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Estradizione per reato comune maschera persecuzione politica? (Cass. 31588/23)

20 luglio 2023, Cassazione penale

E' causa obbligatoria di rigetto della domanda di estradizione la finalità di persecuzione politica dissimulata da una richiesta di consegna per un reato comune, potendosi ritenere che si sia in presenza di una estradizione "mascherata".

In tema di estradizione processuale, l'autorità giudiziaria italiana, anche qualora la convenzione applicabile non prevede la valutazione da parte dello Stato richiesto dei gravi indizi di colpevolezza, non può limitarsi a un controllo meramente formale della documentazione allegata, ma deve compiere, ai sensi dell'art. 705 cod. proc. pen., una sommaria delibazione diretta a verificare, sulla base degli atti prodotti, l'esistenza di elementi a carico dell'estradando.

Corte di Cassazione

Sez. VI Num. 31588 Anno 2023

Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: APRILE ERCOLE
Data Udienza: 14/06/2023 - deposito 20/07/2023

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Bologna nel procedimento a carico di
BB, nato a * (Turchia) il */1984 (CUI **)

avverso la sentenza del 21/03/2023 della Corte di appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Tomaso Epidendio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi l'avv. MM e l'avv. AB, difensori dell'estradando, che hanno concluso chiedendo l'inammissibilità o il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Bologna dichiarava non sussistenti le condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione presentata dall'autorità turca per dare esecuzione al provvedimento di cattura internazionale emesso il 6 aprile 2022 dal Tribunale di Instambul nei confronti di Baris Boyun, indagato nell'ambito di un procedimento penale pendente nello Stato richiedente nel quale è stato chiamato a rispondere dei reati di omicidio, lesioni personali, minacce, partecipazione ad un'associazione per delinquere e violazione della disciplina sulle armi.

Rilevava la Corte territoriale come non vi fossero le condizioni previste dalla disciplina codicistica e dalla Convenzione europea di estradizione del 1957 per accogliere quella richiesta di estradizione passiva: e ciò perché, da un lato, dalla documentazione trasmessa erano emersi elementi di prova molto confusi a carico del B, tali da non permettere una delibazione, pur sommaria, sull'esistenza di indizi a carico del prevenuto, tali da consentire un accertamento rispettoso dei principi costituzionali della responsabilità personale e del principio di colpevolezza; da altro lato - sottolineava la Corte di appello - non era stata acquisita la certezza che il B non appartenesse all'etnia curda e al partito filo curdo HDP (così da lui come sostenuto), partito i cui esponenti sono notoriamente vittime di atti discriminatori e violenti da parte del governo centrale. Ne derivava che era concreto il rischio che l'estradando, pur formalmente imputato di reati comuni e non 'politici', potesse essere sottoposto in un carcere turco a trattamenti disumani e degradanti.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna, il quale ha dedotto i seguenti motivi.

2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 705, comma 1, e 719 cod. proc. pen., per avere la Corte distrettuale erroneamente escluso che gli elementi di prova a carico del Boyun non siano sufficientemente rappresentativi delle ragioni dell'accusa formulata nei riguardi del prevenuto: tenuto conto che vi sono diversi testimoni e gli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria appaiono idonei - in base alla prospettiva del sistema processuale penale dello Stato richiedente l'estradizione - a confermare che il predetto è capo di una organizzazione criminale dedita alla commissione di delitti 'comuni' di vario genere, tra cui la consumazione di omicidi e lesioni con l'uso di armi da fuoco, nonché di reati attinenti alla gestione delle scommesse clandestine.

2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 705, comma 2, e 719 cod. proc. pen., per avere la Corte di merito ingiustificatamente sottovalutato gli elementi informativi, trasmessi dall'autorità giudiziaria turca, sulle caratteristiche dell'istituto di detenzione dove l'interessato dovrebbe essere recluso, da cui si sarebbe potuto desumere che il Boyun sarà ospitato in una cella dalle caratteristiche e dalle dimensioni idonee ad assicurare la dignità della detenzione; e che il sistema carcerario turco, a parte generici problemi di
 sovraffollamento, prevede on ogni caso 'meccanismi' di controllo sulle condizioni effettive di reclusione, tali da garantire la tutela dei diritti del B, che è imputato di delitti "comuni" e non anche di reati di terrorismo o latamente "politici".

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene la Corte che il ricorso vada rigettato.

