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Garanzia del rinvio in MAE processuale anche per stranieri dimoranti (Cass. 43252/23)

24 ottobre 2023, Cassazione penale

Anche nel mandato europeo processuale la persona che non abbia la cittadinanza italiana ma che legittimamente ed effettivamente dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano può godere della garanzia del cd. reinvio nello Stato italiano per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale eventualmente applicate nei suoi confronti dallo Stato membro di emissione, dopo essere stata lì sottoposta al processo.

La richiesta di informazioni integrative allo Stato che ha emesso il mandato di arresto deve essere specificamente formulata e assistita da congrue allegazioni volte a dimostrarne la necessità e la funzionalità nella prospettiva della decisione da adottare e non può essere proposta in termini generici, sulla base della mera incompletezza del materiale informativo trasmesso, sia in merito alla individuazione della persona richiesta in consegna, con riferimento alla mancanza di tutti i dati anagrafici, sia in merito al trattamento punitivo previsto nell'ordinamento penale tedesco, agevolmente individuabile sulla base della fattispecie incriminatrice posta a base del mandato stesso.

Corte di Cassazione 

sez. VI penale

 ud. 19 ottobre 2023 (dep. 24 ottobre 2023), n. 43252

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Roma, Sezione minorenni, ha disposto la consegna di M.K. , nato a (omissis) , all'autorità giudiziaria della Germania, in relazione a mandato di arresto emesso il 6 luglio 2023 dal Tribunale di Lorrach, per l'esercizio dell'azione penale iniziata a suo carico per il reato di violenza sessuale, previsto dal § 177, comma 6, del codice penale tedesco, commesso il 11 settembre 2019. Il ricorrente era stato tratto in arresto (omissis) , al momento dello sbarco da una nave proveniente da Tunisi e si trova detenuto in carcere.

2. La Corte di appello di Roma Sezione per i Minorenni ha escluso la ricorrenza di cause che giustifichino il diniego (facoltativo o obbligatorio) di consegna, a mente della L. n. 69 del 2005, art. 18,come modificate per effetto del D.Lgs. n. 10 del 2021 o ai sensi dell'art. 18-bis L. cit.. In particolare, la Corte di appello ha escluso che potesse riconoscersi rilevanza al dedotto "radicamento" della persona chiesta in consegna in Italia sul rilievo che l'eccezione all'obbligo di consegna non si estende al mandato di arresto processuale ed è ancorata a situazioni "in cui effettivamente ricorra una concreta possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona condannata e, pertanto, ammessa unicamente a fronte di mandati di arresto Europei finalizzati all'esecuzione della pena e solo a condizione che di detta esecuzione lo Stato membro si faccia direttamente carico".

3. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il difensore del ricorrente denuncia:

3.1. erronea applicazione delle disposizioni di cui alla, art. 6, comma 2, all'art. 6, comma 1, lett. a), e art. 27 Cost. con riferimento alla incertezza sulla individuazione e identificazione del consegnando, incertezza che, nel caso, avrebbe imposto l'acquisizione di informazioni integrative; gli elementi indicati nel mandato di arresto Europeo non consentono, infatti, la identificazione del ricorrente nella persona fisica accusata del reato in quanto non ne indicano il luogo di nascita e quello di cilimora, in modo da escludere che il soggetto perseguito in Germania sia persona diversa, e sollevano perplessità che, a fronte di soggetto nato e residente in Italia, sia pure con cittadinanza di Paese terzo, l'autorità richiedente non sia riuscita a individuarne i dati anagrafici;

3.2. erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla disposizione recata dagli artt. 6, commi 1, lett. a) e 2, L. cit. in relazione alla pena edittale prevista nell'ordinamento tedesco per il reato contestato, tenuto conto che, a fronte della prescrizione di indicazione della pena edittale, minima e massima, nel mandato è indicata solo la pena massima di anni cinque e quella di anni quindici, individuata dalla Corte di appello, non corrisponde a quella applicabile al reato commesso da persona minorenne nell'ordinamento tedesco: tale omissione inficia, pertanto, la completezza delle informazioni contenute nel mandato di arresto;

