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Paura di morire non sempre risarcibile (Cass. 20767/15)

14 ottobre 2015, Casszione civile

La paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente.

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Suprema Corte di Cassazione

Sezione VI Penale - 3

ordinanza 15 luglio

14 ottobre 2015, n. 20767

(Presidente Finocchiaro ? Relatore Rossetti)

Svolgimento del processo

1. È stata depositata la seguente relazione:

1. Il (OMISSIS) S.A. perse la vita in conseguenza d'un sinistro stradale.

La madre (V.F. ) ed il fratello (S.S. ) della vittima, al fine di ottenere il risarcimento dei danni rispettivamente patiti in conseguenza del tragico evento, convennero dinanzi al tribunale di Milano P.G. , P.S. e la Assitalia s.p.a. (che in seguito muterà ragione sociale in Generali Italia s.p.a.), ovvero il proprietario, il conducente e l'assicuratore dei rischi della responsabilità civile del veicolo sul quale la vittima era trasportata al momento del fatto. Il Tribunale di Milano accolse in parte la domanda;

la Corte d'appello di Milano, accogliendo in parte l'appello proposto dalla società assicuratrice, ridusse l'ammontare del risarcimento dovuto i danneggiati.

2. La decisione d'appello è stata impugnata per cassazione da S.S. è V.F.

3. Col primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano, da parte del giudice di merito, una sottostima del danno non patrimoniale da essi rispettivamente patito.

3.1. Il motivo è manifestamente inammissibile, per due indipendenti ragioni:

- sia perché sollecita da questa Corte un apprezzamento squisitamente di fatto, quale è l'accertamento dell'ammontare del danno aquiliano;

- sia perché non indica, in violazione del principio di autosufficienza, quali circostanze siano state trascurate dalla corte d'appello per una più corretta stima del danno non patrimoniale, e quando ed in quale atto tali circostanze siano state da essi dedotte.

4. Col secondo motivo di ricorso, illustrato in parte autonomamente ed in parte in seno alla illustrazione del primo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano la violazione dell'art. 1282 c.c., per non avere la corte d'appello accordato la rivalutazione e gli interessi sui crediti ad essi spettanti a titolo di risarcimento.

4.1. Il motivo è manifestamente infondato.

Il credito risarcitorio è una obbligazione di valore, non di valuta, e ad esso non si applica l'articolo 1282 c.c..

Né ovviamente potrebbe questa Corte, d'ufficio, "convenire" la denuncia proposta dai ricorrenti in una doglianza volta a far valere la mancata applicazione, da parte della corte d'appello, dei criteri con cui si deve tenere conto del ritardato adempimento delle obbligazioni di valore, in assenza di qualsiasi analitica deduzione al riguardo da parte dei ricorrenti.

5. Col terzo motivo di ricorso (erroneamente indicato col n. 2 a p. 11 del ricorso) i ricorrenti lamentano il rigetto, da parte della corte d'appello, della loro richiesta di risarcimento del danno biologico patito dalla vittima nell'arco di tempo tra le lesioni e la morte, il cui credito era stato trasmesso dalla vittima ad essi ricorrenti jure haereditario.

5.1. Il motivo è manifestamente infondato, alla luce del principio già ripetutamele affermato da questa corte, secondo cui la paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente, sicché, in difetto di tale consapevolezza, non è nemmeno concepibile l'esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni (così, da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 13537 del 13/06/2014, Rv. 631439). Nel caso di specie la corte d'appello, con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che la vittima nel breve periodo compreso fra le lesioni e la morte giacque in stato di incoscienza, con la conseguenza che essa non può avere acquistato, né trasmesso agli eredi, alcun diritto al risarcimento del danno biologico.

6. Col quarto motivo di ricorso (indicato col n. 3 a p, 12 del ricorso) i ricorrenti lamentano la sottostima, da parte della corte d'appello, del danno patrimoniale da essi patito, in conseguenza della perdita delle elargizioni erogate dalla vittima a pro del nucleo familiare.

6.1. Il motivo è manifestamente inammissibile perché censura un tipico accertamento di fatto, motivato dalla corte d'appello in modo non incongruo e non illogico.

7. Col quinto motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che la corte d'appello avrebbe erroneamente rigettato la domanda da essi proposta nei confronti della società GGL s.p.a., la quale aveva svolto le trattative stragiudiziali per conto dell'assicuratore del responsabile.

7.1. Il motivo è manifestamente inammissibile, perché non espone in modo razionale ed ordinato alcuna censura minimamente intelligibile.

