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Risarcimento ai parenti: non basta essere amici su Facebook (Cass. 11428/17)

9 marzo 2017, Cassazione penale e Nicola Canestrini

Ai congiunti della persona che ha subito lesioni spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato, in relazione ad una particolare situazione affettiva intercorrente con la vittima: ciò che rileva non è tnto la convivenza, ma uno "stabile legame tra due persone", connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti (non basta essere amici su Facebook).

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 9 febbraio – 9 marzo 2017, n. 11428

Presidente Romis – Relatore Pezzella

 

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Torino, pronunciando nei confronti di B.K. , con sentenza del 16.6.2016, in riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Aosta del 19.11.2015 appellata dall’imputata, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n.6 cod. pen. e valutata detta attenuante e le già riconosciute circostanze attenuanti generiche come prevalenti sulla contestata aggravante, rideterminava la pena in mesi 5 di reclusione; eliminava le statuizioni in favore delle parti civili costituite S.S. e F.M.L. ; confermava nel resto la sentenza appellata.
La B. era stata sottoposta a giudizio per il reato di cui all’art. 589 commi 1 e 2 cod. pen. per avere cagionato, per colpa, la morte di S.N. . L’imputata, nel mentre stava percorrendo la Strada Statale n. XX, con direzione nord, a bordo della sua autovettura “Fiat multipla” targata (…), procedendo il motociclo "Suzuki GSX" targato (…), quando, all’altezza del km (…), in corrispondenza dell’incrocio con la strada di accesso alla s.r. n. XX, si accingeva a effettuare una svolta a sinistra, impegnando la corsia di sinistra nonostante la striscia longitudinale continua e durante tale manovra il S. , dopo aver superato un altro motociclista e un’autovettura, impattava contro la parte anteriore sinistra dell’autoveicolo condotto dalla B. dopo che questa aveva invaso per circa 75 cm la semicarreggiata sinistra, collidendo successivamente contro il guard rail e uscendo di strada. Alla stessa veniva mosso un addebito di colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia e inoltre nella violazione dell’art. 7 commi 1 e 14 d.lvo 30.4.1992, n. 285 per non avere rispettato le prescrizioni della segnaletica verticale violando il segnale di "direzione obbligatoria dritta" effettuando una svolta a sinistra, nella violazione dell’art. 40 d.lvo 285/1992 per non avere rispettato la segnaletica orizzontale effettuando una svolta a sinistra nonostante la presenza di linea di mezzeria bianca continua, nella violazione dell’art. 154, comma 1, d.lvo 285/1992 per avere eseguito una manovra di svolta a sinistra senza assicurarsi di poterlo fare in modo da non creare intralcio o pericolo per altri utenti della strada. Con l’aggravante di avere commesso il fatto con violazione delle norma in materia di disciplina della circolazione stradale. Commesso in (omissis) .
Il GUP del Tribunale di Aosta il 19.11.2015, pur riconoscendo il concorso di colpa del S. , aveva condannato l’imputata, concessele le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza alla contestata aggravante, alla pena base di mesi 9 di reclusione, ridotta per il rito a mesi 6 con i doppi benefici; con sospensione della patente di guida per mesi 6 e con condanna al risarcimento del danno morale in favore delle parti civili, stabilito in 20.375 Euro per ciascuna, disponendo una provvisionale di Euro 10.000 cadauno; con condanna alla rifusione delle spese di costituzione delle parti civili per la metà, compensando la restante metà.
2. Avverso la sopra ricordata sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, le parti civili S.S. e F.M.L. , deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Violazione dell’art. 606 cod. proc. pen. comma 1 lett. b), per inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale.
a.1 Mancanza totale dell’applicazione della legge penale in relazione alla produzione documentale della parti civili non ritenute prove validamente assunte.
I ricorrenti deducono l’erroneità della ritenuta invalidità della documentazione prodotta dalle parti civili, in quanto la richiesta di ammissione al rito abbreviato da parte dell’imputata, sarebbe avvenuta nel corso dell’udienza preliminare dopo la verifica degli atti preliminari e la costituzione delle parti civili.
All’atto della costituzione le parti civili depositavano nel fascicolo del P.M. e del tribunale l’atto di costituzione con allegata la documentazione a sostegno delle proprie ragioni. Il deposito avveniva, quindi, prima della richiesta di applicazione del rito alternativo e, di conseguenza la documentazione sarebbe stata validamente acquisita all’udienza ai sensi dell’art. 442 comma 1bis cod. proc. pen., come ritenuto dal GUP.
a.2 Non corretta e non conforme all’ordinamento sarebbe l’applicazione delle tabelle elaborate dal tribunale di Milano in tema di ristoro dei danni da illecito aquiliano.
La corte di appello avrebbe escluso il risarcimento del danno agli zii della vittima sulla base del riferimento alle tabelle del tribunale di Milano che non contemplano tali parenti.