3.3. violazione di legge per la mancata applicazione della L. n. 69 del 2005, art. 6, comma 4, sulla individuazione dei requisiti di emissione di un mandato processuale, poiché, a fronte di fatto commesso l'11 settembre 2019 la Corte di appello non ha applicato, ai fini dell'adozione del provvedimento, la normativa in tema di mandato di arresto vigente all'epoca dei fatti, in violazione dei principi affermati dalla sentenza della Corte di Giustizia (causa C-717/18) che ancorano al tempo di commissione del reato, cioè ad un dato normativo stabile, i requisiti di adozione del mandato di arresto; 3.4. solleva, infine, questione di illegittimità costituzionale, della L. n. 69 del 2005, art. 18-bis, nella parte in cui non prevede il rifiuto facoltativo alla consegna del cittadino cli uno Stato non membro dell'UE legittimamente ed effettivamente residente ci dimorante nello Stato italiano, anche quando oggetto del mandato di arresto Europeo sia l'esecuzione di una misura cautelare, per violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. e del principio della finalità rieducativa della pena di cui all'art. 27 Cost.; osserva che, in caso di condanna, il ricorrente si troverebbe esposto alla esecuzione della pena in un Paese straniero, di cui non conosce lingua, abitudini e usi e lontano dalla sua famiglia, residente in Italia, Paese in cui è nato ed ha trascorso gran parte della sua vita; in tale situazione, pertanto, la pena non potrebbe assolvere alla finalità rieducativa cui tende per dettato costituzionale, ai sensi dell'art. 27 Cost., comma 2.

Considerato in diritto

1.La sentenza impugnata deve essere annullata, ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 18-bis, comma 2-bis, nella parte in cui non ha accertato la legittima ed effettiva dimora del ricorrente, in via continuativa, da almeno cinque anni in Italia.

Sono, invece, infondati gli altri motivi di ricorso.

2.Premesso che solo con il ricorso è stato proposto il rilievo relativo alla corretta identificazione del consegnando, rileva la Corte che, a prescindere dagli ulteriori dati identificativi quali luogo di nascita e residenza, il mandato di arresto emesso dall'autorità giudiziaria tedesca - oltre alla scheda SIS in base alla quale era stato eseguito l'arresto - indica la data di nascita e la nazionalità tunisina della persona richiesta in consegna, dati che costituiscono elementi sufficienti per la consegna, che risulta fondata sulla identificazione del consegnando quale autore del fatto per il quale si procede, a fronte di elementi solo genericamente prospettati dal ricorrente.

3.Correttamente, inoltre, la Corte di appello ha disatteso la richiesta di informazioni integrative in relazione alla individuazione della pena, minima e massima, stabilita dallo Stato di emissione per il reato violenza sessuale (stupro), pena indicata con riferimento alla sola pena massima di anni cinque di reclusione. La richiesta, infatti, è stata ritenuta superflua dalla Corte di appello perché il fatto per cui si procede, individuato con riferimento alla fattispecie incriminatrice di stupro descritta dal § 177, comma 6, codice penale tedesco, è punito con una pena minima superiore a quella di dodici mesi di pena privativa della libertà personale che rileva ai fini della verifica della doppia punibilità. Del tutto generica deve ritenersi l'allegazione difensiva che la pena prevista per i minorenni, nell'ordinamento tedesco, è tale da comportare una diminuzione al di sotto della previsione che legittima il ricorso al mandato di arresto Europeo, ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 7.

Rileva, infine, la Corte che

Cass. pen., sez. VI, ud. 19 ottobre 2023 (dep. 24 ottobre 2023), n. 43252
Presidente De Amicis – Relatrice Giordano

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Roma, Sezione minorenni, ha disposto la consegna di M.K. , nato a (omissis) , all'autorità giudiziaria della Germania, in relazione a mandato di arresto emesso il 6 luglio 2023 dal Tribunale di Lorrach, per l'esercizio dell'azione penale iniziata a suo carico per il reato di violenza sessuale, previsto dal § 177, comma 6, del codice penale tedesco, commesso il 11 settembre 2019. Il ricorrente era stato tratto in arresto (omissis) , al momento dello sbarco da una nave proveniente da Tunisi e si trova detenuto in carcere.