Da un lato, infatti, la GGL s.p.a. non era l'assicuratore del responsabile, ma un mandatario di questi, sicché non si comprende quale credito contrattuale o aquiliano gii odierni ricorrenti vorrebbero azionare nei confronti della suddetta società; dall'altro iato, il ritardato adempimento di una a. obbligazione risarcitoria espone il debitore al pagamento del danno da mora, che per quanto detto la corte d'appello ha ritenuto di accordare (sia pure in misura inefficacemente contestata dai ricorrenti); dall'altro lato ancora, infine, i ricorrenti sembrano confusamente adombrare una violazione del dovere di buona fede nelle trattative, senza indicare in quale atto del giudizio di merito abbiano sollevato tale eccezione - in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione -, né in cosa sia consistita tale condotta contraria buona fede.

8. Col sesto motivo di ricorso (indicato col numero sette a pagina 19 del ricorso) i ricorrenti lamentano l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha escluso i loro diritto risarcimento del danno biologico patito iure proprio.

Espongono che tale statuizione sarebbe erronea sia perché frutto di incompleta valutazione dette prove, sia perché fondata su una consulenza tecnica d'ufficio anch'essa affetta da nullità.

8.1. Il motivo è manifestamente infondato alla luce del novellato articolo 360, n. 5, c.p.c., in quanto prospetta nella sostanza un vizio di valutazione della prova, e non l'omesso esame di un fatto costitutivo della pretesa, così come statuito dalle sezioni unite di questa corte con la nota sentenza 8053/14.

9. Il settimo motivo di ricorso, infine, è - prima che inammissibile - irricevibile per la sua totale inintelligibilità.

In esso si denuncia un errore "di conteggio", senza indicare in che cosa sia consistito e quale dovrebbe essere il diverso calcolo corretto.

10. A pagina 22, penultimo capoverso, del ricorso, l'avvocato dei ricorrenti scrive: "nella sentenza oggetto di riesame sussistono numerose violazioni di diritto sostanziale e processuale e sorge il sospetto (...) che la giurisprudenza meneghina, nel tentativo di salvaguardare, in un'epoca di grave crisi economica, assetti assicurativi, abbia ridimensionato i diritti a risarcitori le buone ragioni delle vittime".

Il giudice relatore ritiene che tale affermazione, attribuendo alla corte d'appello un intento non solo ulteriore e diverso dall'amministrazione della giustizia del caso concreto, ma addirittura indebitamente favorevole ad una delle parti, possa integrare gli estremi di una fattispecie penalmente rilevante, e sia comunque irrispettoso del dovere di cui all'art. 88 c.p.c..

Per tale ragione il relatore propone al collegio, oltre al rigetto del ricorso, la trasmissione degli atti alla procura della Repubblica di Brescia e al consiglio dell'ordine degli avvocati di Milano, per i provvedimenti di rispettiva competenza.

Motivi della decisione

2. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione medesima e di doverne fare proprie le conclusioni.

3. Le osservazioni svolte dai ricorrenti nella memoria del 9.7.2015 non infirmano le suddette conclusioni.

4. Con riferimento al primo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono di avere compiutamente esposto, alle pp. 6-7 del ricorso, le circostanze che si assumono trascurate dalla Corte d'appello, e che dovevano invece essere tenute in considerazione ai fini di una corretta stima del danno alla persona. Ma la Corte d'appello ritenne di non dovere personalizzare il risarcimento richiesto dagli appellanti sul presupposto che questi non avessero "indicato quali circostanze, idonee alla determinazione integrale del danno non patrimoniale (...), non sono state considerate dal Tribunale" (così la sentenza impugnata, p. 5).

Pertanto, per impugnare validamente tale statuizione, gli odierni ricorrenti avrebbero dovuto indicare - ai sensi dell'art. 366 n. 6 c.p.c., come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte - in quale atto del giudizio di merito avevano dedotto e provato le circostanze di fatto idonee a giustificare un risarcimento superiore a quello accordato dalia Corte d'appello.

5. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono che il credito risarcitorio diventerebbe "un credito pecuniario certo e liquido" al momento del fatto illecito, non a quello della liquidazione.

L'affermazione cozza contro circa sessant'anni di costante giurisprudenza di questa Corte: la sentenza capostipite fu Sez. 3, Sentenza n. 3114 del 06/10/1958, Rv. 882608 [secondo cui soltanto "la liquidazione del danno converte l'obbligazione di risarcimento (debito di valore) in un'obbligazione di pagamento di una determinata somma (debito di valuta)], e da allora il principio è rimasto sempre fermo (da ultimo, tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 10839 del 11/05/2007, Rv. 596830).

