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Domande suggestive, ma teste attendibile (Cass. 44175/23)

8 novembre 2023, Cassazione penale

In tema di esame testimoniale, la violazione del divieto di porre domande suggestive non dà luogo nè alla sanzione di inutilizzabilità prevista dall'art. 191 c.p.p., nè a quella di nullità, atteso che l'inosservanza delle disposizioni fissate dall'art. 498 c.p.p., comma 1, e art. 499 c.p.p. non determina nè l'assunzione di prove in violazione dei divieti di legge, nè la inosservanza di alcuna delle previsioni dettate dall'art. 178 c.p.p.: detta violazione rileva soltanto sul piano della valutazione della genuinità della prova, che può risultare compromessa esclusivamente se inficia l'intera dichiarazione e non semplicemente la singola risposta fornita alla domanda suggestiva, ben potendo il giudizio di piena attendibilità del teste essere fondato sulle risposte alle altre domande.

Per quanto riguarda il reato di produzione di materiale pedopornografico non è necessaria una condotta di costrizione, essendo all'uopo sufficiente che l'agente abbia istigato o indotto il minore a realizzare detto materiale, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l'intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell'utilizzazione del minore che ne implica una strumentalizzazione idonea ad integrare il reato.

 

 

Corte di Cassazione 

sez III penale

 ud. 19 settembre 2023 (dep. 3 novembre 2023), n. 44175
Presidente Gentili – Relatore Reynaud 

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 21 gennaio 2023, la Corte d'appello di Lecce, Sez. dist. di Taranto, accogliendo parzialmente il gravarne proposto dall'odierno ricorrente giudicato con rito abbreviato - per quanto qui interessa ne ha confermato la penale responsabilità in ordine ai reati di produzione di materiale pedopornografico e di tentata produzione del medesimo materiale e ha rideterminato la pena riconoscendo la circostanza attenuante di cui all'art. 89 c.p. sulla scorta delle conformi conclusioni rese dal perito nominato in secondo grado.

2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo, violazione di legge e mancanza di motivazione per non essere stata effettuata alcuna rilettura dei fatti alla luce della parziale incapacità d'intendere e di volere riconosciuta in sede di rinnovazione istruttoria.

3. Con il secondo motivo si lamentano violazione della legge penale e vizio di motivazione per essere stato ritenuto il reato consumato di cui all'art. 600 ter c.p. in relazione a sole due fotografie che, per un verso, non avevano natura pedopornografica e, per altro verso, non erano state prodotte su induzione dell'imputato, avendole questi tratte dal profilo Istagram ove la minore le aveva pubblicate, come dalla stessa dichiarato nella sua deposizione.

Con riguardo al ritenuto delitto tentato, si lamenta che la contestata minaccia di rendere pubbliche le foto in possesso dell'imputato qualora la minore non ne avesse prodotte altre per mandargliele era in realtà priva di qualsiasi carattere intimidatorio, posto che, appunto, si trattava di foto dalla ragazzina già pubblicate sul suo profilo social, mentre la dichiarazione circa la minaccia di rendere pubblica una chat intercorsa tra i due, inizialmente resa dalla persona offesa, era stata da questa successivamente ritrattata, avendo ella ammesso che mai vi era tra loro stata una chat.

Si lamenta, da ultimo, che sussisteva ignoranza inevitabile della minore età della ragazza in capo all'imputato.

4. Con il terzo motivo di ricorso si deduce inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità e inutilizzabilità per essere state illegittimamente utilizzate le risposte rese dalla minore a seguito di contestazioni mosse nell'esame con riguardo alle s.i.t. in precedenza dalla stessa rese ma verbalizzate soltanto in forma riassuntiva in violazione della specifica e tassativa formalità di documentazione prevista dall'art. 141-bis c.p.p.

5. Con il quarto motivo si lamenta inosservanza di legge e assoluta mancanza di motivazione sulla doglianza, proposta con l'appello, circa l'essere state ammesse domande suggestive formulate alla minore dal pubblico ministero e dalla parte civile.

6. Con il quinto motivo si deduce vizio di motivazione per non essere stata la condotta di cui al capo 1) derubricata nel delitto previsto dall'art. 600 quater c.p., potendosi, al più, contestare all'imputato l'ipotesi di detenzione di materiale pedopornografico, posto che, come in precedenza argomentato, la minore non gli aveva mai trasmesso sue fotografie, essendo stati accertati soltanto contatti a mezzo SMS.

7. Con gli ultimi due motivi di ricorso si lamenta violazione della legge penale, rispettivamente, per il diniego - in alcun modo motivato - delle circostanze attenuanti generiche e per essere stata erroneamente applicata la diminuente ex art. 89 c.p. sulla pena base stabilita per il più grave reato di cui al capo 1), piuttosto che sulla pena risultante dall'aumento praticato a titolo di continuazione per il reato di cui al capo 2).

