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Legittima la scorta di hashish (Trib. Rov., 40/17 sent.)

6 aprile 2017, Nicola Canestrini e Tribunale di Rovereto

Se l’elemento quantitativo costituisce un forte elemento a carico nella valutazione sulla destinazione a fini di spaccio, va rimarcata la possibilità che un abituale consumatore di stupefacente possa precostituirsi una scorta, ad uso esclusivamente personale, da utilizzare in svariate settimane o addirittura mesi.

 

TRIBUNALE DI ROVERETO

17/40 RG sent. dd. 6 aprile 2017

Il Giudice dell’udienza preliminare dott. Riccardo Dies all'udienza del 06 aprile 2017 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente sentenza contro

**,  nato a ***il **   ed ivi residente  **  (domicilio dichiarato)

                                                         LIBERO – PRESENTE

 difeso di fiducia dall’Avv.  NICOLA CANESTRINI del Foro di Rovereto

 IMPUTATO

 del reato p. e p. dall’art. 73, comma 4, Dpr n. 309/1990, perché, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17, illecitamente deteneva, fuori dalle ipotesi previste dall’art. 75, sostanza stupefacente del tipo hashish per un peso complessivo di gr. 75,887 ed un principio attivo del 27,8% pari a mg 21.063. Con la recidiva specifica e reiterata.

 In Rovereto, il 24 agosto 2016.

 Le parti hanno concluso come segue: il PM chiede la condanna dell’imputato alla pena di anni 1, mesi 8 di reclusione ed € 8.000,00 di multa; la difesa chiede  l’assoluzione del proprio assistito perché il fatto non sussiste.

 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 A seguito di richiesta di rinvio a giudizio del PM del 24.11.2016, veniva fissata l’udienza preliminare del 06.04.2017, il cui avviso era regolarmente notificato all’imputato e al difensore. Alla suddetta udienza il difensore avv. Canestrini, munito di procura speciale, presentava richiesta di giudizio abbreviato secco.

Il Giudice ammetteva il rito come richiesto dalla difesa ed esaurita la discussione, le parti precisavano le conclusioni come da verbale.

 MOTIVAZIONE

Ritiene questo Giudice di dover assolvere l’imputato dal reato ascrittogli, perché il fatto non sussiste, non emergendo dagli atti di indagini contenuti nel fascicolo del PM prova sufficiente riguardo alla destinazione non ad uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente detenuta, ed emergendo anzi sul punto concreti elementi a discarico (art. 530, comma 2 c.p.p.).

 L’imputato è accusato del reato di illecita detenzione di sostanza stupefacente di tipo hashish per gr. 75,887, con un principio attivo del 27,8%, pari a mg. 21.063 e a nr. 843 dosi medie singole (cfr. consulenza tossicologica del PM fg. 33), destinata ad un uso non esclusivamente personale, p. e p. dall’art. 73, comma 4 d.P.R. n. 309/90.

 Gli elementi di prova a disposizione, alla stregua degli atti di indagine compiuti (cfr. comunicazione notizia di reato del Commissariato di P.S. di Rovereto dd. 31.08.2016, annotazione di p.g. dd. 24.08.2016, verbali di perquisizione e sequestro di pari data, verbale di s.i.t. rese da *** di pari data, verbale di spontanee dichiarazioni rese dall’imputato in pari data, verbale di narco-test e foto della sostanza sottoposta a sequestro, consulenza tossicologica del PM sullo stupefacente sequestrato, memoria difensiva della difesa all’esito dell’avviso di cui all’art.415-bis c.p.p., con allegata documentazione, tabulati telefonici, verbale di interrogatorio reso dall’imputato in data 14.10.2016), possono essere riassunti nei termini che seguono.

