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Carabiniere fuori servizio non ferma evaso, ma reato c'è (Cass. 43536/23)

26 ottobre 2023, Cassazione penale

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La condanna per il delitto di evasione può basarsi anche (solo) sulla testimonianza di un carabiniere fuori servizoi e senza che venga fermato il soggetto evaso. 

Corte di Cassazione

sez VI penale, ud. 4 ottobre 2023 (dep. 26 ottobre 2023), n. 43536
Presidente Di Stefano – Relatore Di Giovine

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano confermava la condanna dell'imputato, disposta in primo grado, a seguito di giudizio abbreviato, per il delitto di evasione (art. 385 c.p., commi 1 e 3).

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso B.A.N., per il tramite del suo difensore, avvocato VV.

Il ricorrente premette che il capo d'imputazione contemplava due distinti episodi. L'imputato, in uno, era riconosciuto, in assenza di formale identificazione, da un agente fuori servizio alla guida del suo velocipide; nell'altro, si allontanava dal domicilio per andare a buttare la spazzatura.

2.1. Ciò precisato, con il primo motivo di ricorso è dedotto vizio di motivazione in merito alla qualificazione dei fatti come evasione, posto che: nel primo caso, è difettata l'identificazione dell'imputato; nel secondo, l'imputato non intendeva contravvenire alle prescrizioni dell'autorità giudiziaria (essendo l'unico membro del suo nucleo familiare), sicché non avrebbe agito con dolo.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso si eccepisce vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), in considerazione delle condizioni psicopatologiche da cui il ricorrente era affetto al momento dei fatti e delle motivazioni che ne imposero l'allontanamento da casa, nel secondo episodio.

2. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, conv. dalla L. 18 dicembre 2020, e successive modificazioni, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.

1.2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e comunque generico, in quanto non si confronta con la motivazione, completa e logica, del provvedimento impugnato.

In relazione al primo episodio di evasione, scrivono infatti i giudici che l'imputato era notato da un maresciallo dei carabinieri di […] mentre percorreva una via in bicicletta, in orario diverso da quello in cui era autorizzato ad allontanarsi dal domicilio.

È vero - si aggiunge - che, in quell'occasione, il militare si trovava fuori servizio, a bordo della sua autovettura privata, e che non provvedeva a fermare l'imputato. 

Tuttavia - e la motivazione appare sul punto compiuta e coerente - tali circostanze non sono idonee a inficiare la corretta identificazione dell'imputato, posto che il maresciallo ben conosceva B., che era sottoposto agli arresti domiciliari nel Comune in cui il militare prestava servizio e, per questo, dallo stesso più volte controllato.

Persuasivamente motivato risulta, nel provvedimento impugnato, anche il rigetto delle deduzioni volte a giustificare il secondo allontanamento dell'imputato dal domicilio, in rapporto al quale il ricorrente rileva la necessità di buttare la spazzatura.

In sentenza si precisa, infatti, come tale circostanza non soltanto non emerga dalla relazione di servizio stesa dai militari nell'immediatezza del fatto, ma contrasti, anzi, con essa.

Da tale relazione risultava, infatti, che il B., avvedutosi della presenza dei Carabinieri, simulava di aver smarrito le chiavi di casa, il giorno prima, durante l'orario di permesso, riferendo agli operanti di trovarsi fuori dall'abitazione proprio alla ricerca delle medesime (spiegazione ritenuta non credibile, avendo i militari constatato che la porta era regolarmente chiusa a chiave).

Correttamente, dunque, i giudici inferiscono la sussistenza del dolo di evasione e, in generale, la configurabilità del delitto.

1.2. Pur nella sua sinteticità, compiutamente e logicamente motivata appare la sentenza impugnata pure in relazione al secondo motivo di ricorso, e cioè al mancato riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), richiamandosi in essa la vicinanza temporale dei due episodi contestati, tra cui è ravvisata continuazione (che, tuttavia, non sarebbe stata di per sé sola sufficiente: Sez. U, n. 18891 del 27/01/2022, Ubaldi, Rv. 283064), nonché i precedenti dell'imputato e desumendosi, oltretutto, dalla pronuncia di primo grado, la sussistenza di gravi profili di pericolosità sociale in capo all'imputato.

3. Alla valutazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'art. 616 c.p.p.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende.

Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52 che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza