Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Rischio di trattamento inumano impone verifica puntuale (Cass. 35255/16)

22 agosto 2016, Cassazione penale

In tema di procedimento per esecuzione di un mandato di arresto europeo, la Corte territoriale, conformandosi all'interpretazione della decisione quadro del 2002 risultante dalla sentenza della Corte di giustizia Aranyosi Cadararu, è tenuta a svolgere una verifica specifica, volta a dimostrare che non sussiste il rischio concreto che la persona richiesta in consegna sia sottoposta nello Stato di emissione ad un trattamento contrario all'art. 3 CEDU.


Cassazione penale

Sez. feriale, Sent., (ud. 18/08/2016) 22-08-2016, n. 35255

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

T.L., nato in (OMISSIS);

avverso la sentenza del 19 maggio 2016 della Corte d'appello di Venezia;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal componente Dott. PETRUZZELLIS Anna;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TOCCI Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

1. La Corte d'appello di Venezia, con sentenza del 19 maggio 2016, ha disposto la consegna di T.L. all'autorità giudiziaria rumena che ne aveva fatto richiesta con mandato di arresto europeo esecutivo del 4 marzo 2016, per l'esecuzione della sentenza della Pretura di Galati del 24 novembre 2015 con la quale era stata accertata la responsabilità dell'interessato in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza, per cui era stata comminata una pena di anni uno di reclusione; con il medesimo provvedimento si è disposta l'esecuzione della pena di mesi sei riportata dall'interessato con condanna della medesima autorità divenuta definita il 16 aprile 2013, in relazione alla quale è stata revocata la sospensione della pena, per effetto dell'accertamento del successivo reato.

La pronuncia richiamata è divenuta definitiva in data 9 febbraio 2016 in ragione del rigetto dell'appello disposto dalla Corte di Galati.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso la difesa del L., con il quale si lamenta la mancata considerazione dell'impossibilità nel territorio rumeno di accedere a forme alternative alla detenzione per l'imputazione indicata, contrariamente a quanto avviene nel nostro territorio, circostanza che priverebbe l'istanza dell'essenziale requisito della doppia punibilità.

3. Si lamenta inoltre violazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. h) nella parte in cui ha escluso che potesse ritenersi accertato il pericolo di sottoposizione dell'interessato a trattamenti inumani e degradanti, a fronte della natura notoria della circostanza.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato, limitatamente al secondo motivo proposto.

2. Invero quanto al primo motivo di ricorso deve escludersene la fondatezza, posto che, come già più volte affermato in precedenti di questa Corte il principio della doppia punibilità previsto dalla L. cit., art. 7 impone la corrispondenza tra gli illeciti penali contemplati nei due diversi sistemi penali degli Stati - richiedente e richiesto -, laddove la comparazione della sanzione può assumere incidenza solo nell'ipotesi di esorbitanza macroscopica, eventualmente affiorata dall'esame comparativo dei due regimi sanzionatori, situazione non solo non rilevata in fatto nella proposta impugnazione, ma neppure sussistente in concreto, posto che la sanzione comminata nel caso di specie in relazione all'accertata guida in stato di ebbrezza con tasso alcoolico riscontrato nel sangue superiore a 2 mg/l, pari ad un anno, è sovrapponibile a quella astrattamente applicabile anche in territorio italiano.

L'ulteriore sanzione esecutiva, pari a mesi sei, comminata per reato analogo rientra, a maggior ragione nell'ambito della sanzione applicabile anche in Italia e risulta parimenti priva dei requisiti idonei ad escludere la comparabilità delle fattispecie incriminatrici.

E' appena il caso di rilevare da ultimo che l'astratta possibilità in Italia di accedere a misure alternative alla detenzione per sanzioni simili non crea una condizione di impedimento alla consegna, trattandosi di regolamentazione interna, non imposta dall'attuazione di principi convenzionali o comunitari, pienamente compatibile essendo, sulla base di questi, la diversa modalità esecutiva realizzata nello Stato richiedente. Peraltro proprio sulla base di quanto in seguito esposto, è dato ricavare la scarsa concretezza dell'allegazione, posto che la riforma del 2014 risulta aver introdotto in Romania forme alternative di espiazione delle pena detentive.

3. Deve invece accertarsi l'esistenza del vizio lamentato nella pronuncia impugnata, in relazione all'omessa verificazione delle condizioni di carcerazione cui sarà sottoposto L. in Romania.

