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Mago? No, truffatore (Cass. 11114/17)

8 marzo 2017, Cassazione penale

Integra il reato di truffa aggravata il comportamento di colui che, sfruttando la fama di mago, chiromante, occultista o guaritore, ingeneri nelle persone offese la convinzione dell’esistenza di gravi pericoli gravanti su di esse o sui loro familiari e, facendo loro credere di poter scongiurare i prospettati pericoli con i rituali magici da lui praticati, le induca in errore, così procurandosi l’ingiusto profitto consistente nell’incameramento delle somme di denaro elargitegli con correlativo danno per le medesime.

 

Corte di Cassazione

sez. II Penale, sentenza 14 febbraio – 8 marzo 2017, n. 11114


Presidente Prestipino – Relatore De Santis

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza resa il 13/5/2015 il Tribunale di Campobasso dichiarava B.B. colpevole dei delitti di truffa aggravata e continuata (capi A e B) ai danni di D.B.A. e D.B.V. nonché di violenza sessuale (capo C) nei confronti di quest’ultima e, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 609 comma 3 cod.pen., con il vincolo della continuazione, lo condannava alla pena di anni tre di reclusione nonché al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili con assegnazione a ciascuna di una provvisionale pari ad Euro 5mila.
La Corte d’Appello di Campobasso con l’impugnata sentenza, in parziale accoglimento del gravame difensivo, riconosceva il vincolo della continuazione tra i fatti ascritti e quelli irrevocabilmente giudicati con sentenza della Corte d’Appello di Campobasso in data 22/9/2011, determinando la pena complessiva in anni 5 mesi 3 di reclusione, di cui anni uno, mesi tre quale aumento ex art. 81 cpv. per le incolpazioni sub judice.
2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione B.B. a mezzo del difensore, deducendo:
2.1 la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta procedibilità dei reati contestati nonostante le querele risultino presentate dalle pp.oo. a distanza di circa due anni dai fatti; in particolare la difesa del ricorrente censura la motivazione nella parte in cui giustifica siffatto ritardo adducendo che le querelanti avrebbero avuto piena consapevolezza dei fatti solo dopo aver appreso l’esito delle indagini della Polizia nei confronti del B. in relazione a diverse vicende. Analogamente l’impugnata sentenza omette ogni considerazione in ordine alla denegata concessione delle circostanze attenuanti generiche e all’eccezione di prescrizione degli illeciti ascritti, consumati nei mesi di luglio e novembre 2007, i cui termini massimi erano decorsi prima della celebrazione del processo d’appello;
2.2 l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 640 cpv n. 2 cod.pen. per difetto degli elementi costitutivi della fattispecie sia con riferimento all’idoneità degli artifizi e raggiri che all’induzione in errore delle pp.oo., cui non può riconoscersi il ruolo di vittime coartate psicologicamente, nonché al profilo del danno patrimoniale, versanti in ordine ai quali la Corte territoriale ha omesso, altresì, di fornire congrua motivazione;
2.3 l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 609 bis cod.pen. in considerazione della carenza di prova in ordine alla costrizione/induzione, non constando che la p.o. versasse in condizioni di inferiorità psichica ovvero sia stata destinataria di violenza o minacce, avendo secondo la prospettazione dell’imputato consentito ad una relazione con il medesimo.