La sentenza impugnata trarrebbe il proprio convincimento da principi di legittimità non pertinenti al caso di specie, in quanto farebbero esclusivo riferimento al danno parentale.
Nel caso in questione il rapporto parentale assumerebbe un’importante valenza ai fini della pretesa risarcitoria, in quanto gli zii si occupavano del nipote, ma non determinante in relazione al particolare rapporto affettivo esistente con la vittima.
I ricorrenti richiamano la sentenza a Sezioni Unite Civili n. 26972/2008 che esplica il concetto di danno non patrimoniale, comprensivo del danno morale permanente o temporaneo. In presenza di un saldo e duraturo legame affettivo sarebbe proprio la lesione che colpisce tale situazione affettiva a connotare l’ingiustizia del danno e a renderne risarcibili le conseguenze pregiudizievoli, a prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela e affinità giuridicamente rilevanti come tali. Pertanto il riconoscimento del diritto al risarcimento sarebbe stato corretto con la conseguente applicazione delle tabelle del tribunale di Roma.
b. Violazione dell’art. 606 cod. proc. pen. comma 1 lett. e), per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
 La sentenza impugnata avrebbe erroneamente considerato il parametro della convivenza quale principale elemento di valutazione, ancorandolo alla definizione di coabitazione, mentre in realtà i ricorrenti avrebbero fornito la prova dell’esistenza e della durata del rapporto stabile e continuativo nel tempo, come documentato dallo stato di famiglia che attestava la convivenza con lo zio ed il contenuto dei messaggi sms e Facebook che testimoniavano il legame affettivo.
Chiedono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata esclusivamente in ordine alle statuizioni civili con l’adozione dei provvedimenti consequenziali.
In subordine, l’annullamento della sentenza impugnata esclusivamente in ordine alle statuizioni civili con rinvio.
3. In data 17.1.2017, l’imputata B.K. , a mezzo del proprio difensore di fiducia produceva memoria difensiva, deducendo:
a. In riferimento al motivo di impugnazione ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., riguardante la documentazione (sms e messaggi Facebook) allegata alla costituzione di parte civile, che l’avvenuta costituzione di parte civile, non determina che le allegazioni a corredo della costituzione stessa, si possano considerare prove validamente assunte.
La Corte territoriale correttamente avrebbe ritenuto privi di qualsiasi valore probatorio i documenti allegati alla costituzione, pertanto il motivo appare assorbito dall’inammissibilità del terzo motivo del ricorso della parte civile.
La Corte di appello avrebbe fatto giusta applicazione dei principi di legittimità stabiliti con le sentenze sez. 3 n. 29735 del 4/6/2013 e sez. 4 n. 46351 del 10/11/2014, in quanto i ricorrenti non avrebbero assolto l’onere della prova sull’esistenza del rapporto affettivo e sull’effettiva perdita di un effettivo valido sostegno morale a seguito della morte del familiare. Detta prova non avrebbe potuto, in ogni caso, essere fornita con sporadici scambi di messaggi anche con terze persone di contenuto generico e molto diverso da quello che potrebbe avvenire tra persone che abbiano comunanza di vita e di affetti.
Pertanto il motivo apparirebbe inammissibile ed infondato.
b. In riferimento al motivo di impugnazione riguardante la non corretta applicazione delle tabelle di Milano in tema di risarcimento del danno.
L’imputata deduce che il profilo di censura mosso dai ricorrenti non può ricondursi all’art. 606 lett. b) cod. proc. pen., trattandosi di doglianze limitate alle sole statuizioni civili, mentre la norma riguarda vizi relativi all’erronea applicazione della legge penale o di altre norme, nell’ambito di applicazione della legge penale, con conseguente inammissibilità del motivo.
I ricorrenti, inoltre non hanno mai prodotto le tabelle di Roma, circostanza che determina l’inammissibilità del motivo di ricorso alla luce della sentenza di questa Sezione n. 27162 del 27.4.2015 secondo cui l’avvenuta applicazione di criteri diversi dalle tabelle predisposte dal tribunale di Milano può dedursi in sede di legittimità soltanto se il ricorrente in grado in appello si sia espressamente doluto di ciò ed abbia prodotto in giudizio dette tabelle; in tal senso richiama anche Cass. Civ. sez. 3, 15.6.2016 n.12288.
c. In riferimento al motivo di impugnazione concernente la ritenuta illogicità della motivazione.
L’imputata deduce il travisamento della motivazione da parte dei ricorrenti in quanto gli stessi contestano che la corte territoriale avrebbe considerato il parametro della convivenza esclusivamente come coabitazione.
In realtà la sentenza impugnata fa correttamente riferimento alla convivenza come indice di valutazione dello stabile legame affettivo, escludendolo perché non provato.
La motivazione appare corretta laddove ritiene del tutto privi di valore probatorio, anche nel merito i messaggi sms e facebook allegati alla costituzione di parte civile. In ogni caso, si tratta di valutazione di merito adeguatamente motivata che non può venire censurata in sede di legittimità.
Chiede, pertanto dichiararsi inammissibile e/o comunque respingere il ricorso proposto dalle parti civili.