 Alle ore 15.45 del 24.08.2016 una voltante della polizia interveniva presso l’abitazione dell’imputato, in Rovereto ***, su richiesta della moglie separata del medesimo, ***, la quale informava gli inquirenti di aver rinvenuto un pezzetto di hashish presso l’abitazione del coniuge nel cassetto del mobile della cucina, quando vi era entrata per prendere il figlio di anni 11. Ottenuta la presenza dell’imputato veniva eseguita una perquisizione domiciliare, con esito positivo, perché all’interno di una giacca posizionata nel guardaroba della camera da letto, veniva rinvenuto il residuo di un “pannetto” di hashish incellofanato.

L’intera sostanza stupefacente veniva posta immediatamente sotto sequestro.

Veniva quindi eseguita l’usuale consulenza tossicologica sullo stupefacente sequestrato, con gli esiti sopra riportati (cfr. fg. 33).

Dai tabulati telefonici delle utenze in uso all’imputato emergono contatti, con varia frequenza, con 18 persone già segnalate per uso di sostanze stupefacenti presso le forze dell’ordine (cfr. fg. 79 ss.).

 Nessun ulteriore elemento a carico è rinvenibile agli atti del processo.

 Venendo agli elementi a discarico, l’imputato, nell’immediatezza del fatto, rendeva la seguente spontanea dichiarazione: “premetto che il pezzo di hashish che mi avete confiscato era la mia scorta personale. La polizia ha trovato nel corso della perquisizione delle cartine, con le quali mi facevo gli spinelli” (cfr. fg. 18). La medesima versione dei fatti è stata ribadita dall’imputato nell’interrogatorio sostenuto in data 14.10.2016, ove ha ulteriormente precisato che: fa uso regolarmente di sostanza stupefacente tipo hashish, fumando più di uno spinello la sera o la notte per rilassarsi; consumandola quotidianamente si è fatto una scorta; la sostanza rinvenuta in sede di perquisizione costituisce il residuo di un “panetto” da un etto, acquistato circa una settimana prima presso i giardini di via Grazioli a Trento da alcuni marocchini, pagando il prezzo di € 750,00, somma che è in grado di pagare senza problemi atteso che svolge regolarmente attività lavorativa presso il proprio negozio; non ha mai ceduto a terzi sostanza stupefacenti.

 Oltre a ciò la difesa ha allegato alla memoria difensiva prodotta a seguito dell’avviso di cui all’art. 415-bis c.p.p., la seguente documentazione: 1) ricorso per separazione personale tra coniugi nell’interesse della moglie dell’imputato dd. 31.03.2015, nel quale si dà grande risalto al problema di tossicodipendenza del ** e si sottolinea come il consumo avvenisse anche in presenza del figlio minore; 2) verbale di s.i.t. rese dalla moglie nel procedimento penale a carico del ** per il reato di maltrattamenti in famiglia dd. 07.07.2017 in cui ancora si dà molto risalto al mero consumo di sostanza stupefacente; 3) dichiarazione dei redditi e visura per immobile al Catasto, a dimostrazione delle buone condizioni economiche dell’imputato.

Sul piano dell’argomentazione difensiva, sia nella memoria che in sede di discussione finale, si è inoltre evidenziato la circostanza a discarico desumibile dal fatto che la moglie, pur essendo disponibile a denunziare il marito per il consumo di sostanze stupefacente in varie occasioni e anche di fattispecie di reato di una certa gravità, come i maltrattamenti in famiglia, non ha mai reso alcuna dichiarazione in ordine ad una sua pretesa attività di spaccio.