6. Con riferimento al terzo motivo di ricorso i ricorrenti deducono che la vittima, nell'arco di tempo tra le festoni e la morte, rimase cosciente; che tale circostanza di fatto fu provata in giudizio, e che pertanto la decisione della Corte d'appello è erronea nella parte in cui ha escluso l'acquisizione da parte loro, jure haereditario, del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla persona deceduta in quel lasso di tempo.

L'argomento pretende da questa Corte un giudizio di fatto, che non le può essere chiesto. La regula iuris da applicare al caso concreto è che il risarcimento del danno jure haereditario spetta soltanto se la vittima sia rimasta cosciente nell'intervallo tra vulnus ed exitus: e questa regola è stata applicata correttamente dalla Corte d'appello.

Stabilire, poi, se davvero la vittima sia stata cosciente od incosciente è una questione di merito, non sindacabile in sede di legittimità.

7. Con riferimento al quarto motivo di ricorso, i ricorrenti tornano a lamentare l'errore della Corte d'appello nella stima del danno patrimoniale da perdita delle elargizioni erogate dalla defunta al nucleo familiare, che è questione di fatto: vale dunque quanto già detto al p. precedente.

8. Con riferimento al quinto motivo di ricorso, i ricorrenti precisano che la responsabilità della società GGL s.p.a. è stata invocata a titolo precontrattuale, per avere quella società tenuto una condotta in mala fede durante le trattative stragiudiziali.

Sostengono che la relativa domanda "fu svolta per la prima volta nell'atto introduttivo".

Or bene, col motivo in esame i ricorrenti si dolgono nella sostanza d'un error in procedendo: la Corte d'appello avrebbe, secondo la loro prospettazione, reputato nuova una domanda che non lo era. Come più volte affermato da questa Corte, chi lamenta in sede di legittimità che il giudice di merito abbia erroneamente reputato nuova una domanda tempestivamente formulata, ha l'onere - in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso - di indicare in quest'ultimo i termini esatti in cui la domanda reputata inammissibile fu formulata, ed ovviamente l'atto nei quale è contenuta.

Nel caso di specie, per contro, sia nella memoria, sia nel ricorso, i ricorrenti si sono limitati genericamente ad indicare che la domanda fu formulata "nell'atto introduttivo", senza indicare dove e senza trascriverne i termini.

Aggiungasi che a pag. 16 del ricorso i ricorrenti ammettono di avere formulato una domanda ben diversa: non di condanna della GGL s.p.a. per mala fede nelle trattative, ma per "l'inadempimento risarcitorio per il sinistro de quo", ovvero per l'inadempimento d'una obbligazione gravante non sulla GGL, ma sull'assicuratore del responsabile, soggetto diverso dalla GGL.

9. Con riferimento al sesto motivo di ricorso, i ricorrenti tornano a proporre a questa Corte problemi di merito, attinenti la valutazione delle prove. Evidente la loro inammissibilità.

10. Con riferimento al settimo motivo di ricorso, i ricorrenti spiegano che nella sentenza di primo grado esisteva una discrasia tra motivazione e dispositivo, e che la "corte d'appello ha ritenuto corretto il conteggio minore".

Ora, a parte il rilievo che se il ricorso per cassazione è inammissibile per poca chiarezza, tale vizio non può essere sanato con la memoria ex art. 380 bis, comma 2, c.p.c., resta comunque il fatto che il ricorso per cassazione si propone avverso la sentenza d'appello, non avverso quella di primo grado: e nel caso di specie la sentenza d'appello non presenta alcuna discrasia tra motivazione e dispositivo.

11. V'è solo da aggiungere che il Collegio non condivide la relazione nella parte in cui ha ritenuto di ravvisare, a p. 22 del ricorso, espressioni disciplinarmente o penalmente rilevanti.

Ritiene tuttavia che quelle espressioni siano comunque sconvenienti ed esorbitanti dal limite della libertas convicii, e ne ordina la cancellazione, ex art. 89, comma 2, c.p.c.

12. Le spese dei giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c..

P.Q.M.

la Corte di cassazione, visto l'art. 380 c.p.c.:

-) rigetta il ricorso;

-) manda alla Cancelleria di cancellare, dall'originale e dalle copie del ricorso, il periodo di cui a pag. 22, penultimo capoverso, compreso tra le parole "Nella sentenza" e le parole "2054 c.c.";

-) condanna V.F. e S.S. , in solido, alla rifusione in favore di Generali Italia s.p.a. e Generali Business Solution s.p.a., in solido, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 8.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;

-) da atto che sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.