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Amore finito, ma comodato della casa alla ex da parte dei suoceri rimane (Cass. 27634/23)

29 settembre 2023, Cassazione civile

Il comodato di un bene immobile, stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare, ha un carattere vincolato alle esigenze abitative familiari, sicché il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento anche oltre l'eventuale crisi coniugale, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno ai sensi dell'art. 1809 c.c., comma 2, ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante.

Corte di Cassazione

sez. III civile

 ord., 29 settembre 2023, n. 27634
Presidente Scarano – Relatore Gianniti

Fatti di causa

1. I coniugi B.G.G. e M.S. ricorrono avverso la sentenza n. 680/2019 con la quale la Corte di Appello di Perugia, riformando la sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di rilascio della mansarda, che essi avevano spiegato nei confronti del figlio Ga. e della di lui ex moglie C.M.G. .

2. Questi in sintesi i fatti.

Nel […] B.G.G. e M.S. concedevano in comodato al proprio figlio Ga. , senza determinazione di tempo, un immobile, di loro proprietà, sito in (omissis) e costituito da una porzione di mansarda (composta da 4 vani, oltre cucina e due servizi), posta sopra l'immobile da essi abitato. In quello stesso anno B.G.G. aveva un primo figlio, di nome Gi. , dalla C. .

Nel corso del […], dopo il matrimonio, nella suddetta mansarda andava a vivere anche la C. , dalla quale Ga. aveva nel […] un secondo figlio, di nome G. .

Successivamente  B.G.G. presentava: nel […], ricorso per separazione dalla moglie e, nel […], ricorso per divorzio. Nel corso di entrambi i conseguenti procedimenti la casa coniugale veniva assegnata alla C. , presso la quale venivano anche collocati i figli ancora minorenni.

Nel […], intervenuto il divorzio, i coniugi B. - M. presentavano ricorso davanti al Tribunale di Spoleto nei confronti della ex nuora C. , deducendo di avere la necessità di rientrare nel possesso materiale della mansarda per poterla adibire ad abitazione di una badante e della relativa famiglia per poter essere assistiti 24 ore al giorno e chiedendo la condanna del figlio Ga. e della di lui ex moglie C. all'immediato rilascio della mansarda.

I convenuti, benché regolarmente citati, rimanevano contumaci. La causa veniva istruita mediante acquisizione di documentazione e mediante audizione di testi.

Il Tribunale di Spoleto con sentenza del 9 giugno 2017 - ritenuto provato che i ricorrenti erano proprietari della mansarda ed erano invalidi e che la mansarda era stata da loro concessa in comodato gratuito precario al figlio - in accoglimento della domanda attorea, condannava i convenuti all'immediato rilascio.

Avverso la sentenza di primo grado presentava appello la C. , chiedendo che, in forma della sentenza impugnata, fosse rigettata la domanda di restituzione dell'immobile.

Gli originari ricorrenti si costituivano nel giudizio di appello chiedendo il rigetto dell'impugnazione.

Veniva disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti del figlio degli originari ricorrenti, che, costituitosi, sostanzialmente aderiva alle tesi dei propri genitori.

La Corte territoriale con sentenza n. 680/2019, in riforma della sentenza impugnata, dopo aver respinto le istanze istruttorie e la richiesta di sospensione della C. , rigettava la domanda di rilascio, che era stata formulata nei confronti di quest'ultima dai coniugi B. - M. .

3. Avverso la sentenza della corte territoriale hanno proposto i coniugi, originari ricorrenti.

Ha resistito con controricorso la C. .

La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380 bis.1 c.p.c..

Il difensore di parte ricorrente ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. Il ricorso dei coniugi B.G. - M. è affidato a due motivi.

All'illustrazione dei motivi parte ricorrente premette che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, non è vero che l'immobile era stato dato in comodato senza determinazione di tempo, mentre è vero che il loro figlio Ga. , dopo qualche mese di godimento esclusivo della mansarda, aveva in esso portata a vivere la C. , con la quale poi aveva contratto matrimonio.