 Tali essendo gli elementi di prova da valutare, occorre in diritto premettere che la norma incriminatrice è mutata ha seguito della sentenza della Corte Costituzionale nr. 32 del 2014 che, come è noto, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’intera riforma attuata in materia di stupefacenti nel 2006 (con d.l. n. 272 del 2005, convertito con legge n. 49 del 2006, c.d. legge Fini-Giovanardi), determinando la “riviviscenza” della precedente disciplina. In particolare i commi 1 e 4 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 attualmente vigenti sono quelli precedenti all’indicata riforma, con la conseguenza che la condotta incriminata dell’illecita detenzione non è più descritta in positivo, mediante il riferimento ai discussi criteri di valutazione di cui al comma 1-bis lett. a) art. cit., nella versione dichiarata incostituzionale, ma solo in negativo mediante la formula “al di fuori dai casi di cui all’art. 75”, che descrive l’illecito amministrativo della detenzione di stupefacente per farne uso personale. Va, peraltro, ulteriormente avvertito che non sembra, tuttavia, sia cambiato molto perché, a sua volta, l’art. 75 è stato modificato, successivamente alla sopra citata sentenza della Corte Costituzionale (con d.l. n. 36 del 2014), mediante l’inserimento del comma 1-bis che, in buona sostanza riproduce il contenuto normativo del comma 1-bis dell’art. 73, dichiarato incostituzionale mediante la previsione di una serie di obbligatori criteri di valutazione, ossia la quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute (…), le modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero le altre circostanze dell’azione, in base ai quali stabilire se la detenzione sia finalizzata o meno ad uso esclusivamente personale”.

 La sostanziale equivalenza di contenuto delle due distinte norme incriminatrici, sotto questo aspetto, consente di mantenere piena validità al consolidato esito interpretativo secondo il quale la destinazione ad un uso non elusivamente personale integra un vero e proprio elemento costituivo del reato la cui prova certa, oltre ogni ragionevole dubbio, è condizione imprescindibile per un giudizio di colpevolezza.

In particolare, la maggioritaria e preferibile giurisprudenza della Cassazione ha sottolineato come sia essenziale scongiurare il rischio che l’indicazione normativa di obbligatori criteri di valutazioni circa l’uso personale o meno della sostanza stupefacente detenuta entri in conflitto coi principi fondamentali della giurisdizione penale.

La presunzione di non colpevolezza dell’imputato, di cui all’art. 27, comma 2 Cost., impone, infatti, un modello di accertamento del fatto pieno, fondato sulla regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio (cfr. nuovo art. 533, comma 1 c.p.p.), che legittima la condanna dell’imputato solo se tutti gli elementi costitutivi del reato risultano provati in positivo. Ciò non esclude la rilevanza e piena utilizzabilità della prova indiziaria, governata dall’art. 192, comma 2 c.p.p., ma comporta il ripudio sia di un sistema di prove legali a carico sia di mezzi presuntivi di accertamento, anche solo iuris tantum, che consente di porre la prova contraria a carico della difesa, che comunque implica un’inammissibile inversione dell’onere probatorio.

 Alla luce di queste premesse e del riconoscimento alla destinazione ad un uso non esclusivamente personale di un vero e proprio elemento costitutivo del reato, gli indici di valutazione indicati dal legislatore non possono valere a fondare una presunzione di destinazione ad un uso non esclusivamente personale, neppure iuris tantum, ma più semplicemente, costituiscono tipizzazione dei criteri indiziari più frequentemente utilizzati dalla giurisprudenza per accertare la destinazione della detenzione di sostanze stupefacenti. Detta tipizzazione impone l’obbligo per il Giudice, soprattutto sotto il profilo della motivazione, di considerarli e di valutarli, ma, in ogni caso, la condanna non può che conseguire al pieno accertamento, sulla loro base, ma anche sulla base di possibili ulteriori elementi indiziari non tipizzati e di tutte le prove raccolte nel processo, senza alcuna possibilità di ravvisare pretese gerarchie tra elementi di prova, che, nel caso concreto, la detenzione fosse destinata, almeno parzialmente, a terzi. Nel caso, invece, il Giudice ritenga, all’esito dell’esame complessivo del materiale cognitivo sottoposto alla sua valutazione, che non sia possibile formulare un giudizio in termini di certezza al riguardo, l’esito che si impone è sempre l’assoluzione.

 L’ordine di idee sopra esposto è stato integralmente accolto dalla giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale, da un lato, gli elementi sintomatici individuati dal legislatore, “non costituiscono gli elementi costitutivi del reato, ma piuttosto criteri di valutazione (singolarmente introdotti in una norma sostanziale) ai fini della prove della detenzione per uno non esclusivamente personale” e dall’altro che“non è sufficiente che vengano superati i limiti stabiliti nel decreto ministeriale perché possa affermarsi la penale responsabilità per l’illecita detenzione, ma sarà necessario – quando ovviamente il dato ponderale non sia tale da giustificare inequivocabilmente la destinazione – che il giudice prenda in considerazione, oltre a questo superamento, le modalità di presentazione, il peso lordo complessivo, il confezionamento eventualmente frazionato, le altre circostanze dell’azione che possano essere ritenute significative della destinazione all’uso non esclusivamente personale” (cfr., fra tante Cass., 21 aprile 2008, nr. 16373, rv 239962), sicché il superamento dei limiti quantitativi “non determina la presunzione (neppure relativa n.d.r.) circa la destinazione della droga ad uso non esclusivamente personale, bensì impone soltanto al giudice un dovere accentuato di motivazione nella valutazione del parametro quantità” (cfr. Cass., 05 maggio 2008, nr. 17899 rv 23993, del tutto conformi Cass., 07 luglio 2008, nr. 27330 rv 240526; Cass., 16.04.2008, n. 31103, rv. 242110; Cass., 18.09.2008, n. 39017, rv. 241405; Cass., 12.02.2009, n. 12146, rv. 242923; Cass., 10.01.2013, n. 6575, rv. 254575; Cass., 19.09.2013, n. 39977, rv. 256611; Cass., 09.10.2014, n. 46610, rv. 260991).

Non risultando precedenti contrari quanto sopra affermato deve considerarsi un punto fermo ed indiscutibile, essendo l’unica interpretazione che assicura piena compatibilità della norma incriminatrice coi fondamentali principi costituzionali sopra pure richiamati.

 Così precisato il contenuto della prova occorrente per pervenire ad una sentenza di condanna, il PM ha argomentato la propria richiesta di condanna assumendo che la destinazione ad un uso non esclusivamente personale della sostanza stupefacente detenuta dall’odierno imputato possa ritenersi accertata, oltre ogni ragionevole dubbio, da un solo elemento indiziario rappresentato dal dato ponderale di oltre 42 volte la soglia di mg. 500,00 prevista dal d.m. 11.04.2006 (in GU 24.04.2006, nr. 95) per il tipo di sostanza stupefacente che viene in considerazione nella presente sede (hashish), per ritenere presuntivamente la detenzione di stupefacente destinata ad uso esclusivamente personale, pari a ben nr. 843 dosi medie singole. Secondo la prospettazione dell’accusa questo dato deve ritenersi in assoluto incompatibile con uso esclusivamente personale. Anzi a voler essere ancora più precisi si deve osservare che, al di là del fatto specificamente ascritto all’imputato, va osservato come l’imputato abbia confessato di aver acquistato, e dunque detenuto, un quantitativo maggiore di stupefacente, pari ad un etto pari, in gergo, ad un “panetto”, mentre il quantitativo rinvenuto è solo il residuo dopo circa una settimana di consumo.

Sennonché, se si deve, in effetti, convenire con la pubblica accusa che l’elemento quantitativo costituisca un forte elemento a carico nel presente giudizio, quest’ultima valutazione non può essere minimamente condivisa, proprio per la ragione più volte sottolineata dalla difesa, della possibilità che un abituale consumatore di stupefacente possa precostituirsi una scorta, ad uso esclusivamente personale, da utilizzare in svariate settimane o addirittura mesi. Questa eventualità non può essere del tutto esclusa a maggior ragione riguardo alla una sostanza stupefacente che viene nella specie in considerazione, quale l’hashish che può essere facilmente mantenuta nel corso del tempo, senza perdere le proprie qualità e ciò per l’ovvia considerazione che queste modalità di approvvigionamento comportano indubbi vantaggi per il consumatore, quali minori costi, una minore frequenza di contatti col mondo criminale dello spaccio e, correlativamente, un abbattimento di rischi di essere scoperti dalle forze dell’ordine.

