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Utilizzabilità degli esami del sangue per il reato di guida in stato di ebbrezza (Cass. pen., 6786/14)

12 febbraio 2014, Cassazione penale

Sull'utilizzabilità, nell'ambito di un procedimento penale per guida in stato di ebbrezza, degli accertamenti ematochimici disposti in assenza di un espresso consenso dell'interessato.

 

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 23 gennaio ? 12 febbraio 2014, n. 6786
Presidente Sirena ? Relatore Dell?Utri

Ritenuto in fatto

1. - Con sentenza resa in data 20.5.2013, la Corte di appello di L'Aquila ha integralmente confermato la sentenza in data 23.3.2010 con la quale il Tribunale di Chieti ha condannato D.H. alla pena di otto mesi di arresto ed Euro 4.000,00 di ammenda, oltre alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo di un anno e sei mesi, in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza alcolica (tasso alcolemico pari a 3,16 g/1) commesso in (omissis) .
Avverso la sentenza d'appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, censurando la decisione impugnata per violazione di legge, avendo la corte territoriale raggiunto la prova della responsabilità penale del ricorrente esclusivamente sulla base dell'esito di accertamenti ematochimici nella specie assolutamente inutilizzabili.
In particolare, sottolinea il ricorrente come, in occasione del fatto de quo, gli organi di polizia giudiziaria intervenuti a seguito dell'incidente nella specie verificatosi, avessero richiesto agli operatori sanitari coinvolti di procedere al prelievo e all'analisi chimica del sangue del D. senza che detto prelievo fosse imposto da alcun protocollo medico di cura o di pronto di soccorso, bensì sollecitando direttamente la sottoposizione dell'imputato ad un prelievo ad hoc (esclusivamente destinato all'accertamento del reato), in assenza di alcun espresso consenso dell'interessato, con la conseguente assoluta inutilizzabilità delle risultanze delle analisi in tal modo effettuate.

Considerato in diritto

2. - Il ricorso è infondato.
Con riguardo al tema relativo all'utilizzabilità, nell'ambito di un procedimento penale per guida in stato di ebbrezza, degli accertamenti ematochimici disposti in assenza di un espresso consenso dell'interessato, ritiene il collegio di dover riproporre e ribadire, in questa sede, il vigore dei principi di recente statuiti da questa stessa corte di legittimità in occasione di una vicenda analoga a quella oggetto dell'odierno esame, nel corso della quale la questione relativa all'inutilizzabilità patologica degli accertamenti ematochimici compiuti in difetto di espresso consenso dell'imputato (astrattamente sol-levabile in relazione al significato normativo dei principi di natura costituzionale) è stata compiutamente affrontata e risolta (cfr. Cass., Sez. 4, n. 6755/2012, Rv. 254931).

Varrà innanzitutto osservare come le situazioni, in relazione all'accertamento del tasso alcolemico, che in concreto possono prospettarsi, nel momento in cui (come nel caso di specie) il conducente, presumibilmente in stato di ebbrezza, sia stato coinvolto in un incidente stradale e condotto presso una struttura sanitaria, sono diverse tra loro, benché in relazione a ciascuna di esse sia possibile individuare una regolamentazione ricavabile dalla norma di riferimento (art. 186, co. 5, c.d.s.) nella sua attuale formulazione già in vigore al momento del fatto di cui trattasi.

La disposizione normativa in parola prevede che, per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti alle cure mediche, l'accertamento del tasso alcolemico su richiesta degli organi della polizia stradale venga effettuato da parte delle strutture sanitarie, che rilasciano successivamente ai predetti organi la relativa certificazione estesa alla prognosi delle lesioni accertate. Il successivo art. 186, co. 6, c.d.s., statuisce che, qualora da tale accertamento risulti un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 grammi per litro di sangue, l'interessato è considerato in stato di ebbrezza ai fini delle applicazioni delle sanzioni di cui al comma 2 dello stesso articolo.

Da tali premesse discende che, in presenza dei presupposti di fatto indicati (coinvolgimento del conducente in un incidente stradale e sua sottoposizione a cure mediche da parte della struttura sanitaria), l'accertamento del tasso alcolemico richiesto ai sanitari dagli organi della polizia giudiziaria, è utilizzabile ai fini dell'affermazione della responsabilità dell'interessato, indipendentemente dal consenso che costui abbia o meno prestato all'effettuazione dell'accertamento stesso.