Considerato in diritto

1. I motivi di impugnazione sopra illustrati sono tutti infondati e, pertanto, i ricorsi vanno rigettati.
2. In primo luogo va rilevato che, condivisibilmente, la Corte territoriale ha ritenuto che, essendosi proceduto ex artt. 438 e ss. cod. proc. pen., la parte civile, per provare l’esistenza di quel diretto e significativo rapporto tra il defunto e gli zii, che costituirebbe presupposto del diritto al risarcimento, preso atto della scelta deflattiva formulata dall’imputata e dell’assenza, tra gli atti di indagine, di elementi di prova favorevoli alla dimostrazione del proprio assunto, avrebbe dovuto non accettare il rito e far valere le proprie pretese nella competente sede civile, fornendo quella prova che in sede penale il rito prescelto dalla B. non le consentiva. Certamente, infatti, non è attraverso atti o documenti allegati alla costituzione di parte civile, che possono introdursi agli atti elementi probanti la propria pretesa risarcitoria.
In ogni caso, con motivazione logica e congrua, la sentenza oggi impugnata dà atto che, ancorché venissero ritenuti utilizzabili i documenti in questione, la pretesa risarcitoria non appare provata.
Ed invero, l’art. 74 cod. proc. pen., stabilisce che l’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno, di cui all’art. 185 cod. pen., può essere esercitata nel processo penale nei confronti dell’imputato e del responsabile civile dal soggetto al quale il reato ha recato danno, ovvero dai suoi successori universali. Secondo quanto osservato dalla giurisprudenza di questa Corte, tale norma distingue il diritto al risarcimento "iure proprio", che è il diritto del soggetto al quale il reato ha direttamente recato danno, dal diritto al risarcimento "iure successionis", che spetta solo ai successori universali e che sorge quando si sia verificato un depauperamento del patrimonio della vittima in conseguenza dell’accadimento.