D’altra parte il dato ponderale nel caso concreto non appare concretamente così significativo, non potendosi troppo enfatizzare il numero di ben 843 dosi medie singole. In effetti il concetto di dose media singole indica solo un criterio unitario di valutazione riguardo al quantitativo minimo di stupefacente in grado di comportare un sicuro effetto drogante per la generalità degli utenti, ma non è in alcun modo correlato alla media di consumo giornaliero tra i tossicodipendenti. La riprova di questa osservazione viene dal fatto che per l’hashish la tabella ministeriale indica in mg. 25 la dose media singola ed, invece, in di mg. 500 (pari dunque a ben 20 dosi medie singole), la soglia entro la quale poter ritenere, in assenza di dirimenti elementi contrari, la destinazione della sostanza ad uso esclusivamente personale. Il dato da sottolineare è dunque piuttosto quello che la sostanza rinvenuta in possesso dell’imputato è pari a 42 volte rispetto alla soglia sopra indicata, con ciò confermando tuttavia che è un quantitativo del tutto compatibile, in astratto, ad un consumo di qualche settimana per un tossicodipendente abituale.

 Il dato quantitativo, dunque, nel caso di specie non è da solo dirimente ma deve essere calato nel contesto probatorio del caso concreto.

 Ebbene il contesto probatorio proprio del caso concreto sconta, a favore della difesa, una prima circostanza che può ritenersi accertata, oltre ogni ragionevole dubbio, ovvero che l’imputato sia un abituale consumatore di hashish, provata non solo dalle dichiarazioni dell’imputato che, detto per inciso e a conferma della sua attendibilità, ha anche confessato un fatto ulteriore rispetto al fatto di cui era accusato (ossia di aver acquistato in realtà un quantitativo maggiore rispetto a quello sequestratogli), ma anche dalle plurime dichiarazioni rese dalla moglie, sia nel procedimento penale a carico del marito per il reato di maltrattamenti in famiglia sia nel procedimento civile per separazione tra coniugi, ossia in contesti del tutto indipendenti e precedenti rispetto al presente procedimento. La stessa condotta dell’immediata denunzia alle forze dell’ordine del pezzettino di stupefacente rinvenuto in un cassetto della cucina, certamente inusuale anche nei rapporti tra coniugi in corso di separazione, non può che essere letto nell’esasperazione della donna nel constatare che il marito continuava a consumare stupefacente, pur dopo le continue promesse di aver smesso e pur quando in casa vi era il figlio minorenne della copia.

Secondo elemento a discarico attiene alle modalità di confezionamento, perché il rinvenimento di un singolo pezzetto nel mobile della cucina e del residuo del “panetto” nella tasca da giacca nel guardaroba, appare certamente più compatibile con l’uso esclusivamente personale, perché sembra evidente che il pezzettino della cucina fosse destinato al consumo di quella sera, mentre il “panetto”, custodito nel guardaroba ben può essere il residuo della scorta dalla quale l’imputato attingeva ogni sera. Questo rilievo è del resto corroborato, ancora in senso favorevole alla difesa, dal fatto che la perquisizione domiciliare non ha consentito di rinvenire tutto l’armamentario che tipicamente si rinviene qualora si sia di fronte non ad un mero consumatore ma ad un vero e proprio spacciatore o anche ad un soggetto che cumula entrambe le qualità, quali sostanze da taglio, bilancini di precisione, singole dosi già confezionate per lo spaccio, pezzetti di cellophane per il confezionamento e simili.

Ulteriore elemento a discarico, correttamente utilizzato dalla difesa, è costituito dalle buone condizioni economiche dell’imputato, provate in modo del tutto idoneo a mezzo di documenti, che rendono del tutto sostenibile la spesa necessaria all’acquisto di un solo etto di hashish, il cui prezzo di mercato è notoriamente grosso modo quello indicato dall’imputato, anche se di buona qualità da parte dell’imputato, senza per ciò ipotizzare che le risorse economiche debbano essere necessariamente provenienti dall’illecita attività di spaccio, come talvolta possibile in presenza di soggetti nullatenenti e privi di qualsiasi attività lavorativa.