2. La Corte di appello di Roma Sezione per i Minorenni ha escluso la ricorrenza di cause che giustifichino il diniego (facoltativo o obbligatorio) di consegna, a mente della L. n. 69 del 2005, art. 18,come modificate per effetto del D.Lgs. n. 10 del 2021 o ai sensi dell'art. 18-bis L. cit.. In particolare, la Corte di appello ha escluso che potesse riconoscersi rilevanza al dedotto "radicamento" della persona chiesta in consegna in Italia sul rilievo che l'eccezione all'obbligo di consegna non si estende al mandato di arresto processuale ed è ancorata a situazioni "in cui effettivamente ricorra una concreta possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona condannata e, pertanto, ammessa unicamente a fronte di mandati di arresto Europei finalizzati all'esecuzione della pena e solo a condizione che di detta esecuzione lo Stato membro si faccia direttamente carico".

3. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il difensore del ricorrente denuncia:

3.1. erronea applicazione delle disposizioni di cui alla, art. 6, comma 2, all'art. 6, comma 1, lett. a), e art. 27 Cost. con riferimento alla incertezza sulla individuazione e identificazione del consegnando, incertezza che, nel caso, avrebbe imposto l'acquisizione di informazioni integrative; gli elementi indicati nel mandato di arresto Europeo non consentono, infatti, la identificazione del ricorrente nella persona fisica accusata del reato in quanto non ne indicano il luogo di nascita e quello di cilimora, in modo da escludere che il soggetto perseguito in Germania sia persona diversa, e sollevano perplessità che, a fronte di soggetto nato e residente in Italia, sia pure con cittadinanza di Paese terzo, l'autorità richiedente non sia riuscita a individuarne i dati anagrafici;

3.2. erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla disposizione recata dagli artt. 6, commi 1, lett. a) e 2, L. cit. in relazione alla pena edittale prevista nell'ordinamento tedesco per il reato contestato, tenuto conto che, a fronte della prescrizione di indicazione della pena edittale, minima e massima, nel mandato è indicata solo la pena massima di anni cinque e quella di anni quindici, individuata dalla Corte di appello, non corrisponde a quella applicabile al reato commesso da persona minorenne nell'ordinamento tedesco: tale omissione inficia, pertanto, la completezza delle informazioni contenute nel mandato di arresto;

3.3. violazione di legge per la mancata applicazione della L. n. 69 del 2005, art. 6, comma 4, sulla individuazione dei requisiti di emissione di un mandato processuale, poiché, a fronte di fatto commesso l'11 settembre 2019 la Corte di appello non ha applicato, ai fini dell'adozione del provvedimento, la normativa in tema di mandato di arresto vigente all'epoca dei fatti, in violazione dei principi affermati dalla sentenza della Corte di Giustizia (causa C-717/18) che ancorano al tempo di commissione del reato, cioè ad un dato normativo stabile, i requisiti di adozione del mandato di arresto; 3.4. solleva, infine, questione di illegittimità costituzionale, della L. n. 69 del 2005, art. 18-bis, nella parte in cui non prevede il rifiuto facoltativo alla consegna del cittadino cli uno Stato non membro dell'UE legittimamente ed effettivamente residente ci dimorante nello Stato italiano, anche quando oggetto del mandato di arresto Europeo sia l'esecuzione di una misura cautelare, per violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. e del principio della finalità rieducativa della pena di cui all'art. 27 Cost.; osserva che, in caso di condanna, il ricorrente si troverebbe esposto alla esecuzione della pena in un Paese straniero, di cui non conosce lingua, abitudini e usi e lontano dalla sua famiglia, residente in Italia, Paese in cui è nato ed ha trascorso gran parte della sua vita; in tale situazione, pertanto, la pena non potrebbe assolvere alla finalità rieducativa cui tende per dettato costituzionale, ai sensi dell'art. 27 Cost., comma 2.

Considerato in diritto

1.La sentenza impugnata deve essere annullata, ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 18-bis, comma 2-bis, nella parte in cui non ha accertato la legittima ed effettiva dimora del ricorrente, in via continuativa, da almeno cinque anni in Italia.

