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Estradizione di cittadino italiano (Cass. 3921/16)

29 gennaio 2017, Cassazione penale e Nicola Canestrini

Nei confronti di un cittadino italiano l'estradizione può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali. Infatti, in base all'art. 26 Cost. e art. 13 c.p. , nel nostro sistema giuridico vige il divieto di estradizione extraconvenzionale del cittadino e la possibilità di concedere l'estradizione del cittadino è subordinata alla condizione dell'esistenza di un trattato tra gli Stati che la consenta.

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

sentenza dd. 29.01.2016, n. 3921

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MILO Nicola - Presidente -

Dott. CARCANO Domenic - Consigliere -

Dott. FIDELBO G. - rel. Consigliere -

Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere -

Dott. PATERNO' RADDUSA Benedet - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

procuratore generale presso la Corte d'appello di Genova;

avverso la sentenza del 19 giugno 2015 emessa dalla Corte d'appello di Genova;

nel procedimento di estradizione nei confronti di:

M.H.D.A., nato a (OMISSIS);

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

sentita la relazione del consigliere Giorgio Fidelbo;

udito il sostituto procuratore generale Mario Pinelli, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio;

udito l'avvocato Pischedda Ennio, che ha insistito per la conferma della sentenza impugnata.
Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d'appello di Genova ha dichiarato non sussistenti le condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione presentata dall'autorità giudiziaria colombiana nei confronti di M.H.D.A., indagato per i reati di omicidio plurimo aggravato e associazione per delinquere previsti dagli artt. 103 e 104 cod. pen. colombiano, reati commessi nel corso del (OMISSIS) e per i quali risulta emesso il mandato di cattura internazionale del 31.5.2014.

Dalla documentazione trasmessa dall'autorità richiedente si apprende che il M. è accusato di aver fatto parte, con un grado elevato, delle Milizie AUC (Autodefensas Unidas de Colombiano), una organizzazione paramilitare illegale, e di aver partecipato, con un gruppo armato di circa 200-300 uomini appartenenti a tali Milizie, ad una irruzione compiuta in località (OMISSIS) in cui furono uccise ventuno persone ritenute collaboratori delle contrapposte forze insurrezionaliste della guerriglia, le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia). L'obiettivo delle Milizie AUC sarebbe stato quello di ottenere il dominio territoriale su quelle zone attraverso l'eliminazione fisica dei guerriglieri e così impadronirsi della coltivazione della coca per poterla commercializzare.

La Corte d'appello, dopo aver premesso che il M. ha anche la cittadinanza italiana e che non esiste alcun trattato di estradizione tra l'Italia e la Colombia, ha censurato la tesi della procura generale genovese, secondo cui la domanda di estradizione sarebbe basata su fonti convenzionali, e ha escluso che a fondamento della richiesta di consegna possano essere poste la Convenzione ONU del 20 dicembre 1988 sul traffico illecito di stupefacenti e quella di New York, adottata dall'Assemblea Generale ONU nel 2000, sulla criminalità organizzata transnazionale.

Pertanto, in considerazione dell'inesistenza di un trattato bilaterale di estradizione con la Colombia e considerata la cittadinanza italiana del M., i giudici hanno respinto la domanda di estradizione, disponendo l'immediata liberazione dell'estradando e la restituzione di quanto in sequestro.

2. Contro questa sentenza ricorre per cassazione il procuratore generale presso la Corte d'appello di Genova, che, preliminarmente, ripropone la tesi secondo cui l'estradizione sarebbe concedibile sulla base formale delle due Convenzioni ONU del 1988 e del 2000, in quanto i reati attribuiti al M., se inseriti nello specifico contesto in cui sarebbero stati realizzati, risultano strettamente funzionali sia al traffico di stupefacenti, sia ad una dimensione transnazionale.

Il ricorrente censura la decisione impugnata, rilevando che la stessa Corte d'appello, decidendo in sede cautelare, aveva ritenuto che i reati contestati fossero finalizzati anche alla presa di possesso delle coltivazioni di coca e alla successiva commercializzazione della sostanza, circostanza da cui aveva desunto il carattere transnazionale dell'attività criminosa.

Rileva anche una contraddizione nella motivazione che appare del tutto incoerente rispetto alle informazioni richieste all'autorità colombiana.

Assume che la Corte territoriale abbia del tutto omesso di considerare la possibilità di utilizzare la norma di chiusura contenuta nell'art. 3, p.1, lett. a), 5 cpv. della Convenzione ONU del 1988, in base alla quale ritenere che i reati contestati al M. erano funzionali allo svolgimento delle attività illegali della coltivazione della coca e della conseguente produzione di stupefacenti.

Inoltre, il ricorrente rileva il travisamento della prova in cui sarebbe incorsa la Corte fondando il suo convincimento sulla risposta fornita dall'autorità colombiana che ha escluso che il M. fosse indagato in altri procedimenti per narcotraffico: in realtà, una tale precisazione appare del tutto irrilevante, in quanto ciò che i giudici genovesi avrebbero dovuto accertare riguarda solo la propedeuticità dei reati rispetto alla coltivazione e commercializzazione dello stupefacente. In ogni caso, non sarebbero state neppure prese in considerazione le note dell'Interpol che, invece, riferivano di procedimenti a carico dell'estradando per traffico di stupefacenti e riciclaggio.

