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Sdraiarsi per terra .. non è reato (Cass. 36754/17)

26 luglio 2017, Cassazione penale e Nicola Canestrini

Non costituisce reato la non collaborazione con il pubblico ufficiale, quale sdraiarsi a terra per impedire agli agenti di avvicinarsi al'autovettura, rifiutando al contempo di liberarla dei propri effetti personali, condotta qualificabile al più come resistenza passiva.

Non integrano il delitto di resistenza a pubblico ufficiale le espressioni di minaccia rivolte a quest'ultimo, quando esse non rivelino alcuna volontà di opporsi allo svolgimento dell'atto d'ufficio, ma rappresentino piuttosto una forma di contestazione della pregressa attività svolta dal pubblico ufficiale.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Sez. VI, Sent., (ud. 23/06/2017) 24-07-2017, n. 36754

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Giovanni - Presidente -

Dott. PETRUZZELLIS Anna - Consigliere -

Dott. MOGINI Stefano - Consigliere -

Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere -

Dott. DE AMICIS Gaetano - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.A., nato il (OMISSIS) a (OMISSIS);

L.M.K., nata il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 18/05/2015 della Corte di appello di Bari;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DE AMICIS Gaetano;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LOY Maria Francesca, che ha concluso per la inammissibilità dei ricorsi;

udito il difensore, Avv. P.G., che ha concluso per entrambi, chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso.


Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 18 maggio 2015 la Corte d'appello di Bari ha confermato la sentenza di primo grado che condannava C.A. alla pena di mesi sette di reclusione per i reati di cui all'art. 187 C.d.S., comma 7 (capo sub A), art. 116 C.d.S., comma 13 (capo sub B) e artt. 110, 337 c.p. (capo sub C) e L.M.K. alla pena di mesi sei di reclusione, in concorso con il C. per il solo reato di resistenza a pubblico ufficiale, al fine di impedire con frasi minacciose rivolte ad agenti della Polizia stradale il sequestro del veicolo a bordo del quale il primo era stato sorpreso alla guida in stato di ebbrezza alcoolica.

2. Nell'interesse dei predetti imputati ha proposto ricorso per cassazione il difensore, deducendo che il reato di cui al capo sub B) non è più previsto dalla legge come reato, mentre quello di cui al capo sub A), contestato al solo C. ex art. 186 C.d.S., comma 7, doveva essere diversamente valutato, in quanto gli agenti lo avevano invitato a sottoporsi ad un controllo non meglio specificato, di certo non mediante etilometro, con la conseguente necessità di procedere secondo quanto previsto dall'art. 354 c.p.p. e art. 349 c.p.p. , n. 2-bis. Si contesta, altresì, la configurabilità dei presupposti del reato di cui all'art. 337 c.p. , non essendo emersa dalle dichiarazioni degli agenti la prova della responsabilità degli imputati, che hanno solo offeso gli operanti, senza minacciarli nè contrastarne l'attività di polizia giudiziaria.


Motivi della decisione

1. Fondato deve ritenersi il ricorso proposto dalla L., atteso che la relativa condotta, posta in essere all'atto del controllo operato dalla Polizia stradale nei confronti del C., sulla cui autovettura ella viaggiava, è consistita, secondo quanto ricostruito dal Giudice di primo grado, nel porsi davanti alla vettura medesima, sdraiandosi a terra per impedire agli agenti di avvicinarvisi, rifiutando al contempo di liberarla dei propri effetti personali.

Un comportamento, quello ora indicato, che in assenza di congrui elementi sulle sue potenzialità o conseguenze dannose si risolve in un mero atto di resistenza passiva, inidoneo, come tale, ad integrare il reato ascrittole.

Secondo un pacifico insegnamento giurisprudenziale, nelle ipotesi in cui non sussista prova di una volontaria aggressione dei beni per operare un diretto condizionamento dell'attività posta in essere dai pubblici ufficiali, così da realizzare una diretta condotta oppositiva, deve escludersi la natura violenta dell'azione, che sostanzialmente si risolve in una mancata collaborazione, di per sè non sufficiente ad integrare gli elementi costitutivi del reato di resistenza (da ultimo, Sez. 6, n. 6069 del 13/01/2015, Malcangi, Rv. 262342).

Riguardo alla posizione della predetta ricorrente, dunque, s'impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

2. Parzialmente fondato deve ritenersi il ricorso proposto dal C., che va pertanto accolto entro i limiti e per gli effetti qui di seguito esposti e precisati.

2.1. Palesemente infondato deve ritenersi, in primo luogo, il profilo di doglianza attinente alla contestata configurabilità dell'ipotesi di reato di cui di cui al capo sub A), avendo i Giudici di merito fatto buon governo dei principii al riguardo stabiliti da questa Suprema Corte (Sez. 4, n. 11845 del 02/03/2010, Ortola, Rv. 246539), secondo cui il reato di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici di cui all'art. 186 C.d.S., comma 7, è integrato anche dal rifiuto di sottoporsi agli accertamenti effettuati dalla polizia stradale a mezzo degli strumenti portatili (cosiddetto "etilometro") di cui al comma 3 della suddetta disposizione normativa.