2. Il primo motivo del ricorso è manifestamente infondato.

Costituisce espressione di un consolidato orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale, in tema di estradizione processuale, l'autorità giudiziaria italiana, anche qualora la convenzione applicabile non prevede la valutazione da parte dello Stato richiesto dei gravi indizi di colpevolezza, non può limitarsi a un controllo meramente formale della documentazione allegata, ma deve compiere, ai sensi dell'art. 705 cod. proc. pen., una sommaria delibazione diretta a verificare, sulla base degli atti prodotti, l'esistenza di elementi a carico dell'estradando (in questo senso, tra le molte, Sez. 6, n. 8063 del 21/02/2019. A., Rv. 275088; Sez. 6, n. 2037 del 05/12/2018, dep. 2019, Huang, Rv. 275424; Sez. 6, n. 43170 del 17/07/2014, Malatto, Rv. 260042).

Di tale criterio ermeneutico la Corte di appello di Bologna ha fatto corretta applicazione, rilevando, con motivazione nella quale non è riconoscibile alcun vizio di manifesta illogicità, come l'autorità giudiziaria turca avesse allegato alla richiesta di estradizione una mera elencazione di reati asseritamente commessi dal Boyun, con una mera descrizione di condotte peraltro la gran parte delle quali materialmente attribuite a soggetti diversi dal prevenuto, che di quelle iniziative era stato chiamato a rispondere in qualità di mero capo di una organizzazione criminale; e con una generica elencazione di fonti di prova, senza però un confacente collegamento tra ciascun elemento di conoscenza e ogni singola imputazione, soprattutto caratterizzate da assertive indicazioni del relativo valore dimostrativo (v. pagg. 2-5 sent. impugn.).

Né conducono a differenti conclusioni le censure formulate dal Procuratore generale ricorrente, il quale ha finito essenzialmente per valorizzare, in senso contrario a quanto sostenuto dalla Corte distrettuale, il contenuto alquanto indeterminato delle dichiarazioni accusatorie di una serie di testimoni "protetti", dei quali non sono state fornite le generalità né altri dati idonei a permetterne di saggiare l'attendibilità.

 3. Il secondo motivo del ricorso è infondato.

Questa Corte di cassazione ha già avuto modo di occuparsi di questione analoghe a quelle oggetto dell'impugnazione oggi in esame, chiarendo che, in tema di estradizione passiva verso la Turchia, devono essere valutate in concreto, in relazione al disposto di cui all'art. 705, comma 2, cod. proc. pen., le condizioni detentive che saranno assicurate al soggetto richiesto, essendo formalmente sospesa in quello Stato, dal luglio 2016, l'applicazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo ed essendosi ivi riscontrate detenzioni arbitrarie e pratiche di tortura generalizzate all'interno delle strutture penitenziarie, che determinano un livello elevato di rischio di trattamenti inumani e degradanti non limitato ai soli detenuti politici (così Sez. 6, n. 26742 del 20/04/2021, Akdag, Rv. 281820).

In particolare, in tale pronuncia si è rilevato che la situazione in quel Paese si è «aggravata dopo le vicende del tentato colpo di stato del 15 luglio 2016, a seguito delle quali il Governo della Turchia, in data 21 luglio 2016, con un comunicato ufficiale al Consiglio d'Europa, ha dichiarato di volersi avvalere della deroga prevista dall'art. 15 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, cui aderisce come Parte contraente ...(con la conseguenza)... che oggi risultano limitati drasticamente una serie di diritti difensivi dell'imputato nel processo penale, con forte incremento dei poteri della polizia».

In tale contesto - si è aggiunto in quella pronuncia - che era stato riscontrato dal contenuto del rapporto di Amnesty International per l'anno 2019-2020, da cui erano emerse nuove accuse attendibili di tortura e maltrattamenti, era intervenuto il Comitato anti-tortura del Consiglio di Europa, che aveva confermato l'esistenza di quelle forme di trattamento disumano e degradante nei confronti di un gran numero di detenuti, indipendentemente dalla tipologia "comune" o "politica" del detenuto interessato.

Rispetto a questo quadro, gli elementi informativi valorizzati dalla Corte di appello di Bologna risultano aver fondatamente incrementato le preoccupazioni circa la criticità delle carceri in Turchia e la problematicità del rispetto dei diritti fondamentali nei riguardi delle persone detenute in quelle strutture.