Sono, invece, infondati gli altri motivi di ricorso.

2.Premesso che solo con il ricorso è stato proposto il rilievo relativo alla corretta identificazione del consegnando, rileva la Corte che, a prescindere dagli ulteriori dati identificativi quali luogo di nascita e residenza, il mandato di arresto emesso dall'autorità giudiziaria tedesca - oltre alla scheda SIS in base alla quale era stato eseguito l'arresto - indica la data di nascita e la nazionalità tunisina della persona richiesta in consegna, dati che costituiscono elementi sufficienti per la consegna, che risulta fondata sulla identificazione del consegnando quale autore del fatto per il quale si procede, a fronte di elementi solo genericamente prospettati dal ricorrente.

3.Correttamente, inoltre, la Corte di appello ha disatteso la richiesta di informazioni integrative in relazione alla individuazione della pena, minima e massima, stabilita dallo Stato di emissione per il reato violenza sessuale (stupro), pena indicata con riferimento alla sola pena massima di anni cinque di reclusione. La richiesta, infatti, è stata ritenuta superflua dalla Corte di appello perché il fatto per cui si procede, individuato con riferimento alla fattispecie incriminatrice di stupro descritta dal § 177, comma 6, codice penale tedesco, è punito con una pena minima superiore a quella di dodici mesi di pena privativa della libertà personale che rileva ai fini della verifica della doppia punibilità. Del tutto generica deve ritenersi l'allegazione difensiva che la pena prevista per i minorenni, nell'ordinamento tedesco, è tale da comportare una diminuzione al di sotto della previsione che legittima il ricorso al mandato di arresto Europeo, ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 7.

Rileva, infine, la Corte che la richiesta di informazioni integrative allo Stato che ha emesso il mandato di arresto, di cui all'art. 16, L. cit., deve essere specificamente formulata e assistita da congrue allegazioni volte a dimostrarne la necessità e la funzionalità nella prospettiva della decisione da adottare e non può essere proposta in termini generici, sulla base della mera incompletezza del materiale informativo trasmesso, sia in merito alla individuazione della persona richiesta in consegna, con riferimento alla mancanza di tutti i dati anagrafici, sia in merito al trattamento punitivo previsto nell'ordinamenl:o penale tedesco, agevolmente individuabile sulla base della fattispecie incriminatrice posta a base del mandato stesso.

4.11 terzo motivo di ricorso è infondato.

Il ricorrente sostiene che le disposizioni applicabili alla esecuzione del mandato di arresto Europeo non sarebbero quelle previste dalle norme modificate per effetto del d. lgs. n. 10 del 2021, ma quelle vigenti al momento di commissione del reato per cui si procede - 11 settembre 2019 - e che avrebbero comportato, ai fini dell'esecuzione del mandato processuale, la esplicitazione delle fonti di prova a sostegno dell'accusa, requisito che, allo stato, non costituisce contenuto essenziale del mandato di arresto Europeo. Facendo applicazione delle regole anteriormente vigenti, la consegna dovrebbe essere respinta, per carenza degli elementi che ne costituivano il presupposto.

Il D.Lgs. n. 10 del 2021, art. 28 ha regolato la fase transitoria di applicazione delle "nuove" disposizioni prevedendo che solo i procedimenti relativi alla esecuzione di mandati di arresto Europeo in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo proseguono con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti.

A fronte dell'introduzione di una modifica normativa, rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire se introdurre una disciplina transitoria e come modularla, con la conseguenza che, esclusa la ricorrenza di una palese irragionevolezza della norma transitoria, l'opzione normativa non è sindacabile.

Nè, per ritenersi violati i parametri della ragionevolezza e della parità di trattamento, è sufficiente la circostanza che, per effetto della novella, si determini una diversità di trattamento tra fatti coevi, atteso che tale aspetto rappresenta la fisiologica conseguenza del susseguirsi di normative diverse che, necessariamente, vengono a trovare applicazione rispetto a situazioni processuali ravvicinate tra di loro, diversamente disciplinate a seconda del criterio intertemporale adottato.

