Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Avvocato diligente deve anche dissuadere (Cass. 29182/23)

20 ottobre 2023, Cassazione civile

Nell'adempimento dell'incarico professionale, l'obbligo di diligenza ex art. 1176 c.c., comma 2, e ex art. 2236 c.c. dell'avvocato si estrinseca in doveri di informazione, sollecitazione e dissuasione verso il cliente.

In particolare, l'avvocato è tenuto a richiedere al cliente che egli gli fornisca tutti gli elementi necessari o utili in suo possesso al fine del corretto svolgimento dell'incarico, ad indicargli tutte le questioni che si frappongono al conseguimento del risultato o che comunque sono fattori di rischio di effetti dannosi, a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dal probabile esito sfavorevole.

Incombe sull'avvocato l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, mentre è insufficiente che il cliente gli abbia rilasciato la procura alle liti, poiché il conferimento di tale potere non è indice univoco che il cliente sia stato compiutamente informato di tutte le circostanze indispensabili per una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo o intervenire in giudizio

Corte di Cassazione

sez. II civile

 ord., 20 ottobre 2023, n. 29182
Presidente Carrato – Relatore Caponi

Fatti di causa

L'avvocato S.R. conveniva, D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 14, dinanzi al Tribunale di Bologna l'avvocato L.M. , quale amministratrice di sostegno di F.G. , per l'ottenimento del compenso di attività professionale svolta in tre procedimenti dinanzi allo stesso ufficio giudiziario (un procedimento di sequestro conservativo, in cui il beneficiario dell'amministrazione di sostegno era resistente; un reclamo cautelare, in cui il cliente era reclamante poi soccombente; la causa di merito, in cui il cliente è stato assistito fino alla chiusura della fase istruttoria, dopo di che l'avvocato ha rinunciato al mandato e la controversia si è chiusa con transazione). All'esito, con ordinanza pubblicata il 4 maggio 2018, l'avv. L.M. , nella predetta qualità, è stata condannata al pagamento della somma di Euro 3.161,00, oltre alla rifusione delle spese processuali per Euro 2.575,00 (più accessori di legge). Nel giugno del 2018 l'avv. S. ha ricevuto ed accettato dalla citata convenuta un assegno di circa Euro 4.660,00, con riserva espressa di ricorso per cassazione, poi effettivamente proposto sulla base di sette motivi, articolati al loro interno in più censure.

La parte intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Ragioni della decisione

1. - Il primo motivo denuncia che il compenso dell'attività resa nel reclamo cautelare sia stato disconosciuto perché l'avvocato non aveva informato il cliente sull'opportunità di promuovere il reclamo.

Si fa valere, in proposito, la violazione dell'art. 115 c.p.c., comma 1, perché non sono stati posti a fondamento della decisione fatti che la convenuta non aveva contestato nella comparsa di risposta. Inoltre, si deduce che la rinuncia al mandato era giustificata.

Il secondo motivo lamenta la violazione dell'art. 112 c.p.c., per aver il Tribunale posto a fondamento della sua decisione la negligenza professionale senza che essa fosse stata tempestivamente allegata dalla convenuta. Si deduce, altresì, la violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, e art. 5, comma 2, 3 e 6.

Il terzo motivo denuncia la mancata liquidazione del compenso per il reclamo sotto il profilo dell'omesso esame circa fatti decisivi (tra cui saliente è il rilievo che il reclamo è stato proposto nel febbraio 2016, mentre la rinuncia al mandato è avvenuta nel maggio 2016).

Il quarto motivo censura che, nel determinare il valore della causa in Euro 25.000,00 non sia stato sommato il valore della domanda riconvenzionale del cliente (Euro 8.000,00) al valore della domanda di esso ricorrente, quale attore (determinata per l'appunto in Euro 25.000,00).

Il quinto motivo denuncia che il compenso per il procedimento cautelare sia stato liquidato ai minimi della tariffa sul presupposto - ritenuto con l'ordinanza qui impugnata - che le questioni trattate sono state rilevate come sostanzialmente non diverse da quelle del merito e che l'attività non ha condotto ad alcun risultato per il cliente.

Si deduce la violazione dell'art. 115 c.p.c., comma 1, nonché l'omesso esame circa fatti decisivi perché non sono state rilevate le indicazioni circa il valore indeterminato del procedimento cautelare (tra cui quella contenuta nel ricorso per il provvedimento). Si denuncia, altresì, la violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, oltre all'omesso esame circa fatti decisivi in relazione alla mancata liquidazione in base ai valori medi. Si lamenta, infine, l'omessa liquidazione del compenso per la fase istruttoria del procedimento cautelare.