Considerato in diritto

1. Il primo motivo è inammissibile per assoluta genericità, essendo privo delle ragioni di diritto e di fatto che sorreggono l'incomprensibile doglianza.

Ed invero, dopo aver disposto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per procedersi a perizia volta ad accertare se l'imputato avesse capacità d'intendere e di volere al momento dei fatti, la Corte territoriale, parzialmente accogliendo il primo motivo di gravame, in conformità alle conclusioni peritali non contestate in grado di appello, tanto che la difesa aveva pure rinunciato all'escussione orale del perito, nè nella presente sede - ha ritenuto la seminfermità mentale e correttamente applicato, come meglio di seguito si dirà, la relativa circostanza attenuante. Non si comprende, dunque, di cosa l'imputato si dolga, allegando un generico vizio di mancanza di motivazione sul punto, tenuto anche conto che l'imputabilità, quale capacità di intendere e di volere, e la colpevolezza, quale coscienza e volontà del fatto illecito, esprimono concetti diversi e operano su piani diversi, con la conseguenza che il dolo generico è compatibile con il vizio parziale di mente (Sez. 1, n. 17496 del 29/11/2022, dep. 2023, Losengo, Rv. 284502).

2. Il secondo motivo di ricorso è in larga parte inammissibile per genericità e comunque, nel complesso, infondato, prospettandosi anche una diversa ricostruzione del fatto e delle prove non consentita in sede di legittimità.

2.1. Ed invero, la genericità dell'impugnazione sussiste non solo quando i motivi risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568). In particolare, i motivi del ricorso per cassazione - che non possono risolversi, come invece nella specie sostanzialmente avvenuto, nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito - si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838), sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, atteso che quest'ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).

Alla Corte di cassazione, poi, sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/20C)6, De Vita, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).

2.2. Con riguardo al reato consumato ascritto al capo 1) d'imputazione, osserva il Collegio che, stando al riepilogo dei motivi di appello contenuti in sentenza, non specificamente contestato, l'appellante non aveva espressamente lamentato che la minore non avesse trasmesso sue fotografie all'imputato, su richiesta del medesimo, e dalla riproduzione delle sue dichiarazioni quale fatta nello stesso ricorso si ricava come ella abbia ripetutamente riferito di avergliele mandate. Che sul cellulare sequestrato all'imputato non siano state rinvenute tracce di conversazioni whatsapp tra l'uomo e la minore non inficia le concordi conclusioni raggiunte dalle due sentenze di merito, avendo quella di primo grado (pag. 5) non illogicamente argomentato come l'imputato potesse aver cancellato le conversazioni dopo che la ragazzina aveva bloccato il suo profilo ed avendo parimenti attestato come quest'ultima avesse riferito di essere stata dal primo contattata sul social network Istagram con insistente richiesta di fotografie del suo corpo, alla quale, alla fine, ella cedette, ciò che ha peraltro trovato oggettiva conferma nel reperimento di tali foto sul dispositivo elettronico sequestrato all'imputato. La sentenza impugnata attesta, inoltre, come questi abbia sul punto ammesso l'addebito, senza che l'attendibilltà di tale dichiarazione, peraltro, appunto, conforme al narrato della persona offesa, possa essere messa in dubbio richiamando la seminfermità mentale dell'imputato. Diversamente da quanto genericamente allegato dal ricorrente, dunque, i giudici di merito hanno escluso che le foto oggetto di contestazione possano essere state tratte dal profilo Istagram della minore - potendo ciò essere invece avvenuto, ma la circostanza è priva di rilievo, per altre foto, di contenuto normale, parimenti rinvenute sul cellulare dell'imputato - trattandosi, invece, di quelle da lei trasmesse all'imputato su sua insistente richiesta.

2.3. Per l'integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico, diversamente da quanto allega il ricorrente, non è del resto necessaria una condotta di costrizione, essendo all'uopo sufficiente che l'agente abbia istigato o indotto il minore a realizzare detto materiale, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l'intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell'utilizzazione del minore che ne implica una strumentalizzazione idonea ad integrare il reato: cfr. Sez. 3, n. 2252 del 22/10/2020, dep. 2021, C., Rv. 280825-02; Sez. 3, n. 26862 del 18/04/2019, P., Rv. 276231).