Posto che la modifica del regime applicabile incide essenzialmente su aspetti processuali relativi alle modalità ed ai presupposti per la consegna, in applicazione del principio generale del tempus regit actum, la scelta del legislatore di applicare la nuova disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 10 del 2021 ai mandati di arresto Europeo "ricevuti" dopo la data del 21 febbraio 2021, ovvero a quelli per i quali l'arresto è avvenuto dopo tale data, è frutto di un'insindacabile scelta legislativa, che non determina nè irragionevoli disparità di trattamento, nè lesione del principio di legalità stabilito dall'art. 25 Cost. e 7 CEDU.

Il tema affrontato dalla Corte di Giustizia con la sentenza richiamata dalla difesa (c-717/18), relativo alla questione pregiudiziale sollevata sulla interpretazione dell'art. 2, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584, era diverso e relativo non all'applicazione della legge processuale che regola il mandato di arresto e i suoi presupposti, ma alla pena di riferimento ai fini dell'adozione del mandato di arresto nello Stato membro emittente in caso di successione di leggi.

5.Come si è anticipato, il mandato di arresto oggetto di M.K. è stato emesso per motivi processuali perché l'autorità giudiziaria deve celebrare il processo a carico della persona richiesta in consegna.

5.1. il difensore del ricorrente aveva eccepito che la persona chiesta in consegna, sebbene non sia cittadino italiano ma cittadino della Repubblica di Tunisia, è nato in Italia e qui dimora stabilmente da oltre cinque anni. La difesa aveva allegato elementi di prova a sostegno del radicamento, ritenuti, in tesi, ostativi alla consegna.

A questo fine ha prodotto il permesso di soggiorno di lunga durata, con vigenza fino al 2031; un contratto di lavoro sottoscritto nel 2022 ed ha precisato che, sebbene la persona chiesta in consegna non parli la lingua italiana - perché, a suo dire, non è andato a scuola-, aveva svolto regolare attività lavorativa in anni precedenti e che, comunque, aveva vissuto sempre in Italia, come si evince dal certificato di residenza storico della famiglia cui era a carico, in quanto minore.

5.2.La Corte di appello non ha esaminato la rilevanza della documentazione prodotta ed ha ritenuto che in materia di mandato di arresto cd. processuale ci si deve limitare, ai fini della verifica della sussistenza/insussistenza delle condizioni di consegna, alle ipotesi di cui all'art. 18-bis, comma 1, L. cit., nelle quali il motivo di rifiuto è connesso e limitato ai criteri della cd. territorialità e litispendenza, ipotesi non ricorrenti nella fattispecie.

Nessun rilievo potrebbe riconoscersi, secondo la Corte di merito, al cd. radicamento sul territorio italiano, condizione che è prevista solo per il cittadino italiano e comunitario residente in Italia almeno da cinque anni, ma solo per il cd. mandato esecutivo per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 178 del 2023 e del D.L. n. 69 del 13 giugno 2023, convertito, con modificazioni, nella L. n. 103 del.

L'interpretazione della disciplina in materia di mandato di arresto Europeo cd. processuale sviluppata nella sentenza impucinata non è fondata alla stregua della cd. garanzia di reinvio prevista dall'art. 19, lett. b), cit. e delle ragioni di carattere logico-sistematico di seguito svolte e che, per motivi di chiarezza e sintesi, sono sviluppate solo con riferimento alla disposizione di cui all'art. 18-bis L. cit. come modificate per effetto del D.Lgs. n. 10 del 2021 (quindi omettendo i riferimenti alle modifiche intervenute per effetto della L. 4 ottobre 2019, n. 117, se non rilevanti).

La norma di cui all'art. 18-bis L. cit. è stata oggetto dell'intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 178 del 2023 e poi dell'intervento legislativo con la L. n. 103 del 2023.

In particolare, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della L. n. 69 del 2005, art. 18-bis, comma 2, nella parte in cui non prevede che la corte d'appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano da almeno cinque anni e sia sufficientemente integrata in Italia, sempre che la corte d'appello disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia.

