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Diffamazione, diritto di libera manifestazione del pensiero e organizzazioni che si ispirano al regime fascista

26 marzo 2012, Nicola Canestrini

Nonostante la fine del regime fascista, sono sopravvissute associazioni e organizzazioni politiche che, come Forza Nuova, si ispirano a questa ideologia e che, come nel caso in esame, pretendono di tutelare la propria identità politica.

CASSAZIONE PENALE (SEZ. V) - SENTENZA 8 GENNAIO 2010, N. 19449

FATTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza emessa il 15.12.08, la Corte di appello di Trieste, in riforma della sentenza emessa il 7.6.06 dal tribunale della stessa sede, ha dichiarato C.G. responsabile, ai soli effetti civili, di diffamazione in danno dell'Associazione Forza Nuova e lo ha condannato al risarcimento dei danni, liquidati in Euro 2.000, e al pagamento di Euro 1.000 a titolo di riparazione pecuniaria, nonchè alla rifusione delle spese, liquidate in Euro 1.330.

Il C. aveva scritto al direttore responsabile del quotidiano "(OMISSIS)" di (OMISSIS) tre lettere, pubblicate nei giorni (OMISSIS), con cui criticava il raduno dell'associazione Forza Nuova, effettivamente svoltosi a (OMISSIS) di quell'anno.

F.R., nella qualità di segretario dell'associazione, aveva presentato querela per diffamazione, avendo reputato lesive della reputazione le più volte utilizzate espressioni, "nazifascisti" "neonazisti", dirette ai militanti dell'associazione e all'associazione stessa, ritenendole frutto di ignoranza storica.

Secondo il querelante, le espressioni "nazista" (o "neonazista") erano certamente offensive e lesive della dignità e dell'identità politica di Forza Nuova; queste locuzioni, lungi dal costituire una qualifica ideologica, esprimono in realtà una squalifica morale e politica di colui o di coloro nei cui confronti erano state lanciate e ciò per l'evidente connessione tra il movimento nazista e la spietata politica di persecuzione razziale. Il querelante teneva a che fosse rispettata la verità storica, secondo cui una cosa fu il fascismo, altro cosa fu il nazismo; il nazifascismo era stato, a tutto concedere, un'alleanza militare. Secondo il segretario F., il programma politico e lo statuto dell'associazione dimostrano l'assenza di qualsiasi connotazione razzista o filo nazista, incompatibili con l'esplicita adesione ai principi cattolici e ai principi della Costituzione e dei trattati internazionali.

La scelta democratica dell'associazione è dimostrata poi dalla sua partecipazione ad alcune competizioni elettorali.

Quanto alle accuse di squadrismo, sopraffazione, violenza, la loro genericità costituisce la miglior riprova della gratuità e calunniosità delle medesime. Ugualmente diffamatorie e al di fuori di una corretta critica politica sono le espressioni "accozzaglia" e il riferimento alla Risiera quale ideale luogo di convegno dei fascisti locali.

Il tribunale di Trieste ha riconosciuto la sussistenza dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica, in quanto ha ritenuto che risultano rispettati i canoni prescritti dalla consolidata giurisprudenza di legittimità: la verità del nucleo essenziale della notizia è da riconoscere, in quanto è da registrare l'effettivo svolgimento del raduno degli aderenti all'associazione, nel novembre del 2000, nel capoluogo giuliano. Il C. ha auspicato che le autorità cittadine impedissero una manifestazione di Forza Nuova proprio a (OMISSIS), città che ha subito la vergogna di ospitare un campo di concentramento e la cui borghesia aveva appoggiato e supportato l'amministrazione germanica di Raider dall'ottobre del 1943 alla fine dell'aprile del 1945.

La rilevanza sociale, secondo il primo giudice, non è dubitabile per le ragioni di ordine storico sottolineate dal C. nelle sue missive e più in generale per l'interesse dei cittadini a conoscere valutazioni in merito a una manifestazione politica di livello nazionale che si sarebbe svolta e si svolse nella propria città.

Quanto alla requisito della continenza formale, il giudice ha considerato che le locuzioni nazista e fascista sono comunemente utilizzate per indicare un movimento politico dichiaratamente di destra, senza esprimere necessariamente valenza dispregiativa, in quanto "termini, proposizioni cui si ricorre ormai comunemente nel linguaggio critico per designare momenti dello stesso fenomeno di schieramento inserito in una struttura in ragione di un'appartenenza ad un'area politica, di adesione talora incondizionata agli orientamenti di un partito o di un leader".

Tali espressioni sono aspre in maniera pienamente correlata all'ambito di polemica politica in cui sono state utilizzate e non trasmodano in attacco personale diretto a screditare gli aderenti a diversa posizione politica.

La Corte di appello ha invece ritenuto che la condotta del C. non può ritenersi scriminata dall'esimente del diritto di critica, poichè il requisito della verità di quanto esposto nelle lettere va valutato non in riferimento al neutro fatto storico del raduno programmato dal movimento Forza Nuova, ma a quei caratteri di violenza di sopraffazione, prepotenza razzismo e nazismo che, secondo l'autore delle missive, sarebbero propri dell'ideologia del movimento e dell'agire dei suoi aderenti. Queste affermazioni sono lesive della reputazione, in quanto attribuiscono al movimento e ai suoi militanti idee e comportamenti di assoluto disvalore morale, giuridico e sociale e anche li equiparano a quelli del regime nazista che si è reso responsabile di gravissimi crimini contro l'umanità.

Secondo i giudici della Corte territoriale, tali affermazioni sono rimaste del tutto indimostrate, posto che nel dibattimento di primo grado non è stata acquisita e nemmeno offerta alcuna prova volta ad evidenziare la veridicità di quanto sostenuto dal C. nelle missive incriminate. Neppure risultano interventi dell'Autorità da cui possano emergere pericoli di violenze e sopraffazioni di tipo nazista.

Il C. ha presentato ricorso per violazione di legge, per erronea esclusione dell'esimente del diritto di critica, il cui riconoscimento non dipende dalla verità dei fatti che danno spunto alla valutazione critica, ma solo dal rispetto della figura morale del criticato, senza che si trascenda nel campo della smodata aggressione alla persona e della contumelia.

Posto che la critica in esame riguarda il campo politico, secondo un corretto orientamento interpretativo, sono consentiti anche toni aspri.

Tali toni sono giustificati dalla posizione politica dell'Associazione, che si è dichiarata contraria alla ricostruzione nazionale fondata sull'antifascismo. Nel comunicato della segreteria n. 16 del 17.4.2002 (pubblicata sul sito ufficiale di Forza Nuova www.forzanuova.org.) si legge "Forza Nuova crede che per una vera ricostruzione nazionale e per una vera ricostruzione della coscienza di popolo, la Repubblica nata e basata sull'antifascismo militante, debba finire ed il Fascismo con le sue tesi e la sua dottrina debba ritrovare il giusto spazio nella storia e nella cultura del nostro paese".

Secondo il ricorrente, Forza Nuova professa idee di estrema destra e trattasi di fatto notorio che non necessita di dimostrazione.

 

DIRITTO

Preliminare al giudizio sulla fondatezza o meno del ricorso è l'esame del punto centrale della doglianza prospettata dalla parte civile, così come ricostruita nell'imputazione e fatta correttamente propria dalla Corte di merito nella premessa della sua decisione.

Il segretario di Forza Nuova non nega l'adesione della associazione e dei suoi aderenti all'ideologia fascista; nega la fondatezza storica dell'identificazione ("frutto di ignoranza storica") dell'identificazione del fascismo con il nazismo: il querelante afferma che una cosa fu il fascismo, un'altra fu il nazismo.

Richiamando evidentemente la comune finalità di politica internazionale e lo schieramento di Germania e Italia nel corso della seconda guerra mondiale, sostiene che fascismo e nazismo diedero vita a un'alleanza militare, ferma restando la diversa identità politica dei due regimi. Il segretario dell'associazione, che si dichiara fascista e si richiama alla dottrina, alla cultura e alla politica del regime che ha governato l'Italia per circa un ventennio, ritiene falso e offensivo l'attributo di nazista e neonazista, in quanto comporta un'attribuzione di responsabilità o comunque di complicità del fascismo italiano nell'impresa che più di tutte ha marchiato di ignominia il regime nella Germania di quegli anni: la spietata politica di persecuzione razziale antisemita.

La Corte di appello di Trieste ha ritenuto fondata questa tesi della diversità dei due regimi e della lesività dell'asserita identificazione fascismo/nazismo, in quanto comporta l'attribuzione al primo e ai suoi odierni aderenti della responsabilità storica e morale di questi crimini contro l'umanità (tra i quali, notoriamente, vi è lo sterminio di milioni di persone, condotto sotto la spinta di un esasperato razzismo). Ha ritenuto che l'equiparazione - sostenuta dal C. - di fascismo e nazismo sotto il profilo del razzismo (e della sua primaria connotazione antiebraica)e il conseguente coinvolgimento del primo nei crimini di matrice razzista manchino della base probatoria, legittimante il riconoscimento della scriminante.

Questa motivazione sul vuoto probatorio delle affermazioni offensive dall'imputato non appare corrispondente alle conoscenze di eventi storici che riguardano il fascismo proprio nelle circostanze di tempo e di luogo in cui furono commessi i suindicati crimini contro l'umanità. Tali eventi, essendo attestati da atti ufficiali delle istituzioni, non possono essere disconosciuti ed estromessi dal ragionamento probatorio da effettuare nel presente processo.

Il thema decidendum rende necessario rievocare quel periodo della storia del nostro paese, durante il quale lo Stato era retto da un ordinamento giuridico che - dopo un iniziale rispetto della legalità da parte dei primi governi- aveva eliminato le articolazioni democratiche della società (assemblea legislativa eletta da rappresentanti liberamente scelti dai cittadini, separazione dei poteri, diritto di associarsi in partiti e sindacati, libertà di manifestazione del pensiero) e che aveva imposto un'unica cultura nell'educazione scolastica, nella religione, nelle espressioni letterarie. 
Nonostante la fine del regime fascista, sono sopravvissute associazioni e organizzazioni politiche che, come Forza Nuova, si ispirano a questa ideologia e che, come nel caso in esame, pretendono di tutelare la propria identità politica
Come è noto, il diritto alla propria identità (il diritto a essere se stessi, il diritto dell'individuo a che non siano alterati i connotati politici e culturali che ne identificano la persona nel contesto storico e sociale) non ha una diretta tutela sul piano penale, rispetto ad accostamenti e identificazioni che si riverberano negativamente sulla reputazione dei propri aderenti, perchè pretendono di affermare una corresponsabilità del fascismo nei crimini contro l'umanità commessi dal nazismo. 
Venendo al punto centrale della doglianza della parte civile (diffamazione derivante dalla negata diversità fascismo/nazismo e dalla conseguente attribuzione all'associazione Forza Nuova del consenso per le scelte razziste del nazismo), il giudice deve quindi affidarsi alla storiografia che ha ricostruito proprio la politica italiana dinanzi alle scelte dell'alleato tedesco con particolare riguardo alle scelte del potere legislativo e del potere esecutivo nel campo dell'antisemitismo, della cosiddetta Shoah. 
Questa, come è noto, fa parte del più vasto fenomeno dell'Olocausto, termine (dal greco holos, completo e kaustos, rogo), usato per riferirsi al genocidio compiuto dalla Germania nazista di tutte le persone e le etnie ritenute indesiderabili (omosessuali, oppositori politici, disabili, Ebrei, Rom, Sinti, Pentecostali, Testimoni di Geova). Il numero delle vittime di questi crimini contro l'umanità è ancora soggetto a ulteriori accertamenti storici;comunque è stato unanimemente calcolato nell'ordine di milioni di esseri umani.

La diversità del fascismo nella politica antisemita è pacificamente riconosciuta all'atteggiamento del governo italiano rispetto ai primi provvedimenti della Germania. 
Il 29 marzo 1933, circa due mesi dopo l'ingresso di Hitler nella Cancelleria, il partito nazista pubblicò il famoso proclama contro gli ebrei, che non ottenne ufficialmente alcuna reazione positiva, da parte del governo italiano; negli anni immediatamente successivi, l'idea di un antisemitismo di Stato fu lontanissima dalle sue scelte.

E' storicamente incontestabile, però, che la politica dell'antisemitismo fu introdotto nella strategia del regime, nel momento in cui il governo decise che, per rendere più forte l'alleanza italo-tedesca, era necessario eliminare ogni contrasto con la Germania: l'antisemitismo aveva un posto troppo determinante nell'ideologia nazista perchè un alleato non dovesse, se voleva essere considerato tale, adeguarsi sotto il profilo politico e normativo. A questo punto, gli storiografi non lasciano spazio a dubbi e incertezze, basandosi su un'incontestabile documentazione istituzionale. Si giunse, infatti, al R.D. 17 novembre 1938, n. 1728 (pubblicato nella G.U. n. 264 del 19.11.1938), considerato la magna charta del razzismo italiano, che traduceva in norme di legge le decisioni del Gran Consiglio del fascismo del 6 ottobre precedente.

Al Capo primo (Provvedimenti relativi ai matrimoni), all'art. 1, era previsto il divieto per il cittadino italiana di razza ariana di contrarre matrimonio con persona appartenente ad altra razza; negli articoli seguenti erano previste le sanzioni per i trasgressori.

Al capo secondo (Degli appartenenti alla razza ebraica) erano previste la nozione di persona di razza ebraica, le limitazioni alla capacità di agire dei componenti della popolazione ebraica (incapacità di esercitare l'ufficio di tutore o curatore di minori;

di essere proprietari o gestori di aziende interessanti la difesa della Nazione e di aziende che impieghino cento o più persone; di essere proprietari di terreni e fabbricati di valore superiore a determinati limiti, di avere alle proprie dipendenze, in qualità di domestici, cittadini italiani di razza ariana); la possibilità di privare il genitore di razza ebraica della patria potestà, qualora impartisca educazione non confacente ai principi religiosi e ai fini nazionali.

Furono poi emanate leggi di attuazione: D.L. 9 febbraio 1939, n. 126, relativo ai limiti di proprietà immobiliare e di attività industriale e al trasferimento dei beni eccedenti i limiti di legge all'ente di gestione e liquidazione immobiliare (EGELI) e il corrispettivo in certificati trentennali al 4% annuo; L. 29 giugno 1939, n. 1054 sulla disciplina dell'esercizio di professioni da parte di ebrei, con divieto assoluto per il notariato e il giornalismo e limiti per le altre professioni; L. 13 luglio 1939, n. 1055 con limiti in materia testamentaria e nella possibilità di cambiare cognome; L. 13 luglio 1939, n. 1024 sulla disciplina della facoltà del ministro dell'interno di dichiarare, su conforme parere di una commissione composta da tre magistrati e due funzionali del ministero stesso (il ed tribunale della razza), la non appartenenza alla razza ebraica.

La Repubblica Sociale Italiana accentuò la politica antisionista:

il manifesto programmatico, redatto da M., in collaborazione di B. e P., al punto 7 stabiliva :"Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica". E' stata reperita la Relazione del ministero delle Finanze, diretta al Duce, in cui erano elencati, a tutto il 31 dicembre 1944, i decreti di confisca dei beni ebraici pervenuti all'EGELI e la valutazione dei titoli di Stato, dei titoli industriali, dei beni immobili, con l'indicazione per questi ultimi del valore ufficiale e del valore reale, al momento della missiva (12 marzo 1945). In questo quadro normativo - diretta espressione dell'adeguamento del regime fascista alla politica del regime nazista - la storiografia descrive - senza smentite e opinioni contrastanti - la caccia all'ebreo, condotta nella R.S.I., con sistematicità tedesca e con l'ausilio italiano, costituito dagli elenchi redatti dalle questure, a partire dal 1938. In molte località, i Tedeschi condussero la caccia in prima persona, in altre si servirono dei reparti fascisti, in altre si limitarono "a prendere in consegna" gli ebrei che erano stati internati dai colleghi italiani. Al di là di esecuzioni immediate e sul posto (tra le vittime della rappresaglia delle Fosse Ardeatine, 75 furono scelte con il criterio dell'appartenenza alla religione ebraica), in totale i deportati ebrei italiani furono 7.495; 610 riuscirono a tornare dai lager;

6.885 vi trovarono la morte.

In questa politica di collaborazione, merita massimo rilievo l'unico lager nazista in Italia: lo Stalag 339, la Risiera di San Sabba, costituito dallo stabilimento per la pilatura del riso, in Trieste, posto quindi nel territorio della RSI, che l'affidò all'Alto Commissario Friederich Rainer (v.pag 6 della sentenza del tribunale).

Era utilizzato per la detenzione e l'eliminazione di detenuti prevalentemente politici e di ebrei. Per lo smaltimento dei cadaveri fu utilizzato l'essiccatoio della risiera, poi trasformato in forno crematorio. Dopo l'ottobre del 1943 divenne anche centro di raccolta di detenuti, in attesa di deportazione in Germania e Polonia.

Il necessario e ineludibile esame di questi dati elaborati dalla storiografia rende evidente l'impossibilità di riconoscere fondamento alla pretesa del querelante di rivendicare la qualità di fascista depurata dalla qualità di razzista e incontaminata dall'accostamento al nazismo. Questa impossibilità deriva dalla documentata posizione del fascismo italiano nella questione ebraica, fatta di stretta collusione teorica con la dottrina nazista e di stretta collaborazione operativa con le forze militari naziste presenti nel territorio italiano nella caccia all'ebreo.

E' invece pienamente fondata la richiesta di riconoscimento dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica storica e politica, avanzata dal C., le cui affermazioni, sia pure prive di ampia analisi storica (con l'eccezione dell'efficace richiamo alla Risiera) sono chiaramente espressione della verità, cui è approdata la storiografia.

In conclusione, si deve ritenere che, dopo un'iniziale posizione neutrale, il capo del governo e tutto l'apparato di potere del fascismo nostrano si adeguarono all'ideologia razzista, a causa della preminente esigenza di rafforzare l'alleanza con il regime nazista.

Il termine nazifascista disegna pienamente questa osmosi politica e militare tra ideologie, che, nate con radici diverse, si unirono nella volontà e nell'azione di razzismo antisionista. E' indubbio l'estremo rilievo dell'individuazione di un atteggiamento nuovo negli aderenti all'associazione, che, attraverso il segretario F., si ritengono diffamati dalle parole (nazifascismo locale, raduno razzista e nazista) di cui all'imputazione (atteggiamento che è riscontrabile invece in larghi settori provenienti dalla medesima area politica). Non risulta dagli atti la sussistenza di ufficiali dichiarazioni e di impegnativi propositi programmatici dimostrativi dell'odierna differenza e dell'odierno ripudio degli aderenti all'ideologia dell'associazione, nei confronti della cultura e della politica da cui è nata la legislazione antiebraica del passato e da cui promana il razzismo antisionista del presente, tali da rendere attualmente non vere e fattualmente infondate le espressioni critiche usate dall'imputato C..