3.1. Non è in primo luogo condivisibile la valutazione, svolta dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata, di genericità della deduzione attinente alla presenza in quel paese di possibili condizioni carcerarie che non si adeguano agli standard europei. Invero la Grande Sezione della Corte di Giustizia dell'Unione europea, con sentenza del 5 aprile 2016, ha affrontato la questione pregiudiziale, sottopostale da uno Stato membro in relazione ad una consegna alle autorità giudiziarie rumene richiesta con mandato di arresto europeo di natura esecutiva, concernente la possibilità di introdurre un motivo di non esecuzione non previsto espressamente dal legislatore dell'Unione europea: ovvero la presenza di gravi indizi sulla violazione dei diritti fondamentali dell'interessato e dei principi giuridici generali sanciti dall'art. 6 TUE da parte dello Stato di emissione in relazione alle condizioni di detenzione, la situazione di pericolo che ne deriva può ritenersi acquisita.

3.2. La questione pregiudiziale prendeva le mosse sia da varie sentenze di condanna per l'art. 3 CEDU pronunciate il 10 giugno 2014 dalla Corte europea per i diritti umani nei confronti della Romania (Corte EDU, Bujorean c. Romania, n. 13054/12; Constantin Aurelian Burlacu c. Romania, n. 51318/12, e Mihai Laurentiu Marin c. Romania, n. 79857/12) per il sovraffollamento delle carceri e per le pessime condizioni materiali di detenzione (celle prive di igiene e di sufficiente riscaldamento, nonchè di acqua calda per la doccia), sia dal Rapporto, pubblicato dal Consiglio d'Europa il 24 settembre 2015 (doc. CPT/Inf (2015) 31), del Comitato europeo per la prevenzione della tortura del Consiglio (CPT), in relazione alla situazione delle carceri in Romania, a seguito di visite effettuate tra il 5 e il 17 giugno 2014. In particolare, quest'ultimo documento evidenziava il persistente problema del sovraffollamento nelle carceri rumene (considerato l'alto numero della popolazione carceraria rispetto alla capienza massima degli istituti di polizia e penitenziari), fronteggiato dalla Romania con alcune riforme (misure alternative al carcere, riduzione delle pene carcerarie e del ricorso alla carcerazione preventiva), la cui effettività non era stata oggetto di valutazione, in quanto varate solo il primo febbraio 2014. All'esito della visita effettuata presso tre strutture carcerarie, con risultati non univocamente rassicuranti, il Comitato aveva inoltrato alla Romania una serie di raccomandazioni, tra le quali quelle di garantire un minimo di 4 mq. di spazio per ogni detenuto e di rivedere le condizioni sanitarie e igieniche degli stabilimenti penitenziari.

Le pronunce della Corte EDU in argomento si sono succedute nel tempo, fino a data recente -tra le tante, la sentenza del 18 giugno 2015 (Corte EDU, Aprea ed altri c. Romania, n. 54966/09 e ss.gg), relativa ai ricorsi di 20 detenuti, e la sentenza del 4 aprile 2016 (Corte EDU, Materi ed altri c. Romania, 32435/13 e ss.gg), relativa a 18 detenuti- a conferma di una situazione ancora attuale e del mancato superamento della criticità della condizione carceraria in quel Paese, su vasta scala. Pur dandosi conto dell'impegno, normativo e strutturale profuso da quel Paese per migliorare condizioni richiamate, come evidenziava il Rapporto del CPT, non è nota l'effettività di queste riforme e allo stato quindi non vi è motivo per escludere che permanga un problema diffuso delle condizioni del trattamento penitenziario, contrario agli standard europei.

3.3. L'interpretazione fornita dalla Corte di giustizia pone in evidenza due aspetti nodali: da un lato che il meccanismo di consegna delineato dalla decisione quadro del 2002, fondato sul principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri, che presuppone che tutti rispettino il diritto dell'Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest'ultimo non consente di prescindere dalla constatazione dell'effettivo e concreto grave malfunzionamento del sistema penitenziario dello Stato membro emittente, dall'altro che proprio i principi fondanti l'Unione europea obbliga ogni Stato membro al rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla CEDU, come rammenta il considerando 10 della decisione quadro, in base al quale l'attuazione del mandato d'arresto europeo può essere sospesa in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all'art. 6, paragrafo 1, UE. Pertanto, la Corte di giustizia ha da un canto affermato che lo Stato membro di esecuzione è tenuto ad accertare concretamente in relazione alla persona richiesta in consegna l'esistenza di un rischio collegato al divieto di pene o di trattamenti inumani o degradanti, contenuto nell'art. 4 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e nell'art. 3 CEDU, che nel contempo va salvaguardata la possibilità della realizzazione della consegna stessa, consentendo entro un tempo ragionevole allo Stato membro di emissione di rimuovere le condizioni ostative connesse a tale rischio. Una volta verificata l'esistenza di un rischio concreto di trattamento contrario all'art. 3 CEDU ad opera di uno Stato membro, spetta infatti a quest'ultimo provvedere a rimuoverlo. La Corte di giustizia ha quindi delineato la procedura che gli Stati membri devono seguire allorquando l'autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione disponga di elementi che attestino un rischio concreto di trattamento inumano o degradante dei detenuti nello Stato membro di emissione.