Il sesto motivo denuncia, sulla base dell'accoglimento dei motivi precedenti, che l'importo da liquidare per compensi doveva ammontare a Euro 18.578,00 (oltre cpa e iva) e non a quello di Euro 3.361,00 (oltre accessori di legge).

Il settimo motivo, sempre sulla scorta dell'accoglimento dei precedenti motivi di doglianza, deduce la mancata considerazione della nota spese nella liquidazione delle spese processuali.

2. - I primi tre motivi sono da esaminare congiuntamente, in quanto tra loro connessi.

Essi sono da dichiarare inammissibili poiché sono accomunati dall'idea che: (a) si possa ottenere un accoglimento del ricorso se si prospettano come errori di diritto quelli che in realtà sono (pretesi) errori commessi nella ricostruzione e apprezzamento della situazione di fatto rilevante in causa; (b) si possa aprire la prospettiva di un ulteriore accertamento in fatto relativo alla stessa controversia dinanzi al giudice di rinvio, nonostante che l'apprezzamento dei fatti rilevanti compiuto nel giudizio di merito abbia trovato la propria espressione in una motivazione effettiva ed adeguata, o comunque riducibile a coerenza attraverso la valutazione e l'interpretazione delle risultanze di causa.

Nel caso di specie il Tribunale si è conformato correttamente ai seguenti principi di diritto. Nell'adempimento dell'incarico professionale, l'obbligo di diligenza ex art. 1176 c.c., comma 2, e ex art. 2236 c.c. dell'avvocato si estrinseca in doveri di informazione, sollecitazione e dissuasione verso il cliente. In particolare, l'avvocato è tenuto a richiedere al cliente che egli gli fornisca tutti gli elementi necessari o utili in suo possesso al fine del corretto svolgimento dell'incarico, ad indicargli tutte le questioni che si frappongono al conseguimento del risultato o che comunque sono fattori di rischio di effetti dannosi, a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dal probabile esito sfavorevole. Incombe sull'avvocato l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, mentre è insufficiente che il cliente gli abbia rilasciato la procura alle liti, poiché il conferimento di tale potere non è indice univoco che il cliente sia stato compiutamente informato di tutte le circostanze indispensabili per una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo o intervenire in giudizio (cfr. Cass. 19520/2019, tra le altre).

Peraltro, è appena il caso di ribadire che questa Corte non è tenuta a fare proprio l'apprezzamento dei fatti compiuto dal giudice di merito. Tale apprezzamento rimane proprio di quest'ultimo anche dopo aver superato il vaglio del giudizio di legittimità (cfr. l'aggettivo possessivo "suo", impiegato in modo pregnante dall'art. 116 c.p.c., comma 1, con riferimento al prudente apprezzamento del giudice di merito).

3. - Il quarto motivo non è fondato.

Al fine della determinazione del valore della causa la domanda riconvenzionale non si cumula con la domanda principale dell'attore (ma solo se di valore eccedente a quest'ultima - ipotesi che non ricorre nel caso di specie - può comportare l'applicazione dello scaglione superiore, poiché la proposizione di una riconvenzionale amplia il "thema decidendum" ed impone all'avvocato una maggiore attività difensiva, sì da giustificare l'utilizzazione del parametro correttivo del valore effettivo della controversia sulla base dei diversi interessi perseguiti dalle parti, ovvero del criterio suppletivo previsto per le cause di valore indeterminabile). A tal proposito il giudice di merito si è conformato al pacifico orientamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. 14691/2015 e, da ultimo, Cass. n. 23406/2023).

3. - Anche il quinto motivo non è fondato.

Con tale motivo si censurano in realtà valutazioni di merito attinenti alla consistenza delle attività svolte nel procedimento cautelare nonché alla misura dei compensi. Tali valutazioni, ancorché essenziali, hanno trovato espressione in una motivazione logica e non affetta da contraddittorietà, che quindi non si espone a censure in sede di legittimità.

Per quanto riguarda la doglianza relativa alla mancata liquidazione della fase istruttoria del procedimento cautelare, essa è priva del requisito della specificità. Infatti, trattandosi di un procedimento cautelare in corso di causa, incombeva al ricorrente l'onere - invece non assolto - di specificare in modo dettagliato quali attività riconducibili alla fase istruttoria erano state svolte concretamente al fine esclusivo della cognizione cautelare e non anche di quella relativa propriamente al merito della causa.

4. - Il sesto ed il settimo motivo, essendo condizionato il loro esame all'accoglimento dei precedenti motivi di doglianza, vanno ritenuti assorbiti poiché questi ultimi sono stati respinti.

5. - In definitiva, il ricorso deve essere integralmente rigettato.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese poiché la parte intimata non ha svolto attività difensiva in questa fase.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un'ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un'ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.