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Consegna MAE impossibile per condizioni carcerarie in Belgio (Cass. 8916/18)

15 marzo 2018, Cassazione penale

Rifiuto alla consegna in procedimento MAE: a fronte di informazioni provenienti da fonti autorevoli e accreditate e prima di tutto alla luce di quanto rilevato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo in sentenze riguardanti lo Stato di emissione del M.A.E., deve essere verificato e ponderato il concreto rischio che il soggetto, di cui è chiesta la consegna, possa trovarsi esposto all’eventualità della sottcposizione a trattamenti inumani o degradanti, correlati alle condizioni degli istituti carcerari del Paese di emissione, in ragione del sovraffollamento o di altri strutturali e non puramente contingenti problemi.

 

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 febbraio 2017 – 26 febbraio 2018, n. 8916
Presidente Rotundo – Relatore Mogini

Ritenuto in fatto

1. R.G. ricorre per mezzo del suo difensore avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli che, in esecuzione di mandato di arresto Europeo processuale emesso in data 25/13/2017 dal Tribunale di Primo Grado di Hainaut (Belgio) e relativo a ordinanza di custodia cautelare in pari data emessa dal medesimo Tribunale in relazione a quattro rapine consumate ed una tentata commesse in diverse località belghe in periodo compreso tra il (omissis) e il (omissis), ha disposto la sua consegna alle autorità giudiziarie belghe per il titolo e i reati sopra indicati, alla condizione che il ricorrente, dopo essere stato ascoltato, sia rinviato in Italia per scontarvi la pena eventualmente pronunciata nei suoi confronti.


2. Il ricorrente deduce i seguenti motivi di ricorso.


2.1. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 18, comma 1, lett. h) della legge n. 69/2005 e vizi di motivazione, avendo la Corte territoriale omesso ogni dovuta verifica circa le condizioni carcerarie nello Stato di emissione e la loro compatibilità con i diritti fondamentali dell’individuo nonostante il ricorrente avesse concretamente allegato il rischio di trattamento inumano o degradante in caso di consegna, desumibile dalla sentenza della Corte e.d.u. Vasilescu c. Belgio in data 25/11/2014 e dalla dichiarazione pubblica del Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio di Europa (CPT) in data 13/7/2107.
2.2. Violazione degli artt. 20 e 24 L. 69/2005 e vizi di motivazione circa la ritenuta insussistenza dei presupposti per il rinvio della consegna a giustizia italiana soddisfatta, non avendo la Corte territoriale tenuto conto a tale proposito che il ricorrente, il quale è attualmente detenuto in espiazione della pena pari a un anno di reclusione a lui inflitta per il delitto di cui all’art. 73 D.P.R. 309/1990 (fine pena massimo 14/4/2018), dovrà altresì scontare condanna, anch’essa irrevocabile, alla pena di otto mesi di reclusione per il reato di evasione ed è anche sottoposto a processo per il reato di insolvenza fraudolenta. La sentenza impugnata si è invece limitata a valutare l’esistenza del solo provvedimento relativo alla violazione della normativa sugli stupefacenti, ora passato in giudicato, sicché viziato dovrebbe ritenersi il giudizio in base al quale la Corte territoriale ha ritenuto connotati da maggiore gravità i reati ipotizzati nel mandato di arresto Europeo rispetto a quelli oggetto delle condanne riportate dal ricorrente e del processo al quale egli risulta sottoposto in Italia.
2.3. Il difensore ha fatto oggi pervenire via fax eccezione in ordine alla mancata notifica dell’avviso dell’odierna udienza al ricorrente.

Considerato in diritto

3. Il primo motivo di ricorso è fondato. La Corte territoriale ha infatti respinto la doglianza riguardante il rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti correlati alla situazione carceraria in Belgio senza disporre l’acquisizione di informazioni e accertamenti integrativi ai sensi dell’art. 16 L. 69/2005.