3.4. In primo luogo, detta autorità deve valutare se tale rischio sussista, basandosi su elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato membro emittente e comprovanti la presenza di carenze sia sistemiche o comunque generalizzate, sia limitate ad alcuni gruppi di persone o a determinati centri di detenzione. A tal fine, la Corte ha indicato quali fonti conoscitive qualificate le decisioni giudiziarie internazionali, in particolare le sentenze della Corte EDU, le decisioni giudiziarie dello Stato membro emittente, nonchè decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d'Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite.

3.5. Una volta accertata la sussistenza di un rischio concreto di trattamento inumano o degradante, dovuto alle condizioni generali di detenzione nello Stato membro emittente, l'autorità giudiziaria di esecuzione deve svolgere un'indagine volta cioè a stabilire se, nel caso concreto, l'interessato alla consegna sarà sottoposto ad un trattamento inumano o degradante. In altri termini, deve essere effettuato un supplemento di istruttoria, a norma dell'art. 15, par. 2 della decisione quadro del 2002, per richiedere con urgenza all'autorità giudiziaria dello Stato membro emittente qualsiasi informazione complementare necessaria in ordine alle condizioni di detenzione previste per la persona di cui è stata chiesta la consegna e all'esistenza di procedimenti e meccanismi nazionali o internazionali di controllo delle condizioni di detenzione che consentano di valutare lo stato effettivo delle condizioni di detenzione in predetti istituti.

La Corte di giustizia, a tal riguardo, ha rammentato l'opportunità che venga fissato un termine massimo per la ricezione delle informazioni complementari, che tenga conto dei termini fissati dall'art. 17 della decisione quadro, ma che sia al contempo adeguato ai tempi necessari allo Stato di emissione per raccogliere le informazioni richieste, se necessario ricorrendo a tal fine all'assistenza dell'autorità centrale. La stessa Corte ha quindi precisato che la consegna sarà disposta, se l'autorità giudiziaria di esecuzione escluda, sulla base delle informazioni individualizzate ricevute, un rischio concreto di trattamento inumano o degradante, rispetto alla persona oggetto del mandato d'arresto europeo ed ha volutamente evitato di prevedere eventuali garanzie sul rispetto delle condizioni di detenzione da parte dello Stato di esecuzione, così come prospettato dal giudice del rinvio.

Nella cooperazione tra autorità giudiziarie sulla base del meccanismo del mandato di arresto europeo, fuori dalla dimensione politica tipica dell'estradizione, vengono in considerazione esclusivamente le informazioni che portino ad escludere la sussistenza del rischio. Informazioni delle quali lo Stato di esecuzione, in conformità con i principi del mutuo riconoscimento, deve prendere atto. Nel diverso caso in cui, sulla base delle informazioni fornite, non venga escluso il rischio concreto di trattamento inumano o degradante, la Corte di giustizia ha stabilito che l'esecuzione del mandato deve essere rinviata, ma non può essere abbandonata e ne va informato Eurojust.

In buona sostanza, l'autorità giudiziaria di esecuzione deve rinviare la propria decisione sulla consegna, fintanto che non ottenga -entro un termine ragionevole- informazioni complementari che le consentano di escludere la sussistenza di un siffatto rischio. Al di là della praticabilità di un epilogo siffatto nei singoli ordinamenti, quel che la Corte di giustizia sembra voler affermare è che la decisione del giudice nazionale non deve impedire la consegna se pervengano in seguito le informazioni che portino ad escludere la sussistenza del rischio in questione.

4. Applicando tali principi generali al caso in esame si deve in primo luogo rilevare che non corretta la valutazione di genericità della deduzione sulle condizioni carcerarie in Romania, stante quanto già verificato, in linea generale, attraverso gli organismi internazionali.