Il primo presupposto di fatto (ossia il coinvolgimento in un incidente stradale) è un dato oggettivo, non rilevando se esso abbia o meno coinvolto solo il veicolo dell'interessato o anche quello di altri, contando unicamente il pericolo causato alla circolazione stradale; per la sussistenza del secondo presupposto è necessario che il prelie-vo ematico sia stato eseguito dal personale sanitario della struttura presso cui è stato condotto l'interessato, nell'ambito di un protocollo medico di pronto soccorso; a tal fine, ovviamente, la valutazione se si debba o meno sottoporre il medesimo a cure mediche e procedere anche al prelievo ematico, onde predisporre adeguate cure farmaco-logiche, è rimessa agli stessi sanitari.

Nell'ambito delle cure che vengono in tal modo prestate con il prelievo ematico, gli organi di polizia giudiziaria sono legittimati a richiedere l'accertamento del tasso alcolemico, i cui risultati possono essere utilizzati ai fini penali, indipendentemente dal consenso prestato o meno in tal senso dal guidatore.

In tale caso, poiché l'acquisizione del risultato dell'accertamento ematico è previsto ex lege, non è affatto necessario, a tutela del diritto di difesa, che l'interessato venga avvertito della facoltà di nomina di un difensore. Il conducente potrebbe, però, opporsi alla sottoposizione alle cure mediche e, quindi, al prelievo di sangue e, sostanzialmente all'accertamento del tasso alcolemico, disposti dai sanitari nell'ambito di applicazione del protocollo di pronto soccorso cui si è fatto riferimento; tuttavia, in tal caso (atteso il collegamento tra il comma 7 ed il comma 5 dell'art. 186 c.d.s.), egli è punito con le pene previste dal comma 2, lett. c) dello stesso articolo, sempre, però, che sia stato informato che, nell'ambito delle cure mediche, era stato richiesto da parte della polizia giudiziaria ai sanitari il prelievo di sangue per l'accertamento del tasso alcolemico.

Diversamente, se i sanitari abbiano ritenuto di non sottoporre il conducente a cure mediche e a prelievo ematico, la richiesta degli organi di polizia giudiziaria di effettuare l'analisi del tasso alcolemico, in presenza di un dissenso espresso dell'interessato, è illegittima e, quindi, l'eventuale accertamento, comunque effettuato a mezzo del prelievo ematico da parte dei sanitari, è inutilizzabile ai fini dell'affermazione di responsabilità per una delle ipotesi di reato previste dall'art. 186, co. 2, c.d.s., (v. sul punto anche Cass., Sez. 4, n. 26108/2012, Rv. 253596, secondo cui i risultati del prelievo ematico effettuato per le terapie di pronto soccorso successive ad incidente stradale e non preordinato a fini di prova della responsabilità penale sono utilizzabili per l'accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, senza che rilevi l'assenza di consenso dell'interessato. In applicazione di tale principio la S.C. ha affermato che, per il suo carattere invasivo, il conducente può opporre un rifiuto al prelievo ematico se sia finalizzato esclusivamente all'accertamento della presenza di alcol nel sangue).

Non a caso si è fatto riferimento al dissenso espresso dell'interessato e non al suo mancato consenso, in quanto l'utilizzazione dell'una o dell'altra locuzione ha risvolti applicativi di non poco conto.

Ed, infatti, se basta "il dissenso espresso dell'interessato" gli organi di polizia giudiziaria possono richiedere ai sanitari l'effettuazione del prelievo ematico e, quindi, dell'accertamento del tasso alco-lemico, ancorché gli stessi non abbiano ritenuto necessario di sottoporre l'interessato a cure mediche, deducendo il consenso di quest'ultimo, ovviamente previa informazione al medesimo della finalità per cui è effettuato il prelievo ematico (trattasi pur sempre di un consenso informato), anche da un atteggiamento positivo, sebbene verbalmente non espresso; altrimenti, se si richiede "il consenso dell'interessato" è ovvio che esso debba essere espresso, cioè non ricavabile da suoi atteggiamenti.

La scelta del collegio di ritenere che, per l'utilizzabilità processuale dell'accertamento del tasso alcolemico, acquisito con le modalità descritte, non ci debba essere "il dissenso espresso dell'interessato", deriva dalla lettura dell'art. 186, co. 7, c.d.s., laddove il legislatore ha specificamente utilizzato il termine "rifiuto" da parte del conducente, con riferimento all'accertamento del tasso alcolemico (anche con riguardo al comma 5 dello stesso articolo): il significato lessicale di tale sostantivo di opporsi espressamente (con qualsiasi modalità, ovverosia verbale e non) ad una richiesta di fare o subire un qualche cosa (consenso informato) è incontrovertibile (v. infra sent. Corte Cost. n. 238/1996).
È del tutto ovvio, poi, alla luce di un'interpretazione sistematica della norma, che anche in questo caso l'espresso dissenso (rifiuto) del conducente all'effettuazione dell'accertamento alcolemico, richiesto dagli organi di polizia giudiziaria ai sanitari, al di fuori dei presupposti illustrati, di cui al comma 5, consente l'applicazione della disposizione del richiamato comma 7.