2.3. Quanto al contestato carattere pornografico delle due fotografie per le quali è stato ritenuto il reato consumato e sulle quali si sofferma la sentenza impugnata - dando atto che le stesse raffiguravano il seno e il pube parzialmente visibili - trattasi di giudizio di fatto, concordemente reso dai giudici di merito, che in questa sede non può essere ovviamente rivisitato, non essendo state prospettate ragioni rispetto ad una possibile violazione della definizione contenuta nell'art. 603 c.p., u.c.. Del resto, la definizione di pornografia minorile contenuta in tale disposizione, introdotta dalla L. 1 ottobre 2012, n. 172, art. 4, comma 1, lett. h), (di ratifica ed esecuzione della Convenzione di Lanzarote del 25 ottobre 2007) si caratterizza per il suo maggior rigore rispetto a quella precedente (desunta dalla L. 11 marzo 2002, n. 46 di ratifica del Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti dell'infanzia stipulato a New York il 6.9.2000), in quanto, per quel che qui rileva, si contenta della rappresentazione "per scopi sessuali" degli organi genitali del minore e non esige più l'esibizione lasciva degli stessi (Sez. 3, n. 3110 del 20/11/2013, dep. 2014, C., Rv. 259317). Ciò che oggettivizza e connota il disvalore penale del fatto, escludendo arbitrarie applicazione della norma a condotte inoffensive ed agganciate a chiavi di lettura meramente soggettive, è che la rappresentazione deve necessariamente riguardare gli organi sessuali dei minori di età (non solo gli organi genitali, ma anche altre zone erogene, come il seno e i glutei, puntualizza Sez. 3, n. 9354 del 08/01/2020, C., Rv. 278639-02). Sotto altro profilo, la sentenza fa buon governo del principio, anche recentemente ribadito, giusta il quale lo scopo sessuale, che rende materiale pedopornografico la rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto non coinvolto in attività sessuali esplicite, simulate o reali, implica l'accertamento della finalità della sua produzione, che, laddove non immediatamente evincibile, può essere desunta da ogni elemento utile, compresa l'intenzione dell'agente, posto che il reato sussiste quando tale rappresentazione, non altrimenti giustificabile, sia qualificabile come diretta a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo (Sez. 3, n. 29817 del 15/03/2023, F., Rv. 284899). Nel caso di specie, lo scopo sessuale che muoveva l'imputato nel richiedere alle minori - non solo all'odierna persona offesa, ma anche ad altre ragazzine da lui adescate su Istagram, tramite un profilo che ritraeva un ragazzo adolescente (sent. di primo grado, pag. 4) - di fotografare il loro corpo e di trasmettergli le foto è stato non illogicamente argomentato dalla sentenza impugnata e non viene specificamente contestato in ricorso.

2.4. Quanto alle contestazioni relative al reato tentato di cui al capo 2), con valutazione di fatto non illogicamente argomentata e non scalfita dalle generiche contestazioni mosse in ricorso, che anche qui sottendono inammissibilmente una differente ricostruzione fattuale, la sentenza impugnata - fondandosi anche sul contenuto di un messaggio SMS rivenuto sul telefono dell'imputato - ha non illogicamente ritenuto provata la minaccia di pubblicazione delle foto intime dalla minore già trasmesse quale forma di costrizione per ottenerne altre, così come riferito dalla persona offesa, la cui attendibilità, dunque, è stata adeguatamente vagliata e, anche su questo punto, è peraltro riscontrata dalle ammissioni fatte dall'imputato.

2.5. La contestazione concernente la pretesa ignoranza della minore età della persona offesa - ancor prima che generica - è inammissibile perché non era stata specificamente dedotta con il gravame.

Richiamando consolidati principi affermati con riguardo alla causa di inammissibilità di cui all'art. 606 c.p.p., comma 3, ult. parte, deve ribadirsi che laddove si deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo dedotto con l'atto d'appello, occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli e a., Rv. 270627; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066). Nella specie questa contestazione manca e per ciò solo il ricorso sarebbe inammissibile per genericità.

Deve aggiungersi che l'esame dell'atto d'appello ha consentito al Collegio di verificare che la questione in parola non era stata effettivamente dedotta, sicché non può sul punto prospettarsi il vizio di motivazione, ricavandosi peraltro dal disposto di cui all'art. 606 c.p.p., comma 3, il principio secondo cui è precluso dedurre per la prima volta in sede di legittimità questioni di cui il giudice dell'impugnazione sul merito non era stato investito (cfr. Sez. 5, n. 3560 del 10/12/2013, dep. 2014, Palmas e aa., Rv. 258553).

3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato, posto l'art. 141-bis c.p.p. riguarda l'acquisizione delle dichiarazioni rese da persona in stato di detenzione e non è dunque applicabile al caso di specie.

4. All'evidenza inammissibile è anche il quarto motivo di ricorso, avendo lo stesso ricorrente ammesso di non aver svolto in appello specifiche contestazioni sulla pretesa suggestività delle domande rivolte alla persona offesa, "rimettendosi sul punto alla valutazione della Corte di appello". A fronte di una doglianza così priva di specificità, la Corte territoriale non aveva alcun obbligo di risposta che possa fondare un vizio di mancanza di motivazione.