Non va trascurato come un'autorevole organizzazione internazionale non governativa sia tornata di recente a ribadire che «sono proseguiti, anche se in assenza di basi legali, indagini, procedimenti giudiziari e condanne di difensori dei diritti umani, giornalisti, politici dell'opposizione e altri», pure con restrizioni illegali ai danni di partecipanti a sfilate e manifestazioni pubbliche, ed anche a sottolineare il persistere di forma di torture e di maltrattamenti in carcere, ad opera di «un numeroso gruppo di guardie», in particolare in un carcere di Istanbul e in altre strutture di detenzione (così nel Rapporto di Amnesty International 2022-2023).

Questi aspetti negativi sono stati pure richiamati dal Comitato anti-tortura del Consiglio d'Europa nel più recente rapporto pubblicato nell'agosto 2020 sullo stato delle carceri in Turchia; nonché dal Parlamento europeo che, con la risoluzione del 21 gennaio 2021 sulla situazione dei diritti umani in Turchia, ha evidenziato come le autorità di tale Paese, disattendendo le indicazioni contenute in specifiche pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo che aveva , accertato l'esistenza di ripetuti casi di applicazione illegale della custodia cautelare, avessero proseguito nella pratica di prolungato imprigionamento illegale di numerose persone con accuse politicamente motivate. Parlamento europeo che, con quella risoluzione, ha significativamente manifestato «profonda preoccupazione per la riduzione degli spazi della società civile e per il continuo deterioramento dei diritti e delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto inTurchia».

In tale contesto motivazionale — nel quale appare obiettivamente fuori "focus" il tenore della doglianza formulata dal ricorrente in ordine alla mancata valutazione della normativa vigente in Turchia sulle garanzie giurisdizionali garantire ai detenuti, ovvero circa l'omessa considerazione delle informazioni fornite dall'autorità dello Stato estero sulle caratteristiche e dimensioni della cella del carcere in cui l'interessato dovrebbe essere detenuto — va rilevato come il secondo motivo dell'atto di impugnazione non si confronti con le reali argomentazioni in base alle quali la Corte di appello ha rigettato la richiesta di estradizione: cioè il fatto che il B avesse fondatamente rappresentato il rischio di essere sottoposto, se consegnato alla Turchia, a trattamenti disumani o degradanti, in quanto egli è di etnia curda (come parrebbe confermato dalla regione di provenienza di entrambi i genitori) nonché affiliato ad un partito filo curdo.

Sotto questo punto di vista risultano dirimenti le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo che, sia pur con riferimento alla materia della protezione internazionale, ha condannato uno Stato membro del Consiglio d'Europa per avere ritardato l'esame di una domanda di asilo presentata da un cittadino turco e per essere stata dato dalla relativa autorità nazionale un parere favorevole all'accoglimento della richiesta di estradizione di quel soggetto, risultato di etnia curda e fuggito dalla Turchia, in presenza di un reale rischio che l'interessato, se rimpatriato nel suo Paese di origine, potesse essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti (Corte EDU, B.A.C. c. Grecia del 13/10/2016).

 Il fatto che, nella fattispecie, l'estradando abbia adempiuto all'onere di allegare gli elementi da cui poter concretamente evincere che la richiesta di estradizione per l'estero possa preludere alla violazione di diritti fondamentali della persona, consente di riaffermare, anche in relazione al caso oggi in esame, il principio enunciato da questa Corte di cassazione in base al quale si è affermato che è causa obbligatoria di rigetto della domanda di estradizione la finalità di persecuzione politica dissimulata da una richiesta di consegna per un reato comune, potendosi ritenere che si sia in presenza di una estradizione "mascherata" (in questo senso Sez. 6, n. 10656 del 01/03/2022, Sivakova, Rv. 283006).

Elementi, questi, che permettono di escludere che i giudici di merito siano incorsi in alcuna violazione di norme di legge nel momento in cui, a fronte di concreti dati che riscontrano la problematica condizione dei detenuti nelle carceri turche, hanno ritenuto che le generiche risposte dell'autorità estera alle richieste di informazioni aggiuntive fossero inidonee a superare quei concreti dubbi circa i pericoli trattamentali che potrebbe subire l'estradando, in violazione delle norme sovranazionali di tutela dei diritti fondamentali della persona.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 14/06/2023