Con riguardo all'ipotizzata violazione da parte della disposizione normativa in esame dei principi costituzionali a tutela della libertà personale del cittadino e del suo diritto di rifiuto a sottoporsi ad accertamenti invasivi anche se per finalità di accertamento di reati, possono essere evocati i principi affermati con la sentenza della Corte Costituzionale n. 238/1996, la quale ha dichiarato l'illegittimità
dell'art. 224 c.p.p., comma 2, "nella parte in cui consente che il giudice, nell'ambito delle operazioni peritali, disponga misure che comunque incidano sulla libertà personale dell'indagato o dell'imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificamente previste nei "casi" e nei "modi" dalla legge". Principio a maggior ragione da valere anche per gli atti d'indagine.

Va osservato che la Corte Costituzionale, è giunta alla pronuncia d'illegittimità per arginare l'utilizzo di provvedimenti coercitivi atipici, astrattamente riconducibili alla nozione di "provvedimenti... necessari per l'esecuzione delle operazioni peritali", senza che fosse prevista alcuna distinzione tra quelli incidenti e quelli non incidenti sulla libertà personale, così cumulandoli in una disciplina, connotata da assoluta genericità di formulazione e totale carenza di ogni specificazione dei casi e dei modi in presenza dei quali soltanto poteva ritenersi legittima l'esecuzione coattiva di accertamenti peritali mediante l'adozione, a discrezione del giudice, di misure restrittive della libertà personale. Carenza normativa a cui, peraltro, di recente il legislatore ha posto riparo con l'introduzione dell'art. 224 bis c.p.p..

Invero, la stessa Corte, nella motivazione della sentenza, nel momento in cui censurava la genericità della disciplina del rito penale, ha segnalato come invece, ".... in un diverso contesto, che è quello del nuovo codice della strada (artt. 186 e 187), il legislatore - operando specificamente il bilanciamento tra l'esigenza probatoria di accertamento del reato e la garanzia costituzionale della libertà personale - abbia dettato una disciplina specifica (e settoriale) dell'accertamento (sulla persona del conducente in apparente stato di ebbrezza alcoolica o di assunzione di sostanze stupefacenti) della concentrazione di alcool nell'aria alveolare espirata e del prelievo di campioni di liquidi biologici, (prevedendo bensì in entrambi i casi la possibilità del rifiuto dell'accertamento, ma con la comminatoria di una sanzione penale per tale indisponibilità dei conducente ad offrirsi e cooperare all'acquisizione probatoria); disciplina - questa - la cui illegittimità costituzionale è stata recentemente esclusa da questa Corte (sentenza n. 194 del 1996, citata) proprio denegando, tra l'altro, la denunziata violazione dell'art. 13 Cost., comma 2, atteso che la dettagliata normativa di tale accertamento non consente neppure di ipotizzare la violazione della riserva di legge".

Ne consegue che lo stesso giudice delle leggi ha riconosciuto, nelle due pronunce sopra riportate, la legittimità della disciplina del codice della strada, anche laddove nell'indicare le modalità degli accertamenti tecnici per rilevare lo stato di ebbrezza, non prevede alcun preventivo consenso dell'interessato al prelievo dei campioni.

E, dunque, avendo la stessa Corte Costituzionale, nella richiamata sentenza, individuato quali sono i "trattamenti sanitari", c.d. invasivi, consentiti, tra cui il prelievo ematico, le modalità previste dall'art. 186, co. 5, c.d.s., per l'accertamento del tasso alcolemico trovano il loro fondamento nell'art. 32, comma 2 della Carta Costituzionale.

Ciò che può essere opposto è il rifiuto al controllo; ma la stessa sanzione penale che accompagna tale condotta, sancendone il disvalore, risulta incompatibile con la pretesa di un esplicito consenso al prelievo dei campioni.

Nel caso di specie, risulta incontestato dallo stesso tenore dell'odierno ricorso come il prelievo subito dal D. sia stato effettuato in assenza di un espresso dissenso dell'interessato nel rispetto delle norme vigenti all'epoca dei fatti, ai sensi dell'art. 186, co. 5, c.d.s., presso il presidio sanitario in cui l'imputato era stato condotto per controlli medici.

Sulla base delle argomentazioni sin qui comprendiate, deve ritenersi che le censure d'inutilizzabilità degli accertamenti ematochimici relativi alla positività all'alcool dell'imputato siano del tutto prive di fondamento; premessa da cui deriva il riscontro dell'infondatezza del ricorso con il conseguente relativo integrale rigetto.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.