua dimensione politica.
3.1 L'intento manifestato nel precedente articolo del 25 novembre 2006, intitolato "Diavolo", non muta i termini della questione, poiché, oltre alla corretta considerazione della Corte territoriale, per la quale il periodico era indirizzato ad una platea indeterminata di lettori, i quali potevano non aver letto il precedente editoriale (né gli eventuali altri articoli, contenenti censure più puntuali all'attività del sindaco), non può accettarsi l'idea che un giornalista possa precostituirsi una sorta di patente di impunità, dichiarando di volersi limitare alla critica delle scelte del soggetto pubblico nell'attività istituzionale, salvo poi disattendere in seguito questo programma (come appunto è avvenuto nel caso di specie).
3.2 Alla luce di quanto fin qui detto, deve rilevarsi l'infondatezza del primo motivo di ricorso, per la non operatività nel caso di specie del diritto di critica.
4. Anche il secondo motivo, però, riguardante l'elemento soggettivo del reato, è infondato, al limite dell'inammissibilità.
Quanto all'articolo del 25 novembre 2006, va ribadito quanto detto a proposito del primo motivo di ricorso.
4.1 Più in generale va ricordato che, ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di diffamazione, non si richiede che sussista l'?animus iniurandi vel diffamandi", essendo sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto è sufficiente che l'agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell'agente (Sez. 5, n. 4364 del 12/12/2012 - dep. 29/01/2013, Arcadi, Rv. 254390). Nel caso di specie la decisione impugnata offre una specifica motivazione sulla in punto di elemento soggettivo del reato, laddove indica la genericità delle accuse e l'uso di termini particolarmente duri come elementi che impediscono logicamente di escludere - anche solo in termini di ragionevole e insuperabile dubbio - che l'imputato si sia rappresentata l'offensività della comunicazione.
4.2 In conclusione il ricorso dell'imputato va rigettato, con conseguente condanna dello stesso, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
4.3 Deve escludersi l'intervenuta prescrizione del reato, che la difesa dell'imputato per la verità non ha invocato, per non essere decorso interamente il termine di sette anni e sei mesi, previsto dagli artt. 157 e 161 cod. pen., che viene a scadere il 10 aprile 2015 (tempus commissi delicti il 3 febbraio 2007), poiché va considerata la sospensione della prescrizione per 8 mesi e 7 giorni, per effetto del rinvio dell'udienza disposto su richiesta delle parti il 12 maggio 2010, al 19 gennaio 2011, ai sensi dell'art. 159, comma 2, cod. pen..
5. Passando all'esame del ricorso della parte civile, si rileva che il primo motivo è fondato.
Effettivamente nell'atto di costituzione I.F. aveva richiesto la condanna alla sanzione della riparazione pecuniaria prevista dall'art. 12 della legge n. 47 del 1948, quantificata in 100.000Euro in sede di conclusioni, sia davanti al Tribunale, sia davanti alla Corte d'appello.
La Corte territoriale, però, pur affermando la responsabilità penale del M. e pronunciando sentenza di condanna al risarcimento dei danni, ha omesso di considerare tale ulteriore richiesta; pertanto la sentenza va annullata sul punto dell'omessa pronuncia ex art. 12 legge 47 del 1948, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, attesa la natura civilistica della sanzione.
5.1 Ai sensi dell'art. 12 della legge sulla stampa "Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può richiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell'articolo 185 del codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell'offesa ed alla diffusione dello stampato".
La natura civilistica della sanzione, affermata da una giurisprudenza non recente, ma mai avversata (Sez. 5, n. 2435 del 19/01/1993, Bonaga, Rv. 193806; Sez. 5, n. 12890 del 13/04/1989, Corsi, Rv. 182149), si desume dal riferimento ai parametri della "gravità dell'offesa" e della "diffusione dello stampato" e cioè ad aspetti obiettivi, rapportabili non solo al fatto dell'autore dello scritto, ma proprio all'entità del danno cagionato dalla pubblicazione, conseguenza apprezzabile ai fini civili, cui si ricollega già l'articolo 185, comma 2, cod. pen..
5.2 La giurisprudenza civile di questa Corte (Sez. 3, n. 6490 del 17/03/2010, Rv. 612225; Sez. 3, n. 14761 del 26/06/2007, Rv. 597920) ha qualificato la riparazione pecuniaria come una "pena privata", introdotta per rafforzare la sanzione penale, che va ad aggiungersi al risarcimento del danno (patrimoniale e non patrimoniale) e che presuppone l'accertamento degli elementi costitutivi, che può peraltro essere compiuto anche dal giudice civile; ciò si desume dai lavori preparatori della L. n. 47 del 1948, che fu approvata dalla Assemblea Costituente.
6. Con riferimento al mancato riconoscimento di una provvisionale, poi, occorre rilevare che le decisioni in tema di provvisionale, non necessariamente motivate, per la loro natura discrezionale e meramente delibativa, non sono suscettibili di impugnazione in sede di legittimità (Sez. 5, Sentenza n. 32899 del 25/05/2011, Mapelli, Rv. 250934; Sez. 4, n. 34791 del 23/06/2010, Mazzamurro, Rv. 248348; Sez. 5, sent. n. 40410 del 18/3/2004, Rv. 230105, Farina ed altri), in quanto non hanno valore vincolante di giudicato, in sede civile, essendo destinate ad essere travolte - per il loro carattere di provvisorietà, dalle statuizioni definitive sul risarcimento del danno (Sez. 4, n. 36760 del 04/06/2004, Cattaneo, Rv. 230271).
Con riferimento a tale censura, allora, il ricorso va rigettato.
Sulle spese in favore della costituita parte civile I. si provvederà all'esito del giudizio rescissorio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso dell'imputato che condanna al pagamento delle spese processuali. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla omessa pronuncia ex art. 12 legge 47/48 con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Rigetta nel resto il ricorso della parte civile.