Va peraltro richiamato il consolidato orientamento interpretativo giusta il quale, in tema di esame testimoniale, la violazione del divieto di porre domande suggestive non dà luogo nè alla sanzione di inutilizzabilità prevista dall'art. 191 c.p.p., nè a quella di nullità, atteso che l'inosservanza delle disposizioni fissate dall'art. 498 c.p.p., comma 1, e art. 499 c.p.p. non determina nè l'assunzione di prove in violazione dei divieti di legge, nè la inosservanza di alcuna delle previsioni dettate dall'art. 178 c.p.p. (Sez. 1, n. 13387 del 16/05/2013, dep. 2014, Rossi, Rv. 259728; Sez. 1, n. 39996 del 14/07/2005, Grancini e aa., Rv. 232941). Detta violazione rileva soltanto sul piano della valutazione della genuinità della prova, che può risultare compromessa esclusivamente se inficia l'intera dichiarazione e non semplicemente la singola risposta fornita alla domanda suggestiva, ben potendo il giudizio di piena attendibilità del teste essere fondato sulle risposte alle altre domande (Sez. 3, n. 4672 del 22/10/2014, dep. 2015, L., Rv. 262468). L'assoluta genericità del ricorso sul punto non consente a questa Corte alcun tipo di valutazione.

5. Alla luce dell'infondatezza del secondo motivo e della corretta qualificazione giuridica dei reati fatta dai giudici di merito, il quinto motivo di ricorso - che reitera le medesime doglianze lamentando l'omessa risposta alla richiesta di riqualificazione dei fatti nel delitto di cui all'art. 600-quater c.p. - è all'evidenza manifestamente infondato.

6. Richiamandosi quanto osservato supra, sub p. 2.5, il sesto motivo di ricorso è inammissibile perché le circostanze attenuanti generiche non risultano richieste con l'atto di appello.

7. L'ultimo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

È da tempo consolidato - e va qui ribadito - il principio, a cui il ricorrente non muove alcuna specifica contestazione, mostrando di ignorarlo, giusta il quale, in tema di reato continuato, per la individuazione della violazione più grave, il giudice deve tener conto anche di tutte le circostanze, aggravanti e attenuanti, ravvisabili nel caso concreto, e operare gli aumenti o le diminuzioni di pena che, entro i limiti previsti dalla legge, ritiene opportuni (Sez. 1, n. 1153 del 18/03/1993, Agnelli, Rv. 193973), applicando soltanto successivamente l'aumento per la continuazione (Sez. 6, n. 11401 del 08/10/1993, Del Gobbo, Rv. 196758; cfr., più di recente, Sez. 7, ord. n. 49048 del 20/05/2015, Illiano, n. m.; Sez. 4, n. 26093 del 26703/2008, Manca, n. m.). Questo generale principio opera ovviamente anche per la diminuente prevista dall'art. 89 c.p., che costituisce pacificamente una circostanza attenuante (v. già Sez. 3, n. 3262 del 18/02/1991, Gatti, Rv. 186612), soggetta alle ordinarie regole per queste previste (cfr. Sez. 1, n. 40812 del 27/10/2010, Bertuzzi, Rv. 248442), salvo che sia diversamente stabilito (v., ad es., l'art. 69 c.p., comma 4, nel testo risultante dalla sent. Corte Cost. n. 73 del 7-24 aprile 2020, n. 73, che ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 89 c.p. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all'art. 99 c.p., comma 4).

8. Il ricorso, complessivamente infondato, deve pertanto essere rigettato, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Nonostante il rigetto del ricorso, reputa il Collegio che non possa accogliersi la richiesta di liquidazione delle spese avanzata dalla parte civile con la memoria depositata nel contraddittorio cartolare.

Ed invero, secondo il condivisibile orientamento già espresso da questa Corte, quando il ricorso dell'imputato non trovi accoglimento, la parte civile che non abbia partecipato all'udienza, anche nel caso - che è quello di specie - in cui, in difetto di richiesta di trattazione orale, questa non si sia tenuta per l'applicabilità della speciale disciplina di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, conv., con modiff., dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali sostenute quando abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attività diretta a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione (Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923; Sez. 2, n. 33523 del 16/06/2021, D., Rv. 281960-03; Sez. 2 n. 24619 del 02/07/2020, Puma, Rv. 279551-02). Questo principio è stato più di recente condiviso ed applicato dalle stesse Sezioni unite di questa Corte (cfr. Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, in motivazione, sub pp. 20.2.3. e 20.3).

Nel caso di specie, all'evidenza detta condizione non ricorre, poiché la laconica memoria depositata si limita a concludere per la declaratoria di inammissibilità o di rigetto del ricorso e la liquidazione delle spese, senza spendere parola su alcuno dei numerosi motivi proposti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, che - a tutela dei diritti o della dignità degli interessati - sia apposta a cura della cancelleria, sull'originale della sentenza, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati sulla sentenza.