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Esalazioni maleodoranti e impianto idrico non funzionante in carcere, è trattamento inumano (Cass. 39679/23)

29 settembre 2023, Cassazione penale

Cattiva areazione e cattive condizioni sanitarie e igieniche in carcere costituiscono trattamento inumano e degradante e vanno risarcite (indennizzate) dal Ministero. 

Corte di Cassazione 

sez I penale

ud. 20 dicembre 2022 (dep. 29 settembre 2023), n. 39679

Ritenuto in fatto

1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Torino ha rigettato il reclamo presentato dal Ministero della Giustizia avverso la decisione del magistrato di sorveglianza di Cuneo, il quale aveva accolto in parte (riduzione della pena di 62 giorni e 32 Euro di risarcimento) la richiesta di rimedio risarcitorio presentata da D.V.F., ai sensi dell'art. 35-ter L. 26 luglio 1975, n. 354 (ord. penit.), per la detenzione ritenuta inumana e degradante, quindi in contrasto con l'art. 3 Convenzione EDU in relazione a 1.674 giorni complessivi di espiazione pena presso la Casa circondariale di (omissis) (dal (omissis), dal (omissis) e dal (omissis) al (omissis)), respingendo la domanda con riferimento alla carcerazione sofferta presso gli Istituti penitenziari di […] e […]"(omissis) ".

Il Tribunale di sorveglianza ha motivato la decisione evidenziando che il detenuto aveva avuto a disposizione uno spazio individuale all'interno della camera detentiva superiore alla soglia di tollerabilità, con un minimo di 3,18 metri quadri. L'accoglimento della richiesta da parte del Tribunale si è basato su alcune criticità segnalate dal detenuto D.V. rispetto all'erogazione di acqua proveniente da pozzi (l'Istituto non è collegato all'acquedotto comunale per cui, nei casi di interruzione della fornitura gli erano stati forniti in sostituzione due litri di acqua in bottiglia per provvedere alle esigenze di igiene personale), all'apposizione alle finestre di schermature non ammesse dall'art. 6, comma 2, D.P.R. n., 30 giugno 2000, n. 230, (in assenza di dimostrate ragioni di sicurezza) nonché alla qualità dell'aria (ritenuta sgradevole, a volte intollerabile, valutata comunque come non nociva) "inquinata" dalla presenza, nei pressi dell'Istituto, di uno stabilimento di trito-vagliatura e imballaggio rifiuti.

Il provvedimento impugnato riporta tutte le considerazioni svolte dal magistrato di sorveglianza sui punti sopra evidenziati concludendo che, in una valutazione complessiva dei fattori negativi così come riscontrati, la condizione carceraria sofferta dal detenuto aveva costituito una violazione dell'art. 3 Convenzione EDU.

2. Ricorre per cassazione il Ministero della Giustizia, con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, censurando con un unico motivo la violazione di legge in relazione all'art. 35-ter L. 26 luglio 1975, n. 354 (ordinamento penitenziario) con riferimento alla valutazione dei parametri di adeguatezza delle condizioni detentive.

Rappresenta il Ministero ricorrente che la fornitura di acqua è stata sempre garantita dalla presenza di serbatoi con annesso impianto di potabilizzazione manutenuto da una ditta specializzata e che l'acqua, ritenuta non gradevole, era comunque potabile. In caso di interruzione dell'erogazione, mai superiore a 60 minuti, ai detenuti sono stati distribuiti due litri d'acqua in bottiglia al giorno. Ancora, rispetto alla salubrità dell'aria, il Ministero afferma che l'impianto di trattamento rifiuti nei pressi dell'Istituto è stato costantemente monitorato dall'ARPAC senza che fosse stato mai rilevato lo sforamento dei parametri o situazioni di criticità eccedenti il limite che avrebbero potuto cagionare un danno alla salute. In conclusione, secondo l'Amministrazione, si sarebbe trattato di meri disagi e non di condizioni di detenzione non compatibili con l'art. 3 Convenzione EDU.