1.1. Con il primo motivo parte ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1803 e 1809 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto che il comodato per cui è causa era stato stipulato per soddisfare le esigenze del nucleo familiare del beneficiario.

Osserva che: a) la mansarda era stata concessa in comodato per due o tre mesi a favore del figlio Ga. , prima che questi costituisse il suo nucleo familiare; b) loro figlio Ga. dopo qualche mese, senza la loro autorizzazione, aveva consentito alla C. di abitarlo; c) non era stato provato che essi comodanti avessero inteso concedere l'immobile per soddisfare le esigenze familiari del costituendo nucleo familiare del figlio.

Rileva che tutte le suddette circostanze non erano state contestate dalla C. (forse sull'erroneo presupposto che il provvedimento presidenziale costituiva titolo per mantenere la libera disponibilità del bene anche nei confronti di essi proprietari, che erano rimasti estranei sia al giudizio di separazione che a quello di divorzio) e che la stessa non aveva assolto l'onere, che su di lei gravava, di provare che il comodato di bene immobile era stato stipulato senza determinazione di tempo al fine di destinare il bene a casa familiare.

1.2. Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1803,1804 e 1809 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la corte territoriale, sull'erroneo presupposto che il comodato era stato concesso per adibire la casa ad abitazione della famiglia, ha implicitamente ritenuto che la loro ex nuora C. , quale comodataria, avesse il diritto alla prosecuzione del comodato per tutto il tempo per cui si fossero protratte le esigenze familiari; ed ha ritenuto non sussistente lo stato di bisogno (che, ai sensi dell'art. 1809 c.c., comma 2, giustifica lo scioglimento anticipato del rapporto).

Osserva che, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, il comodante ha il diritto a chiedere la restituzione del bene concesso gratuitamente in uso, specie quando, come nel caso di specie, si tratta di bene immobile, il cui uso era stato concesso gratuitamente per anni.

Sottolinea che nel caso di specie era stato provato lo stato di bisogno, in quanto la ricorrente si trovava in condizioni di salute che non le consentivano di svolgere da sola le normali e quotidiane attività ed aveva quindi la necessità di instaurare un rapporto con due badanti che si occupassero di assisterla ininterrottamente di giorno e di notte.

1. Il ricorso deve essere rigettato.

1.1. Il Codice civile disciplina due "forme" del comodato: il comodato propriamente detto, regolato dagli artt. 1803 e 1809; e il c.d. comodato precario, al quale si riferisce l'art. 1810 c.c., sotto la rubrica "comodato senza determinazione di durata".

Nel caso di cui all'art. 1810 c.c., connotato dalla mancata pattuizione di un termine e dalla impossibilità di desumerlo dall'uso cui doveva essere destinata la cosa, è consentito al comodante di richiedere ad nutum al comodatario il rilascio della medesima cosa.

L'art. 1809 c.c., concerne invece il comodato sorto con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilire la scadenza contrattuale. Esso è caratterizzato dalla facoltà del comodante di esigere la restituzione immediata solo in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno (art. 1809 c.c., comma 2).

1.2. Si è a lungo discusso in giurisprudenza a quale tipo contrattuale, in assenza di pattuizioni circa il termine finale del godimento, va ricondotto il comodato di immobile che sia stato pattuito per la destinazione dell'immobile a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario.

All'orientamento secondo il quale il comodato di bene immobile, destinato a casa familiare, ove pattuito senza determinazione di tempo, comportasse l'obbligo del comodatario di restituire il bene non appena il comodante lo avesse richiesto si contrapponeva altro orientamento che riconduceva la fattispecie al comodato previsto dagli artt. 1803 e 1809 c.c..

Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13603 del 2004 con la quale è stato statuito che: “In caso di comodato avente ad oggetto un bene immobile, stipulato senza la determinazione di un termine finale, l'individuazione del vincolo di destinazione in favore delle esigenze abitative familiari non può essere desunta sulla base della mera natura immobiliare del bene, concesso in godimento dal comodante, ma implica un accertamento in fatto, di competenza del giudice del merito, che postula una specifica verifica della comune intenzione delle parti, compiuta attraverso una valutazione globale dell'intero contesto nel quale il contratto si è perfezionato, della natura dei rapporti tra le medesime, degli interessi perseguiti e di ogni altro elemento che possa far luce sulla effettiva intenzione di dare e ricevere il bene allo specifico fine della sua destinazione a casa familiare”.

Sul tema le Sezioni Unite sono tornate con sentenza n. 20448 del 2014, precisando che:

a) il comodato di casa familiare è riconducibile allo schema del comodato a termine indeterminato, ma non è riconducibile al contratto senza determinazione di durata (cioè al precario cui all'art. 1810 c.c.), in quanto il comodato di casa familiare ha riguardo alla configurazione di un termine, che non è prefissato, ma è desumibile dall'uso convenuto;

b) il comodato di bene immobile, che sia concesso con destinazione abitativa, non ha necessariamente durata pari alle esigenze della famiglia del comodatario, ancorché disgregata: spetta ai giudici di merito valutare la sussistenza della pattuizione di un termine finale di godimento del bene, e, d'altronde, la concessione per destinazione a casa familiare implica una scrupolosa verifica della intenzione delle parti, che tenga conto delle loro condizioni personali e sociali, della natura dei loro rapporti, degli interessi perseguiti. Trattasi sempre di un mero problema di prova, risolvibile grazie al prudente apprezzamento del giudice di merito in relazione agli elementi che sono sottoponili al suo giudizio;

c) spetta a chi invoca la cessazione del comodato per il raggiungimento del termine prefissato, dimostrare il relativo presupposto. L'art. 1809 c.c., rivela che il comodato a tempo determinato, soprattutto se con connotazioni di lunga durata, nasce nella convinzione della stabilità del rapporto, ma non esclude la possibilità di risolverlo motivatamente in caso di bisogno. Questa eventualità è una componente intrinseca del tipo contrattuale e, al contempo, costituisce espressione di un potere e di un limite del comodante, da questi accettato nel momento in cui concede il bene per un uso potenzialmente di lunghissima durata e di fondamentale importanza per il beneficiario.

1.3. In applicazione dei principi che precedono, questa Corte ha successivamente affermato:

- con sentenza n. 8548 del 2008, che: “L'onere della forma scritta nei contratti, previsto dall'art. 1350 c.c., non riguarda il comodato immobiliare, anche se di durata ultranovennale, il quale può essere provato anche per testi e per presunzioni”;

- con sentenza n. 24618 del 2015, che: “Il comodato di un bene immobile, stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare, ha un carattere vincolato alle esigenze abitative familiari, sicché il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento anche oltre l'eventuale crisi coniugale, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno ai sensi dell'art. 1809 c.c., comma 2, ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante”;

- con ordinanza n. 20151 del 2017, che: “nell'ipotesi in cui il vincolo matrimoniale del comodatario sopravvenga, occorre che sia dimostrato come il proprietario abbia inteso, in virtù di scelta sopravvenuta, trasformare la natura del comodato, rispetto alla sua precedente finalità, ancorando la destinazione del bene alle esigenze del gruppo familiare neocostituito (Cass., sez. un., 29/09/2014, n. 20448)”.

2. Ciò posto, il primo motivo è infondato.

Nella sentenza impugnata la corte territoriale, dopo aver rilevato che l'onere di provare la sussistenza del rapporto di comodato ricade a carico del comodante e che tale prova può essere data anche per presunzioni, ha ritenuto nella specie provato che gli odierni ricorrenti avevano inteso trasformare il rapporto in comodato per soddisfare le esigenze della futura famiglia del figlio.