Il Giudice delle leggi ha posto fine ad una situazione, di cui più volte era stata denunciata la legittimità e devoluta anche alla Corte di Giustizia, per le differenze alle quali il regime di consegna in caso di mandato cd. esecutivo dava luogo prevedendo che il rifiuto di consegna non potesse trovare applicazione per i cittadini di Paesi terzi sia pure "radicati" in Italia, ma solo per il cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell'Unione Europea legittimamente ed effettivamente residente o dimorante nel territorio italiano da almeno cinque anni, sempre che l'autorità giudiziaria disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia, conformemente al suo diritto interno.

Con la L. n. 103 del 2023, sempre in materia di mandato cd. esecutivo, l'art. 18-bis, comma 2, L. 69 cit. è stato modificato prevedendo il rifiuto di consegna della persona che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano.

È stata prevista (art. 18-bis, comma 2-bis) la sanzione della nullità della sentenza che non contiene la indicazione degli elementi e dei relativi criteri di valutazione che rilevano ai fini della esigenza di verificare che la persona richiesta in consegna sia sufficientemente integrata nello Stato italiano nel periodo di cinque anni, positivizzando indici già individuati dalla giurisprudenza di legittimità e idonei a denotare il cd. radicamento, fatto salvo "ogni altro elemento rilevante".

La violazione rileva non solo in positivo (quando, cioè, sia accertata la condizione ostativa all'accoglimento della consegna), ma anche in negativo, quando la dedotta residenza e dimora ultraquinquennale della persona richiesta in consegna, a fronte delle allegazioni difensive, non sia stata esaminata.

5.3. Rileva la Corte che, in tema di mandato cd. processuale, la L. n. 103 del 2023 ha sostituito il disposto di cui all'art. 19 che, al comma 2, non risulta perfettamente coincidente con quelle in tema di mandato ai igni dell'esecuzione, pur facendo rinvio alla disposizione di cui all'art. 18-bis, comma 2-bis.

La disposizione in esame, infatti, non comprende, tra le persone che possono beneficiare del reinvio, anche la persona legittimamente ed effettivamente dimorante in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, così come previsto per la modificata disposizione di cui all'art. 18-bis, comma 2, cit. che fa, invece, riferimento sia al residente che al dimorante.

Ciò non di meno, non è revocabile in dubbio che tale garanzia deve essere ricondotta - al di là del dato letterale dell'art. 19 cit.- agli stessi soggetti che, in caso di mandato cd. esecutivo, potrebbero vedere eseguita la pena in Italia, conformemente al diritto interno, quindi anche alla persona legittimamente ed effettivamente dimorante in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano

La consegna in funzione della celebrazione del processo, vista nella sua prospettiva dinamica, si traduce, in caso di condanna, in una forma posposta di consegna per l'esecuzione e la stessa giurisprudenza di legittimità ne ha precisato natura e funzione specificando che la garanzia del reinvio costituisce un requisito di legittimità della decisione (Sez. 6, n. 14859 del 27/03/2014, Damean, Rv. 259683), in attuazione delle previsioni recate dalla L. n. 69 del 2005, art. 19, lett. b), ante modifica, e dall'art. 5 della Decisione quadro 2022/584/GAI.

Il meccanismo così delineato realizza, da un lato, la finalità di semplificazione delle procedure di consegna, evitando la duplicazione di procedure per la necessità di far ricorso, in caso di condanna, alla attivazione di una ulteriore procedura per la sua esecuzione, e, dall'altro lato, è rispettoso dei diritti fondamentali e dei principi giuridici fondamentali sanciti nell'art. 6 del Trattato sull'Unione Europea, tra cui l'eguaglianza di fronte alla legge chiamata in causa dalle disposizioni che, nell'ambito del diritto dell'Unione, regolano la estensione dei diritti dei cittadini di Stati membri ai cittadini di uno Stato non membro che, tuttavia, abbiano legittimamente ed effettivamente dimora o residenza nel territorio dell'Unione.

Non vi è ragione, sul piano logico e sistematico, per escludere che alla persona che legittimamente ed effettivamente dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, non si applichi la garanzia del cd. reinvio nello Stato italiano per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale eventualmente applicate nei suoi confronti dallo Stato membro di emissione, dopo essere stata sottoposta al processo.