Considerato in diritto

3. I vizi di motivazione denunziati con il primo motivo sia in relazione alla contestata sussistenza della condizione di procedibilità che al trattamento sanzionatorio sono manifestamente infondati. Quanto alla accreditata tardività della querela la Corte territoriale nel rigettare la proposta eccezione ha evidenziato che le pp.oo. avevano preso piena consapevolezza della illiceità delle condotte del B. solo dopo l’avvio di indagini per fatti analoghi da parte della P.g. La giurisprudenza di legittimità con orientamento costante ritiene che il termine per proporre querela cominci a decorrere dalla data di piena cognizione dei fatti da parte dell’interessato (Sez. 6, n. 3719 del 24/11/2015, Saba, Rv. 266954), evidenziando che deve trattarsi di conoscenza certa, sulla base di elementi seri, del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva (Sez. 5, n. 46485 del 20/06/2014, Lezzi, Rv. 261018). Peraltro, l’onere della prova della intempestività della querela è a carico del querelato che la deduce e, nella eventuale situazione di incertezza, va risolta a favore del querelante (Sez. 5, n. 13335 del 17/01/2013, P.M. e p.o. in proc. Moggi e altri, Rv. 255060), attesa la natura eccezionale della decadenza che, importando la preclusione di un diritto, impone l’accertamento con criteri d’interpretazione rigorosa.
L’apprezzamento di fatto su cui riposa la valutazione di tempestività della condizione punitiva da parte della Corte territoriale si sottrae a censura in quanto sostenuto da idoneo supporto argomentativo, non idoneamente contrastato dai generici rilievi del ricorrente.
4. Insussistenti s’appalesano le violazioni di legge denunziate con il secondo e terzo motivo, che reieterano le doglianze già formulate in sede d’appello e motivatamente evase dalla Corte territoriale sia con riguardo alle ipotesi di truffa che di violenza sessuale.
La condotta dell’imputato secondo la ricostruzione dei giudici di merito è consistita nell’accreditarsi come mago presso le pp.oo. e nel vantare le proprie capacità di incidere favorevolmente sulle situazioni familiari delle stesse attraverso riti e pratiche esoteriche, previa corresponsione di consistenti importi di danaro, determinati dalla prospettazione di pericoli ed insidie nei confronti dei congiunti. Secondo il costante avviso della giurisprudenza di legittimità integra il reato di truffa aggravata il comportamento di colui che, sfruttando la fama di mago, chiromante, occultista o guaritore, ingeneri nelle persone offese la convinzione dell’esistenza di gravi pericoli gravanti su di esse o sui loro familiari e, facendo loro credere di poter scongiurare i prospettati pericoli con i rituali magici da lui praticati, le induca in errore, così procurandosi l’ingiusto profitto consistente nell’incameramento delle somme di denaro elargitegli con correlativo danno per le medesime (Sez. 2, n. 42445 del 19/10/2012, Aloise, Rv. 253647; n. 1862 del 19/12/2005, Locaputo ed altro, Rv. 233361; n. 1910 del 20/12/2004, Simonelli, Rv. 230694).
4.1 La sentenza impugnata, che richiama il supporto argomentativo di quella primo grado e alla stessa si salda, attesa la piena conformità dei criteri valutativi adottati, ha dato ampio e persuasivo conto della infondatezza dei rilievi difensivi sia in relazione all’idoneità degli artifizi e raggiri che al profilo del danno. Devesi in proposito evidenziare che ai fini della configurabilità del reato di truffa, il giudizio sulla idoneità della condotta a trarre in inganno la vittima deve essere effettuato "ex post" ed in concreto, con la conseguenza che la non particolare raffinatezza degli artifizi utilizzati, ovvero la stato di vulnerabilità della vittima, non escludono l’offensività della condotta (Sez. 2, n. 30952 del 15/06/2016, Beltrami e altro, Rv. 267380; Sez. 6, n. 26107 del 14/04/2003, Rv. 225872). Quanto al danno che la difesa assume insussistente in quanto gli esborsi di danaro sopportati corrisponderebbero al compenso del B. per l’opera prestata, devesi rilevare come gli stessi - in quanto frutto di attività fraudolenta e, quindi, di determinazioni volitive inficiate da errore per effetto degli artifizi e raggiri dell’imputato - sono giuridicamente sine causa e finalizzati esclusivamente all’ingiusto profitto dell’agente.
4.2 Con riguardo alla pretesa assenza di costrizione della p.o. in relazione all’addebito ex art. 609 bis cod. pen. rileva il Collegio che i giudici di merito hanno adeguatamente scrutinato i profili costitutivi dell’illecito, ritenendo con motivazione priva di patenti illogicità del tutto attendibile la ricostruzione della D.B.V. in ordine alle attenzioni di natura sessuale subite dal B. in varie occasioni mentre si trovava all’interno del suo ufficio, sfruttando le condizioni ambientali, il rapporto di sostanziale dipendenza psicologica artatamente creato dal ricorrente e imponendole il contatto fisico nonostante i tentativi di resistenza frapposti.
Secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità vanno considerati atti sessuali quelli che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona o ad invadere la sfera sessuale con modalità connotate dalla costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorità), sostituzione ingannevole di persona, abuso di inferiorità fisica o psichica, in essi potendosi ricomprendere anche quelli insidiosi e rapidi, che riguardino zone erogene su persona non consenziente (come ad es. palpamenti, sfregamenti, baci) (Sez. 3, n. 42871 del 26/09/2013, Z. e altro, Rv. 256915). Devesi, inoltre, evidenziare che l’idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima va esaminata non secondo criteri astratti e aprioristici, ma valorizzando in concreto ogni circostanza oggettiva e soggettiva, sicché essa può sussistere anche in relazione ad una intimidazione psicologica attuata in situazioni particolari tali da influire negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima (Sez. 3, n. 14085 del 24/01/2013, R., Rv. 255022), principio che deve trovare applicazione nella specie, essendosi la p.o. trovata esposta - secondo la ricostruzione dei giudici di merito - a iniziative sessuali connotate da uno spiccato coefficiente di sopraffazione teso a coartare la determinazione della p.o. e a vincerne la resistenza, con lesione della sfera della libertà sessuale della stessa.
5. Con riguardo all’eccezione di prescrizione, oggetto del primo motivo sotto il profilo dell’omessa motivazione, rileva il Collegio che la stessa è fondata limitatamente alle ipotesi di truffa aggravata ascritte ai capi A) e B) della rubrica, consumate secondo contestazione tra luglio e novembre 2007. Il termine massimo di prescrizione in relazione ai cennati addebiti, stante l’assenza di sospensioni apprezzabili, risulta, infatti, conclusivamente spirato alla data del 1 Maggio 2015, anteriore alla pronunzia d’appello. A diversi esiti deve, invece, pervenirsi in relazione alla fattispecie sub C) giacché l’ipotesi del fatto di minore gravità, prevista nel reato di violenza sessuale dall’art. 609-bis, comma terzo, cod. pen., integra una circostanza attenuante ad effetto speciale e non un’autonoma ipotesi di reato, sicché il riconoscimento della suddetta attenuante è ininfluente ai fini del calcolo dei termini di prescrizione ex art. 157, comma secondo, cod. pen. (Sez. 3, n. 47311 del 24/09/2015, G N, Rv. 265270).
Pertanto deve disporsi l’annullamento senza rinvio della condanna intervenuta in relazione alle ipotesi di truffa aggravata siccome estinte per maturata prescrizione con eliminazione della relativa pena, determinata dal giudice d’appello nella misura di mesi tre quale aumento a titolo di continuazione. Le statuizioni civili relative ai capi perenti devono trovare conferma mentre in ordine ai residui profili di censura s’impone la pronunzia di declaratoria di inammissibilità.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di truffa perché estinti per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi tre di reclusione. Conferma le statuizioni civili. Dichiara nel resto inammissibile il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 D.lgs 196/03 in quanto imposto dalla legge.