3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato, quindi, meritevole di rigetto.

2. Il Tribunale ha svolto un esame completo delle doglianze senza sottovalutare aspetti che possono essere ritenuti rilevanti sulla complessiva conformità della condizione detentiva con l'art. 3 Convenzione EDU.

3. Questa Corte ha già avuto modo di affermare, sulla base dei contenuti della giurisprudenza sviluppata in relazione all'art. 3 cit., che ove lo spazio vitale minimo in cella collettiva sia stato disponibile tra i tre e i quattro metri quadrati il trattamento "non conforme" può essere accertato attraverso la rilevazione di altri casi di grave inadeguatezza delle condizioni materiali della struttura carceraria ovvero in carenza delle proposte trattamentali. Nella decisione delle Sezioni Unite di questa Corte, n. 6551 del 2021, "Commisso", si è consolidato tale orientamento e ricordando come possano rilevare a tal fine più fattori negativi tra cui "la cattiva areazione e le cattive condizioni sanitarie o igieniche", con obbligo di puntuale verifica di quanto allegato dal reclamante.

4. Va sul tema in esame richiamato, in coerenza con tale orientamento interpretativo, il contenuto di Sez. 1, n. 15554 del 2019, "Inserra" (relativo a questione analoga a quella posta dall'odierno ricorrente) ove si è affermato che la valutazione giurisdizionale, con tali puntualizzazioni metodologiche, si arricchisce di complessità, non potendosi certo ridurre l'identificazione di un trattamento inumano o degradante alla questione dello spazio destinato al movimento.

5. Nel caso dell'attuale ricorrente, in particolare, era stata dedotta l'inadeguatezza della offerta trattamentale in virtù della prolungata carenza di acqua potabile nelle celle del reparto ove il soggetto era stato ristretto, unita a fattori ambientali pregiudizievoli per l'igiene e la salute (vicinanza dell'Istituto a un impianto di trattamento di rifiuti) oltre alla presenza di schermature alle finestre delle camere di detenzione non ammesse dall'art. 6, comma 2, D.P.R. n. 30 giugno 2000, n. 230, (in assenza di dimostrate ragioni di sicurezza).

Si tratta di aspetti di indubbia rilevanza, esaminati e verificati nella loro consistenza storica dal Tribunale di sorveglianza. In particolare, il Tribunale ha evidenziato che l'Istituto penitenziario non era collegato all'acquedotto comunale usufruendo di serbatoi dotati di un impianto di potabilizzazione, sottoposto a continui interventi di manutenzione, con conseguenti interruzioni della fornitura dell'acqua la cui potabilità è stata certificata solo nel 2009. Aggiunge il provvedimento impugnato che l'acqua non è stata erogata ai detenuti con continuità sino al 2014 a causa della sua accertata non potabilità e che i due litri d'acqua in bottiglia, forniti in sostituzione, non potesse ritenersi insufficiente per bere, preparare bevande calde, cucinare e lavarsi i denti, nonché ha attribuito rilevanza alle esalazioni sgradevoli provenienti dal vicino impianto di trattamento di rifiuti senza la necessità che esse dovessero essere risultate nocive per la salute.

Ne consegue che il provvedimento impugnato risulta immune dalla censura denunciata, risultando invece condivisibile la valutazione del Tribunale sul fatto che quanto lamentato dal detenuto sia riferibile ad aspetti rilevanti ai fini dell'art. 35-ter ord. pen. sia per la prolungata assenza di acqua potabile, che per i fattori ambientali pregiudizievoli, verificati in fatto e non contestati dall'Amministrazione, i quali sono situazioni capaci di deteriorare, da una parte, la salute dei detenuti e, dall'altra, il senso di umanità che deve contraddistinguere la detenzione.

Dalle considerazioni ora esposte deriva il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.