4.1. Esclusa la logicità della motivazione resa sul punto dalla Corte territoriale questa, conformandosi all'interpretazione della decisione quadro del 2002 risultante dalla sentenza della Corte di giustizia sopra citata, tenuto conto dell'espresso motivo di rifiuto della consegna previsto dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. h), è tenuta a svolgere una verifica specifica, volta a dimostrare che non sussiste il rischio concreto che la persona richiesta in consegna sia sottoposta nello Stato di emissione ad un trattamento contrario all'art. 3 CEDU. La sentenza impugnata deve essere quindi annullata affinchè la Corte di appello effettui gli opportuni accertamenti, essendosi già constatato, sulla base di quanto richiamato la sussistenza nelle carceri rumene di un problema sistemico del trattamento penitenziario.

4.2. Quanto alla procedura che dovrà essere seguita dalla Corte di appello nell'adeguarsi alle indicazioni della Corte di giustizia, si possono delineare i seguenti passaggi, già evidenziati nella pronuncia di questa Corte in argomento (Sez. 6 1 giugno 2016 n. 23277, Barbu). La Corte di appello dovrà inoltrare all'autorità giudiziaria rumena la richiesta, ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 16, avente ad oggetto le seguenti informazioni complementari: se la persona richiesta in consegna sarà detenuta presso una struttura carceraria; in caso positivo, le condizioni di detenzione che saranno riservate all'interessato, al fine di escludere in concreto il rischio di un trattamento contrario all'art. 3 CEDU (ovvero il nome della struttura in cui sarà detenuto, lo spazio individuale minimo intramurario allo stesso riservato, le condizioni igieniche e di salubrità dell'alloggio; i meccanismi nazionali o internazionali per il controllo delle condizioni effettive di detenzione del consegnando). L'inoltro attraverso l'autorità amministrativa centrale potrà garantire sia una tendenziale omogenea trattazione dei casi simili, sia il presidio delle autorità politiche, cui fa riferimento il considerando n. 10 sopra citato.

4.3. Nell'inoltrare la richiesta di informazioni complementari, la Corte di appello dovrà fissare un termine adeguato che, ai sensi dell'art. 16 cit., non potrà comunque essere superiore ai trenta giorni.

4.4. Ricevute le informazioni richieste, la Corte di appello dovrà valutare se sulla base delle stesse risulti escluso il rischio concreto di un trattamento contrario all'art. 3 CEDU. Al fine di determinare lo spazio individuale intramurario conforme agli standard europei, il giudice del rinvio terrà conto dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, che ha stabilito che questo va individuato in uno spazio pari almeno a tre metri quadrati calpestabili (Sez. 1, n. 5728 del 19 dicembre 2013, dep. 2014, Berni, Rv. 257924), richiamando la giurisprudenza della Corte EDU sul punto (Corte EDU, 21/072007, Kantyrev c. Russia, n. 37213/02, 50-51; 29 marzo 2007, Andrei Frolov c. Russia, n. 205/02, 47-49; 4 dicembre 2012, Torreggiani c. Italia, n. 43517/09, 68). Laddove pervengano informazioni sufficienti ad escludere per la persona richiesta in consegna il rischio di un trattamento contrario all'art. 3 CEDU nei termini suddetti, la consegna sarà consentita. Diversamente se dalle stesse non può escludersi il suddetto rischio, la Corte di appello è tenuta a rifiutare - allo stato degli atti in ordine alla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. h) - la consegna.

4.5. La decisione allo stato degli atti si giustifica in conformità alle indicazioni fornite dalla Corte di giustizia, nella prospettiva che, entro un tempo ragionevole, lo Stato di emissione possa adottare in relazione alla persona richiesta in consegna le misure necessarie per assicurare le condizioni essenziali per la consegna stessa, ovvero il rispetto dei diritti inviolabili della persona umana, sanciti dalla Carta fondamentale dell'Unione europea. Il che significa che, laddove l'autorità giudiziaria dello Stato di emissione faccia pervenire, successivamente e comunque entro un termine ragionevole, le suddette informazioni, alla luce dei parametri sopra indicati, il giudicato allo stato degli atti formatosi sul rifiuto della consegna, se rende irretrattabili le altre questioni già decise, non impedisce la pronuncia di una successiva sentenza favorevole alla consegna, in relazione ai nuovi elementi sopravvenuti sulle condizioni di futura detenzione.

5. In forza delle considerazioni esposte la sentenza impugnata deve essere quindi annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia per nuovo giudizio in ordine alla questione relativa alla sussistenza dell'ipotesi di rifiuto di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. h), in applicazione dei principi sopra enunciati.

La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5,.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

Così deciso in Roma, il 18 agosto 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2016