 Sulla base di tutte queste circostanze a discarico si deve convenire con la difesa sussista un più che ragionevole dubbio sulla destinazione ad uso non esclusivamente personale e, dunque, almeno parzialmente a terzi della sostanza stupefacente in questione ed anzi, a rigore, appare maggiormente verosimile la versione della scorta per uso esclusivamente personale rispetto a quella della destinazione allo spaccio.

 Né l’esito di questo giudizio può essere modificato sulla base dei due precedenti specifici emergenti dal certificato penale, perché la commissione di reati in passato non può mai costituire prova di ulteriori reati, neppure a livello meramente indiziario. Nella specie peraltro si tratta di precedenti assai risalenti (ai primi anni ’90) a pene non particolarmente elevate e condizionalmente sospese.

Analogamente deve ritenersi per l’ulteriore indizio che il PM ha invocato in sede di discussione finale rappresentato dai tabulati telefonici che attestano vari contatti con 18 persone già segnalate per uso di sostanze stupefacenti presso le forze dell’ordine (cfr. fg. 79 ss.). Sul punto si deve convenire con la difesa che l’indicato elemento, a ben guardare, non assurga neppure a dignità di vero e proprio indizio, a norma dell’art. 192 c.p.p., per mancanza dei requisiti della gravità e precisione, essendo del tutto naturale che un abituale consumatore di sostanze stupefacenti possa avere contatti, anche amicali, con una vasta cerchia di persone che condividano con lui il medesimo vizio. Si tratta cioè di un elemento ambivalente che può servire a corroborare, indifferentemente, sia la circostanza del fatto che l’imputato è un mero consumatore abituale sia che si tratti anche di uno spacciatore, magari occasionale. A tutto voler concedere si tratta di un elemento di prova che avrebbe potuto legittimare ulteriori approfondimenti investigativi quali quelli richiesti dalla difesa, in alternativa all’assoluzione, ossia l’esame delle 18 persone in questione per verificare se avessero mai ottenuto in vendita o anche solo a titolo gratuito sostanza stupefacente da parte dell’imputato.

Anche per questo elemento, inoltre, può osservarsi come non si tratti in ogni caso di un elemento particolarmente pregnante perché il numero di contatti registrati “sospetti” non appare particolarmente elevato e potrebbe essere scarsamente significativo se parametrato al numero totale di contatti telefonici.

 Si deve, quindi, concludere che l’imputato va mandato assolto, perlomeno a norma dell’art. 530, comma 2 c.p.p., per insufficienza e contraddittorietà della prova in ordine all’elemento della destinazione all’uso non esclusivamente personale e, pertanto, perché il fatto non sussiste.

 Va, inoltre, disposta la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente sotto sequestro, trattandosi di cosa la cui fabbricazione, detenzione o alienazione costituisce reato (cfr. art. 240 cpv. nr. 2 c.p.).

 Va infine disposto l’invio degli atti al Commissariato del Governo di Trento per quanto di competenza in ordine alle sanzioni amministrative di cui all’art. 75 d.P.R. nr. 309 del 1990, dal momento che l’esclusione del reato comporta inevitabilmente l’integrazione dell’illecito amministrativo della detenzione per uso esclusivamente personale, illecito peraltro confessato dall’imputato medesimo.

 P.Q.M.

 Letti gli artt. 438 ss. e 530 cpp;

assolve l’imputato dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.

 Dispone la trasmissione degli atti al Commissario del Governo per quanto di sua competenza in ordine all’illecito amministrativo di cui all’art. 75 D.P.R. n. 309 del 1990.

 Dispone la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente sotto sequestro.

 

Rovereto, 06 aprile 2017

Il Cancelliere                                                                                   Il GIUDICE

                                                                                               - dott. Riccardo Dies -