Nel caso di specie, invero, le conformi decisioni di merito hanno posto in evidenza il fatto che il ricorrente manifestava una chiara sintomatologia da assunzione di bevande alcooliche.

Il reato di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici, infatti, è configurabile anche nel caso di manifestazione sintomatica della condizione di ebbrezza alcolica da parte del soggetto sottoposto ad accertamento, stante l'autonomia di detto reato rispetto alla distinta fattispecie di guida in stato di ebbrezza, disciplinata dal comma 2 della medesima disposizione su richiamata medesimo art. 186 C.d.S. (Sez. 4, n. 13851 del 12/11/2014, dep. 2015, Fattizzo, Rv. 262870).

V'è poi da osservare che la polizia giudiziaria non ha l'obbligo di dare avviso della facoltà di nominare un difensore di fiducia alla persona sottoposta agli accertamenti qualitativi non invasivi e alle prove previsti dall'art. 186 C.d.S., comma 3, in quanto gli stessi hanno funzione meramente preliminare rispetto a quelli eseguiti mediante etilometro e, come tali, restano estranei alla categoria degli accertamenti di cui all'art. 354 c.p.p. (Sez. U, n. 5396 del 29/01/2015, Bianchi, Rv. 263025).

In ogni caso, la nullità conseguente al mancato avvertimento al conducente di un veicolo, da sottoporre all'esame alcoolimetrico, della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, in violazione dell'art. 114 disp. att. c.p.p. , può essere tempestivamente dedotta, a norma del combinato disposto dell'art. 180 c.p.p. e art. 182 c.p.p. , comma 2, secondo periodo, fino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado (Sez. U, n. 5396 del 29/01/2015, Bianchi, Rv. 263023), termine che nel caso di specie, come evidenziato dai Giudici d'appello, è inutilmente spirato.

2.2. Fondato, di contro, deve ritenersi il motivo che investe la configurabilità dei presupposti del reato di cui all'art. 337 c.p. , risultando dalla decisione impugnata che il ricorrente, sprovvisto della patente di guida in quanto revocatagli dal Prefetto, si limitò ad inveire contro gli agenti che stavano procedendo al sequestro della sua autovettura, soggiungendo, con generica espressione seguita a tale manifestazione di sfogo verbale, di essere sieropositivo e che, se il veicolo gli fosse stato tolto, "gliela avrebbe fatta pagare".

Non risulta chiaramente evidenziato, ripercorrendo la ricostruzione del fatto emergente dalla motivazione della sentenza impugnata, in cosa sia consistita la prospettata situazione pericolosa provocata dall'attività di resistenza del ricorrente, nè se la riferita espressione minacciosa sia stata reale ed abbia connotato in termini di effettività causale la idoneità della condotta a coartare o ad ostacolare l'agire dei pubblici ufficiali operanti, in ragione del dolo specifico che comunque deve sorreggere il comportamento del soggetto agente (Sez. 6, n. 45868 del 15/05/2012, Meligeni, Rv. 253983).

Al riguardo, infatti, questa Corte (Sez. 6, n. 31544 del 18/06/2009, Graceffo, Rv. 244695) ha da tempo stabilito:

a) che non integrano il delitto di resistenza a pubblico ufficiale le espressioni di minaccia rivolte a quest'ultimo, quando esse non rivelino alcuna volontà di opporsi allo svolgimento dell'atto d'ufficio, ma rappresentino piuttosto una forma di contestazione della pregressa attività svolta dal pubblico ufficiale;

b) che nel delitto di resistenza a pubblico ufficiale il dolo specifico si concreta nel fine di ostacolare l'attività pertinente al pubblico ufficio o servizio in atto, cosicchè il comportamento che non risulti tenuto a tale scopo, per quanto eventualmente illecito ad altro titolo, non integra il delitto in questione (Sez. 6, n. 36367 del 06/06/2013, Lorusso, Rv. 257100).

2.3. Ulteriore profilo che i Giudici di merito dovranno considerare ai fini della rideterminazione della pena è quello attinente all'intervenuta depenalizzazione del reato di cui al capo sub B), per effetto della modifica introdotta dalla previsione di cui al D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, art. 1, comma 5, lett. b).

2.4. S'impone, conseguentemente, l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza, per un nuovo giudizio sui punti critici sopra evidenziati, che dovrà colmare le su indicate lacune della motivazione, uniformandosi al quadro dei principii di diritto in questa Sede stabiliti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di C.A. e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari. Annulla senza rinvio la medesima sentenza nei confronti di L.M.K. perchè il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2017