Ciò in quanto (p. 6) i signori B.G.G. e M.S. erano: “chiaramente consapevoli, in considerazione della collocazione dell'immobile (la mansarda posta sopra la loro abitazione) e dei vincoli di sangue ed affetto con il figlio e la sua famiglia, che la mansarda rappresentava l'abitazione del figlio, della nuova e dei loro nipoti, cosicché il fatto che non ne abbiano richiesto la restituzione per più di dieci anni, fino a che il rapporto coniugale tra il loro figlio e la nuora non si è deteriorato (la domanda di restituzione dell'immobile è stata formulata soltanto successivamente all'introduzione del ricorso per divorzio da parte del figlio) non può essere spiegato ragionevolmente che con la permanenza della volontà di destinare la mansarda ad abitazione del figlio e della sua famiglia. Il che spiega anche perché, in occasione del giudizio di separazione e di divorzio, lo stesso loro figlio, prima ancora che la moglie, abbia ritenuto di poter chiedere al Giudice di assegnare la casa coniugale alla moglie perché vi abitasse con i figli, così come appunto è stato disposto sia in sede di separazione che di divorzio”.

Orbene, valorizzando il comportamento concludente degli odierni ricorrenti e la circostanza che detto comportamento si era protratto per oltre dieci anni la corte territoriale ha correttamente applicato i principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza sopra richiamata del 2014.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

Questa Corte ha precisato (cfr. Cass. n. 20892 del 2016) che la portata del bisogno, richiesto dall'art. 1809, comma 2, non deve essere grave, essendo sufficiente che sia soltanto imprevisto (cioè sopravvenuto rispetto al momento del sorgere del vincolo negoziale) ed urgente.

L'urgenza è qui da intendersi come imminenza, restando quindi esclusa la rilevanza di un bisogno non attuale, non concreto, ma soltanto astrattamente ipotizzabile. Ovviamente il bisogno deve essere serio, non voluttuario, nè capriccioso o artificiosamente indotto. Pertanto, non solo la necessità di uso diretto, ma anche il sopravvenire imprevisto del deterioramento della condizione economica, che obbiettivamente giustifichi la restituzione del bene anche ai fini della vendita o di una redditizia locazione del bene immobile, consente di porre fine al comodato, quantunque la destinazione sia quella di casa familiare.

Resta fermo che, essendo in gioco valori della persona, ed in particolare le esigenze di tutela della prole, questa destinazione, con più intensità di ogni altra, giustifica massima attenzione in quel controllo di proporzionalità e adeguatezza, sempre dovuto in materia contrattuale, che il giudice deve compiere quando valuta il bisogno fatto valere con la domanda di restituzione e lo compara al contrapposto interesse del comodatario.

Orbene, tali principi sono stati correttamente applicati dalla corte territoriale nell'impugnata sentenza.

Tale giudice ha considerato la necessità, prospettata dai ricorrenti, di destinare la mansarda ad abitazione di una badante e della relativa famiglia, essendo essi divenuti anziani ed invalidi. Tuttavia, ha ritenuto non applicabile il disposto di cui all'art. 1809 c.c., comma 2: non soltanto perché con il passare degli anni l'insorgere di malattie e la necessità di una particolare assistenza non rappresenta affatto una condizione imprevedibile ed impreveduta; ma anche e soprattutto perché l'abitazione dei comodanti constava di "ben 23 stanze" (sul punto va dato atto che i ricorrenti - dopo aver fatto presente a p. 3 che la mansarda è composta da 4 vani, oltre cucina e servizi, a p. 12 aggiungono che 23 è il numero totale delle stanze, comprensivo cioè non soltanto del numero delle stanze dell'immobile da essi abitato ma anche del numero dei locali della mansarda per cui è causa), ragion per cui le caratteristiche dell'abitazione degli allora appellati erano tali da soddisfare ogni esigenza di assistenza anche mediante alloggio all'interno dell'abitazione della badante (con relativa famiglia).

In definitiva, la corte di merito si è fatta carico di valutare se era sopravvenuto "un urgente ed impreveduto bisogno", che giustificasse la richiesta di restituzione, e all'esito di articolata valutazione di merito è pervenuta a concludere negativamente.

Valutazione che, in quanto immune da vizi logici e giuridici, sfugge al sindacato di legittimità demandato a questa Corte.

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.