Ne discende che i successibili, che non siano, in concreto, anche eredi, non possono agire "iure successionis", non escludendosi però, per i successibili che siano prossimi congiunti della vittima, la legittimazione ad agire "iure proprio" per il ristoro dei danni patrimoniali e, soprattutto, non patrimoniali sofferti, (così Sez. 4 n. 38809 del 19/4/2005; Giuliano ed altri, Rv. 232413 in una fattispecie, relativa ad un procedimento penale per omicidio colposo conseguente ad un incidente stradale, la Cassazione ha ritenuto che legittimamente era stata ammessa la costituzione di parte civile delle nonne della vittima, poiché, queste, in applicazione dell’art. 569 cod. civ., non potevano annoverarsi tra gli eredi giacché la vittima aveva lasciato i genitori e la sorella, con la conseguenza che la successione legittima di tutti costoro escludeva la successione legittima degli ascendenti-, pur tuttavia le medesime potevano ben costituirsi "iure proprio", per il ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali sofferti a causa della morte del congiunto; conf. Sez. 1, n. 25323 del 29/4/2003, non massimata sul punto; Sez. 2 n. 14251 dell’11/4/2011, Corona ed altri, Rv. 250237, con cui si è riaffermato anche il principio secondo il quale i prossimi congiunti della vittima, indipendentemente dalla loro qualità di eredi, sono legittimati ad agire per il ristoro dei danni morali sofferti a causa della morte del congiunto, a nulla rilevando la convivenza o meno con la vittima, in presenza del vincolo di sangue che risente, sul piano affettivo, della1 morte, ancorché colposa, del congiunto).