La Corte di appello ha al proposito ritenuto che la sentenza della Corte e.d.u. del 25/11/2014, Vasilescu contro Belgio, si riferisce a condizioni rilevate nel 2011 in due specifici penitenziari (Anversa e Merksplas) e che quelle condizioni negative devono ritenersi allo stato bonificate, stante l’assenza di ulteriori indicazioni in proposito provenienti da organismi Europei o internazionali, ovvero da qualificate organizzazioni non governative. La Corte territoriale ha altresì ritenuto inidonee a dimostrare l’esistenza del suddetto rischio le allegazioni del ricorrente in ordine a situazioni conseguenti a scioperi del personale addetto alla custodia dei detenuti in Belgio, poiché risultanti da fonti giornalistiche non attendibili e non controllabili nel loro contenuto.

In via preliminare, mette conto rammentare che, secondo quanto chiarito da questa Corte di legittimità sulla scorta delle indicazioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza 5 aprile 2016, C404/15, Aaranyosi e C659/15, Caldararu, il motivo di rifiuto della consegna correlato al "serio pericolo" che la persona venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, impone di verificare, dopo aver accertato l’esistenza di un generale rischio di trattamento inumano da parte dello Stato membro (basandosi su "elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati" sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato membro emittente e comprovanti la presenza di carenze sia sistemiche o comunque generalizzate, sia limitate ad alcuni gruppi di persone o a determinati centri di detenzione), se, in concreto, la persona oggetto del M.A.E. potrà essere sottoposta ad un trattamento inumano, sicché a tal fine può essere richiesta allo Stato emittente qualsiasi informazione complementare necessaria (Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbe, Rv. 267296).
Proprio in relazione alla situazione delle carceri del Belgio, questa Corte ha del resto affermato che, in tema di mandato di arresto Europeo emesso dall’Autorità Giudiziaria belga, la condizione di rischio connessa a problemi di tipo strutturale che possono tradursi nella sottoposizione dei detenuti a trattamenti inumani o degradanti, evidenziata dalla sentenza Vasilescu c. Belgio del 25/11/2014 della Corte Europea dei diritti dell’uomo, impone all’autorità giudiziaria richiesta della consegna di verificare in concreto la sussistenza di tale rischio, correlata alla condizione degli istituti carcerari dello Stato di emissione, attraverso la richiesta di informazioni individualizzate allo Stato richiedente relative al tipo di trattamento carcerario cui sarebbe, specificamente, sottoposto il soggetto interessato (Sez. 6, n. 22249 del 03/05/2017, Bernard Pascale, Rv. 269920).
In vero, a fronte di informazioni provenienti da fonti autorevoli e accreditate e prima di tutto alla luce di quanto rilevato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo in sentenze riguardanti lo Stato di emissione del M.A.E., deve essere verificato e ponderato il concreto rischio che il soggetto, di cui è chiesta la consegna, possa trovarsi esposto all’eventualità della sottcposizione a trattamenti inumani o degradanti, correlati alle condizioni degli istituti carcerari del Paese di emissione, in ragione del sovraffollamento o di altri strutturali e non puramente contingenti problemi.
D’altro canto, in presenza di una situazione di allarme, originato dall’accertata esistenza di condizioni di rischio, la necessaria verifica implica che siano acquisite specifiche assicurazioni dallo Stato di emissione, che non possono solo concernere profili di carattere generale, ma devono essere individualizzate in relazione alla situazione riguardante il soggetto interessato alla procedura di consegna.
Nel caso di specie, la sentenza Vasilescu contro Belgio della Corte Europea dei diritti umani, pur non avendo assunto la forma della sentenza c.d. pilota, ha tuttavia posto in luce, tanto più con riguardo a taluni stabilimenti penitenziari, problemi che ha definito di tipo strutturale, cui sono riconducibili situazioni che possono tradursi nella sottoposizione dei detenuti a trattamenti inumani e degradanti.