Sotto un diverso profilo viene censurata la sentenza per avere escluso la possibilità di qualificare diversamente i reati fermo restando i fatti alla base della contestazione, ritenendo violato il principio di specialità. In sostanza, la Corte territoriale avrebbe errato nel considerare invalicabile il limite della contestazione formale. Peraltro, si evidenzia come il reato associativo previsto nel codice colombiano preveda la possibilità di far riferimento a numerosi reati fine.

Sarebbero stati ignorati rapporti delle Nazioni Unite sull'attività delle Milizie AUC in materia di traffico di stupefacenti, così come le note dell'Interpol sul ruolo di Ma.Sa., capo delle Milizie, cugino dell'estradando e suo principale accusatore.

Infine, assume che sussistevano gli elementi per ritenere il carattere transnazionale del reato associativo e del delitto di omicidio.

3. L'avvocato Ennio Pischedda, difensore dell'estradando, in data 5 novembre 2015 ha depositato una memoria in cui censura i motivi proposti nel ricorso, evidenziando l'inapplicabilità delle due Convenzioni cui si riferisce la procura ricorrente e precisando come, in ogni caso, tali Convenzioni non contengano previsioni specifiche per l'estradizione del cittadino.
Motivi della decisione

4. Il ricorso è infondato.

Preliminarmente deve rilevarsi che, come risulta dalla certificazione dell'Ambasciata d'Italia a Bogotà datata 12.8.2014 e trasmessa alla Corte d'appello con nota del Ministero della giustizia del 27.8.2014, il M. è anche cittadino italiano, sicchè nei suoi confronti l'estradizione può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali. Infatti, in base all'art. 26 Cost. e art. 13 c.p. , nel nostro sistema giuridico vige il divieto di estradizione extraconvenzionale del cittadino e la possibilità di concedere l'estradizione del cittadino è subordinata alla condizione dell'esistenza di un trattato tra gli Stati che la consenta. Nel caso di specie, tra l'Italia e la Colombia non esiste convenzione di estradizione, sicchè deve ritenersi che non sussistano le condizioni per farsi luogo alla sollecitata estradizione del M., in quanto cittadino italiano.

Invero, parte ricorrente assume che l'estradizione possa trovare la sua base giuridica nella Convenzione ONU del 20 dicembre 1988 sul traffico illecito di stupefacenti ovvero in quella delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, adottata a New York nel 2000, entrambe sottoscritte dall'Italia.

Sul punto la Corte d'appello ha già fornito adeguate risposte, mettendo in evidenza come, con riferimento alla Convenzione del 1988, manchi nella stessa richiesta dell'autorità richiedente ogni riferimento a tale fonte internazionale e, soprattutto, non risulta che al M. siano stati contestati reati, anche solo sotto forma di aggravanti, ricompresi nella citata Convenzione in materia di stupefacenti. I soli reati contestati sono l'associazione per delinquere e l'omicidio aggravato, nessun riferimento a reati o ad aggravanti in tema di stupefacenti.

Anche riguardo alla Convenzione di New York sul crimine organizzato transnazionale la Corte d'appello ne ha escluso l'applicabilità, rilevando come dalla contestazione non risulta che l'attività criminosa attribuita al M. abbia avuto connotati transnazionali.

Tuttavia, anche a voler ammettere il ricorso a tali Convenzioni, deve rilevarsi che, in ogni caso, in tali strumenti manca la previsione espressa sulla estradabilità del cittadino.

In entrambe le Convenzioni citate si prevede che uno Stato, qualora subordini l'estradizione all'esistenza di un trattato, se riceve una domanda di estradizione da uno Stato con cui non ha stipulato alcun trattato estradizionale, può considerare tali Convenzioni come la base legale dell'estradizione per i reati cui esse fanno riferimento, cioè per quelli in materia di stupefacenti (Convenzione di Vienna del 1988) e per i reati ricompresi nella criminalità organizzata transnazionale (Convenzione di New York del 2000). Tuttavia, tali previsioni contenute nelle due Convenzioni citate offrono una base legale per le estradizioni relative ai reati in esse considerati, ma non prevedono alcuna disposizione espressa riferita alla estradizione del cittadino. Anzi, alcune norme sembra che tengano conto proprio del principio - presente in molti ordinamenti, non solo in quello italiano - secondo cui l'estradizione del cittadino è consentita solo se espressamente prevista nelle convenzioni.

Infatti, l'art. 16 par. 10 della Convenzione di New York del 2000, ammette che uno Stato Parte possa rifiutare l'estradizione di un suo cittadino, prevedendo però che in tal caso il cittadino venga, da quello stesso Stato, processato e giudicato. Inoltre, sia nell'art. 6, p.10 della Convenzione di Vienna del 1988, sia nell'art. 16, p.12 della Convenzione di New York del 2000, si disciplina l'ipotesi del rifiuto dell'estradizione del cittadino per l'esecuzione di una condanna, prevedendo che in tali circostanze la parte richiesta può, su richiesta della parte richiedente, "prendere in considerazione" se far eseguire la condanna nel proprio territorio.

Si tratta di disposizioni che lungi dal prevedere l'estradabilità del cittadino, individuano modalità in base alle quali, in presenza del rifiuto o del divieto di estradizione, il cittadino possa essere processato ovvero scontare la pena nel proprio Paese.

5. In sostanza, nel caso in esame trova applicazione il divieto di estradizione del cittadino di cui all'art. 26 Cost. e art. 13 c.p. , dovendo escludersi che le due Convenzioni citate dalla parte ricorrente contengano previsioni espresse che consentano l'estradizione del cittadino.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. c.p.p..

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 201