Costituisce, dunque, ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità il principio in base al quale ai prossimi congiunti della persona che ha subito lesioni, a causa del fatto illecito altrui, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato, in relazione ad una particolare situazione affettiva intercorrente con la vittima. In tal caso, il congiunto è legittimato ad agire "iure proprio" contro il responsabile (vedasi in tal senso le Sezioni Unite Civili di questa Corte n. 9556/2002).
3. La giurisprudenza di questa Corte, invero, ha chiarito che il danno non patrimoniale deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Correttamente, sul punto, il difensore ricorrente richiama il dictum della sentenza delle Sezioni Unite Civili di questa Corte n. 26972 dell’11/11/2008, che esplica il concetto di danno non patrimoniale, comprensivo del danno morale permanente o temporaneo (circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità) e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali (ad es. derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto).
Tuttavia, quello che difetta nel caso in esame, come ha correttamente ritenuto la Corte territoriale, è proprio la prova della presenza di quel saldo e duraturo legame affettivo alla cui esistenza le stesse Sezioni Unite civili ancorano la possibile lesione atta a connotare l’ingiustizia del danno e a renderne risarcibili le conseguenze pregiudizievoli, a prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela e affinità giuridicamente rilevanti come tali.
Va rilevato, infatti che, a prescindere dalla loro utilizzabilità, come rileva la logica motivazione del provvedimento impugnato che ne sottolinea la "labilità" e "l’inconsistenza", non possono essere certo dei messaggi sms o rapporti intrattenuti sul social forum Facebook a poter far dire provata la sussistenza di tale legame. È esperienza comune, infatti, che, soprattutto i giovani, hanno centinaia e centinaia di "amici" Facebook, con molti dei quali intrattengono rapporti meramente virtuali che, evidentemente, nulla hanno a che vedere con i concetti di "amicizia" e di stabile rapporto affettivo.
Anche di fronte ad una vita scandita dai nuovi strumenti di comunicazione, va dunque confermata la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, di cui ha fatto corretta applicazione il provvedimento impugnato, che vuole non possa prescindersi dalla dimostrazione dell’intensità della relazione esistente fra i congiunti e la vittima dell’illecito ed individua nella convivenza il principale elemento di valutazione circa la sussistenza del diritto al ristoro da perdita parentale in capo a congiunti diversi da quelli appartenenti alla ristretta cerchia familiare (così la richiamata sez. 1 civ., n. 16222 del 31.7.2015 Rv. 636631).
4. Va chiarito e ribadito che la convivenza non è requisito imprescindibile e non va intesa in senso assoluto. Ma è un indice di grande importanza.
Questa Corte di legittimità ha più volte condivisibilmente affermato (vedasi, ex multis, questa Sez. 4, n. 46351 del 16/10/2014, Zurich Insurance PLC ed Hamed Sakav Joseph Haim, non mass.) che, affinché si configuri la lesione di un interesse a rilevanza costituzionale, la convivenza non deve intendersi necessariamente come coabitazione, quanto piuttosto come "stabile legame tra due persone", connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti. E si è osservato che, in tale prospettiva, i riferimenti costituzionali non sono da cogliere negli artt. 29 e 30 Cost., così che detto legame debba essere necessariamente strutturato come un rapporto di coniugio, ed a questo debba somigliare, quanto piuttosto nell’art. 2 Cost., che attribuisce rilevanza costituzionale alla sfera relazionale della persona, in quanto tale (cfr. Cass. Sez. 3 civ., n. 7128 del 21/03/2013, Rv. 625496 e in motivazione).
Sul piano probatorio, che pure qui viene in rilievo, si è poi considerato: che colui che rivendica il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza della morte della persona a cui è legato da relazione affettiva, deve allegare e dimostrare l’esistenza e la natura di tale rapporto, la sua stabilità, intesa come non occasionalità e continuità nel tempo, tale da assumere rilevanza al momento di verificazione del fatto illecito; che spetta al danneggiato, che chiede il risarcimento del danno non patrimoniale attinente alla propria sfera relazionale, dare la prova dell’esistenza e della natura di tale rapporto, potendo tuttavia questa essere fornita con ogni mezzo, ed anche mediante elementi presuntivi; e che spetta al giudice di merito accertare, alla stregua delle circostanze del caso concreto, e degli elementi, anche presuntivi, addotti dalla parte, l’apprezzabilità della relazione affettiva, a fini risarcitori (così sempre Sez. 3 civ. n. 7128 del 21/03/2013, cit.).
4. Questa Corte ha di recente assunto una posizione che il Collegio ritiene condivisibile quasi in toto - con l’unico limite riguardante la diversa pregnanza che si ritiene di attribuire, come detto, alla prova di uno stabile rapporto affettivo che si connoti solo da rapporti virtuali- con la sentenza Sez. 3, n. 29735 del 4.6.2013, Ferroni, Rv. 255912, che pure è giunta ad una diversa conclusione rispetto al caso che ci occupa (in quel caso i nonni della vittima di un incidente stradale sono stati ritenuti legittimati "iure proprio" a costituirsi parte civile per il risarcimento dei danni patrimoniali e morali, a prescindere dall’esistenza di un rapporto di convivenza con la vittima medesima).
In quella sentenza si ricorda che la giurisprudenza civile di questa Corte ha recentemente riproposto un indirizzo risalente nel tempo, affermando che nell’ambito del danno non patrimoniale da perdita di congiunto, il rapporto reciproco tra nonni e nipoti (ma mutatis mutandis il discorso vale anche quello zii-nipoti, che è il caso che ci occupa), per essere giuridicamente qualificato e rilevante deve essere ancorato alla convivenza, escludendo che, in assenza di questo presupposto, possa provarsi in concreto l’esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da affetto reciproco e solidarietà con il familiare defunto (così Sez. 3 civ. n. 4253, 16 marzo 2012, che riprende Sez. 3 civ. n. 6938, 23 giugno 1993). Le ragioni sulle quali si fondano tali conclusioni - viene ancora ricordato nel precedente richiamato - vengono individuate:

1. nella configurazione "nucleare" della famiglia, incentrata su coniuge, genitori e figli, come emergente dalla Costituzione;

2. nella posizione (in quel caso dei nonni, ma, si ripete, analoga considerazione vale anche per gli zii) nell’ordinamento giuridico, in quanto le disposizioni civilistiche che, specificamente, li concernono non consentono di poter fondare un rapporto diretto, giuridicamente rilevante, evidenziando, invece, un rapporto mediato dai genitori o di supplenza;

3. nella necessità di bilanciare l’esigenza di evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati con quella di assicurare la tutela di valori costituzionalmente garantiti. Viene, dunque, individuata la convivenza come "connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali, anche allargati, caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno economico", specificando che "solo in tal modo il rapporto tra danneggiato primario e secondario assume rilevanza giuridica ai fini della lesione del rapporto parentale, venendo in rilievo la comunità familiare come luogo in cui, attraverso la quotidianità della vita, si esplica la personalità di ciascuno (art. 2 Cost.)".