Questo incontestato aspetto della storia dello Stato italiano, che da evidente base di verità alle affermazioni critiche del C., è del tutto trascurato dalla sentenza impugnata. L'identificazione fascismo/nazismo, nel quadro delle scelte di razzismo, non è frutto di errore storico, nè è manifestazione di critica, realizzata sulla base di una falsità La verità delle affermazioni del C. non necessita di prove fornite dal querelato: a fronte della storia ufficialmente documentata dell'attiva adesione del regime fascista italiano alla persecuzione antiebraica del regime nazista, è del tutto ingiustificata la pretesa inversione dell'onere probatorio.

Privo di pregio è l'argomento della sentenza impugnata, secondo cui il carattere diffamatorio dell'attribuzione ai moderni seguaci del fascismo dell'ideologia nazista sarebbe confermato dall'assenza di interventi dell'Autorità, da cui possano emergere pericoli di violenze e sopraffazioni di tipo nazista. I verdetti della storia non si cancellano con successive disinformazioni, amnesie, sottovalutazioni.

Il ragionamento probatorio, secondo cui mancano le prove della verità degli eventi da cui hanno preso spunto le critiche dell'imputato, disconosce la sussistenza di questi eventi che sono attestati da atti ufficiali delle istituzioni, che rientrano nel comune sapere dei cittadini italiani e che non possono e non devono essere disconosciuti all'interno di questo processo.

Deve quindi ritenersi che il processo formativo del convincimento del giudice di appello sviluppato su un inesistente vuoto probatorio delle affermazioni offensive del C., è stato condizionato, in maniera decisiva, da una scelta di riduttiva conoscenza che si traduce in travisamento della prova integrante il vizio di motivazione ex art. 192 c.p.p., comma 1, e art. 606 c.p.p., lett. e).

Sotto il profilo della continenza formale dell'intera critica del C., va rilevato che è pienamente giustificato l'uso delle espressioni, da parte di un cittadino di (OMISSIS) - sede dell'unico lager nazista nel nostro paese - nel momento in cui manifesti una particolare attenzione nei confronti di una riedizione - sia pure in un contesto di democrazia e di libertà di manifestazione del pensiero - di esaltazione collettiva di uomini, di culture, di pratiche politiche nei cui confronti la storia ha emanato un irrevocabile e definitivo verdetto.

La vis polemica che caratterizza le sue espressioni critiche è pienamente proporzionata all'oggetto della critica.

Continenza significa proporzione, misura e continenti sono quei termini oggettivamente offensivi, ma che non hanno equivalenti e non sono sproporzionati ai fini del concetto da esprimere. La continenza formale non equivale a obbligo di utilizzare un linguaggio grigio e anodino, ma consente il ricorso a parole sferzanti, nella misura in cui siano correlate al livello della polemica, ai fatti narrati e rievocati. La critica del cittadino C. - memore del lager 339, alias Risiera di San Sabba - è stata espressa in maniera formalmente proporzionata, senza uso di argomentum ad hominem, inteso a screditare i protagonisti del raduno mediante l'evocazione di una pretesa inadeguatezza e indegnità personale (si richiama la giurisprudenza citata dalla sentenza di primo grado a pag. 8). Nè potrebbe essere tollerata, sotto tutti i profili, altra forma espressiva. Sarebbe un inaccettabile paradosso, se la critica, svolta in nome della difesa della dignità umana, trasmodasse in violazione della personale dignità del destinatario della critica medesima.

Pertanto va riconosciuta al C. l'esimente dell'esercizio di critica, a norma dell'art. 21 Cost. e art. 51 c.p..

Il ricorso merita quindi accoglimento, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza della Corte di appello di Trieste, perchè il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato.

Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2010