La Corte territoriale ha dunque svalutato tale sentenza ritenendo in maniera del tutto congetturale e indimostrata - e senza procedere ai necessari accertamenti integrativi previsti dall’art. 16 L. 69/2005 - che i problemi strutturali rilevati dalla Corte e.d.u. siano stati risolti.
Oggetto di infondata ed illogica svalutazione da parte della Corte territoriale deve inoltre ritenersi l’allegazione del ricorrente circa il concreto rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti derivante dalle gravi conseguenze prodotte nelle carceri belghe a seguito di scioperi o altre azioni collettive degli agenti penitenziari. Si tratta infatti di situazioni più volte segnalate dal Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa e che hanno recentemente condotto il Comitato, in mancanza dell’adozione di misure idonee, a emettere in data 13/7/2017, ai sensi dell’art. 10(2) della Convenzione istitutiva di detto Comitato, una Dichiarazione Pubblica con la quale si denuncia il rischio di assoggettamento di un gran numero di detenuti a trattamenti inumani e degradanti, ovvero all’aggravamento di condizioni detentive già intollerabili e all’esposizione dei detenuti a pericolo per la loro salute e la loro stessa vita.
Da tutto ciò discende la sussistenza della violazione dell’artt. 16 L. 69/2005, in relazione all’art. 18, lett. h) della stessa legge, e del denunciato vizio di motivazione della sentenza impugnata. Si rende pertanto necessario l’annullamento della sentenza in esame con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli perchè proceda a nuovo giudizio circa l’eventuale sussistenza del motivo di rifiuto di cui al citato art. 18, lett. h) in relazione al tipo di trattamento carcerario cui sarebbe specificamente sottoposto il ricorrente (si veda Cass. Sez. 6, n 23277 del 1/6/2016, Barbu, rv. 26729, per il tipo di informazioni necessarie e le conseguenze che possono discendere dalla mancanza di risposte adeguate allo scopo) e alle misure adottate dal Belgio per eliminare i rischi segnalati dal Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa con Dichiarazione Pubblica emessa in data 13/7/2017 ai sensi dell’art. 10(2) della Convenzione istitutiva di detto Comitato.
4. L’ulteriore motivo di ricorso risulta assorbito, dovendo la valutazione delle condizioni per l’eventuale rinvio della consegna ai sensi dell’art. 24 L. 69/2005 essere svolta alla stregua della concreta situazione esistente al momento del giudizio di rinvio, anche, eventualmente, sulla base della documentazione di cui si rendesse necessaria l’acquisizione (Sez. 6, n. 14764 del 27/03/2013, Furman, Rv. 257020).
Il Collegio rammenta a tale riguardo che la facoltà riconosciuta alla Corte d’appello di rinviare la consegna per consentire alla persona richiesta di essere sottoposta a procedimento penale in Italia per un reato diverso da quello oggetto del mandato d’arresto, implica una valutazione di opportunità che deve tener conto non solo dei criteri desumibili dall’art. 20 L. n. 69 del 2005 (ossia, la gravità dei reati e la loro data di consumazione), ma anche di altri parametri, quali, ad esempio, lo stato di restrizione della libertà, la complessità dei procedimenti, la fase o il grado in cui essi si trovano, l’eventuale definizione con sentenza passata in giudicato, l’entità della pena da scontare e le prevedibili modalità della sua esecuzione (Sez. 6, n. 26877 del 25/05/2017, P.G. in proc. Alexe, Rv. 270164; Sez. 6, n. 10892 del 05/03/2014, B., Rv. 259340).
Del tutto generica e in ogni caso infondata l’eccezione riguardante la notifica al ricorrente dell’avviso di fissazione dell’odierna udienza, notificato regolarmente al ricorrente presso il difensore di fiducia.
La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, l. n. 69 del 2005.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’ipotesi di rifiuto di cui all’art. 18 lett. h), l. n. 69 del 2005 e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, l. n. 69 del 2005.