La risarcibilità dei danni morali per la morte di un congiunto causata da atto illecito penale richiede, dunque, oltre all’esistenza del rapporto di parentela, il concorso di ulteriori circostanze tali da far ritenere che la morte del familiare abbia comportato la perdita di un effettivo valido sostegno morale, rilevando che deve tuttavia considerarsi come il legislatore non abbia inteso estendere la tutela ad un numero, a volte indeterminato, di persone le quali, pur avendo perduto un affetto non hanno una posizione qualificata perché venga in considerazione la perdita di un sostegno morale concreto. Perciò, per quei soggetti, quali i nonni e gli zii, che non hanno un vero e proprio diritto ad essere assistiti anche moralmente dai nipoti, si rende necessario, oltre il vincolo di stretta parentela, un presupposto (ad esempio, ma non necessariamente, la convivenza) che riveli la perdita appunto di un valido e concreto sostegno morale (presupposto che la Corte di merito non ha ravvisato).
In realtà, anche a leggere le motivazioni di altre pronunce delle sezioni civili di questa Corte orientate in tal senso (ad es. Sez. 3 civ. n. 10823, 11 maggio 2007), pare evincersi che le stesse, condivisibilmente, non ritengono in tali casi la convivenza quale presupposto indefettibile del diritto al risarcimento. In tali decisioni, infatti, la circostanza della documentata convivenza del prossimo congiunto viene considerata quale elemento dal quale trarre la presunzione di un legame giuridico affettivo di particolare intensità. La convivenza, dunque, opera sul piano della prova del rapporto stabile e duraturo.
Altro e diverso indirizzo della giurisprudenza civile di questa Corte - viene ancora ricordato nella sentenza 29735/2013 - esclude che l’assenza di coabitazione possa essere considerata elemento decisivo di valutazione qualora la stessa sia imputabile a circostanze di vita che non escludono il permanere dei vincoli affettivi e la vicinanza psicologica con il congiunto deceduto. Si pone, in tal senso, l’accento sulla lesione di valori costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili determinato dal decesso del congiunto e sulla conseguente perdita dell’unità familiare quale perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale (Sez. 3 civ. n. 15019 del 15/7/2005; Sez. 3 civ. n. 16716 del 7/11/2003; anche Sez. 4 n. 20231/2012 Rv. 252683).
5. A ben vedere, tuttavia, ad avviso del Collegio, i due indirizzi paiono assolutamente conciliabili nel senso che al requisito della convivenza va attribuito un valore importante, ma non necessariamente dirimente, poiché attribuire a tale situazione un rilievo decisivo porrebbe ingiustamente in secondo piano l’importanza di quei legami affettivi e parentali la cui solidità e permanenza non possono ritenersi minori in presenza di circostanze diverse, che comunque consentano una concreta effettività del naturale vincolo nonno-nipote, zio-nipote.
I casi, possibili, sono quelli, ad esempio, di una non convivenza giustificata da una frequentazione agevole e regolare per la prossimità delle reciproche residenze o, al contrario, giustificata dalla lontananza delle residenze, cui si ovvia facilmente, in una società improntata alla comunicazione in tempo reale con modalità di fruizione tecnologica ormai diffusa a livello di massa, con continui contatti telefonici, a mezzo chat, messaggi, etc.
Pare evidente, in tal senso, che la molteplicità di contatti telefonici o telematici, laddove sia giustificata dalla difficoltà del contatto fisico, si traduce in un intenso livello di comunicazione in tempo reale, che rende del tutto superflua la compresenza fisica nello stesso luogo per coltivare e consentire un reale rapporto parentale. E ciò vale, evidentemente, tanto per i nonni o gli zii verso i nipoti quanto - il che è assai comune oggi, senza peraltro, significativamente, porre in dubbio o in una posizione di deminutio la risarcibilità - per i genitori verso figli che lavorano o studiano in altra città o addirittura all’estero.
L’approdo ermeneutico deve dunque essere quello di prescindere da presunzioni generali iuris et de iure - che ontologicamente potrebbe imporre, d’altronde, solo il legislatore entro i principi costituzionali e comunitari di tutela dei diritti dell’uomo - diversa essendo la modalità operativa dell’interprete, il quale, valutando caso per caso, non potrà che utilizzare quale parametro il concreto configurarsi delle relazioni affettive e parentali in ragione di peculiari condizioni soggettive e situazioni di fatto singolarmente valutabili, escludendo ogni carattere risolutivo della convivenza, che costituisce comunque un significativo elemento di valutazione in assenza del quale, tuttavia, può comunque dimostrarsi la sussistenza di un concreto pregiudizio derivante dalla perdita del congiunto.
Permane sullo sfondo - come ricorda la recente giurisprudenza sopra citatala condivisibile esigenza di certezza del diritto vivente e l’obiettivo di scoraggiare pretese risarcitorie strumentali (o comunque dirette ad abusare del sistema assicurativo della responsabilità civile, specialmente laddove è obbligatorio) da parte di soggetti di fatto distanti dalla rete affettiva familiare è già adeguatamente garantita da una corretta gestione della causa in sede di merito per pervenire all’accertamento del diritto risarcitorio, cioè dall’adempimento completo dell’onere probatorio da parte del soggetto che chiede risarcimento - non sussistendo alcuna praesumptio a suo favore - che deve essere dal giudice attentamente verificato.
6. Ebbene, se questi sono i principi giuridici di riferimento, nel caso di specie, com’è stato dato atto nel provvedimento impugnato, della passata convivenza tra lo zio paterno e il S. e del fatto che questi fosse solito trascorrere le vacanze in Sicilia con la zia materna non v’è alcuna valida dimostrazione, trattandosi di mere affermazioni contenute nella dichiarazione di costituzione di parte civile, come tali inidonee a costituire prova dei fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato ex art. 187 co. 3 cod. proc. pen..
Né, come si è visto, sono stati portati elementi concreti, al di là dello scambio di sms e di "amicizia" su Facebook, atti a provare un legame affettivo e parentale solido e permanente tra la persona offesa e gli zii.
Il provvedimento impugnato, inoltre, offre una motivazione logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, laddove evidenzia che il GUP di Aosta, nel riconoscere il diritto di S.S. e F.M.L. al risarcimento del danno e nel procedere alla relativa quantificazione ha applicato le tabelle elaborate dal Tribunale di Roma, senza peraltro esplicitare per quale motivo abbia ritenuto di privilegiarle rispetto a quelle del Tribunale di Milano.
Va ricordato, che le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano in tema di ristoro e nocumento da illecito aquiliano non contemplano gli zii nel novero dei parenti titolari del diritto ex art. 2043 cod. civ. in caso di morte del nipote.
In proposito è consolidato l’orientamento di questa Corte di legittimità nel senso che, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti uffici giudiziari. E si ritiene ormai pacificamente che garantisca tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale al quale questa Corte di legittimità, in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono (cfr. ex multis sez. 3 civ., n. 12408 del 7/6/2011, Rv. 618048; nello stesso senso, Cass., sez. 3 civ. 15.10.2015 n. 20895, rv. 637448).
Peraltro, questa Corte si è condivisibilmente espressa nel senso che, ai fini dell’autosufficienza del ricorso, qualora la parte invochi l’applicazione di tabelle di altro tribunale (nel caso di specie quelle del Tribunale di Roma) occorre che le stesse vengano richiamate e prodotte (Sez. 4, n. 27162 del 27/4/2015, Perassi ed altro, Rv. 263824). Il che non è avvenuto.
7. Al rigetto dei ricorsi consegue, ex lege, la condanna delle parti civili ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.