Osta a tale ricostruzione la interpretazione che la Corte di Giustizia prima e la Corte Costituzionale poi hanno dato delle disposizioni che, in materia di mandato di arresto cd. esecutivo, negavano, in modo assoluto e automatico ai cittadini di Stati terzi, il beneficio del motivo di non esecuzione del mandato di arresto, precludendo così all'autorità giudiziaria competente di valutare caso per caso se la persona ricercata, cittadina di uno Stato terzo, dimori o risieda nel territorio del proprio Stato e se, in caso affermativo, i suoi legami con quest'ultimo Stato siano tanto significativi da far ritenere che l'obiettivo del suo reinserirnento sociale possa essere meglio raggiunto ove la pena sia eseguita nel medesimo Sitato.

Da qui la incompatibilità del differente regime di cui godono tanto il cittadino italiano quanto, a determinate condizioni, il cittadino di altro Stato membro con il principio di uguaglianza di fronte alla legge sancito dall'art. 20 CDFUE e, dunque, con lo stesso art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI, letto alla luce dell'art. 1, paragrafo 3, della medesima decisione quadro, che riafferma l'obbligo di rispettare "i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall'art. 6 del Trattato sull'Unione Europea" nell'esecuzione della stessa e la contrarietà all'art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, Cost. in relazione all'art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI (come precisato nel paragrafo 4.6 della sentenza n. 178 della Corte Costituzionale).

Il Giudice delle leggi ha affermato con chiarezza che una tale disciplina contrasta con la finalità rieducativa della pena imposta dall'art. 27 Cost., comma 3, poiché l'esecuzione all'estero della pena o di una misura di sicurezza inflitta o disposta a carico di una persona che abbia saldamente stabilito in Italia le proprie relazioni familiari, affettive e sociale finisce per ostacolare gravemente, una volta terminata l'esecuzione della pena e della misura, il reinserimento sociale della persona cui esse debbono tendere per mandato costituzionale.

Deve, pertanto, essere formulato il principio di diritto secondo cui, quando il mandato di arresto Europeo è stato emesso ai fini di un'azione penale nei confronti di un cittadino italiano o di una persona che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, l'esecuzione del mandato è subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata sottoposta al processo, sia rinviata nello Stato italiano per scontravi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale eventualmente applicate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione.

L'interpretazione dell'art. 19, comma 2, L. 69 cit., come innanzi svolta, rende irrilevante la questione di illegittimità costituzionale proposta con il quarto motivo di ricorso.

A tale principio dovrà attenersi la Corte di appello, Sezione dei Minorenni, indicata in dispositivo, verificando la presenza degli elementi giustificativi della legittima ed effettiva residenza o dimora sul territorio italiano della persona richiesta in consegna.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello Sezione Minorenni di Roma. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52 che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.

4.11 terzo motivo di ricorso è infondato.

Il ricorrente sostiene che le disposizioni applicabili alla esecuzione del mandato di arresto Europeo non sarebbero quelle previste dalle norme modificate per effetto del d. lgs. n. 10 del 2021, ma quelle vigenti al momento di commissione del reato per cui si procede - 11 settembre 2019 - e che avrebbero comportato, ai fini dell'esecuzione del mandato processuale, la esplicitazione delle fonti di prova a sostegno dell'accusa, requisito che, allo stato, non costituisce contenuto essenziale del mandato di arresto Europeo. Facendo applicazione delle regole anteriormente vigenti, la consegna dovrebbe essere respinta, per carenza degli elementi che ne costituivano il presupposto.

Il D.Lgs. n. 10 del 2021, art. 28 ha regolato la fase transitoria di applicazione delle "nuove" disposizioni prevedendo che solo i procedimenti relativi alla esecuzione di mandati di arresto Europeo in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo proseguono con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti.

A fronte dell'introduzione di una modifica normativa, rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire se introdurre una disciplina transitoria e come modularla, con la conseguenza che, esclusa la ricorrenza di una palese irragionevolezza della norma transitoria, l'opzione normativa non è sindacabile.

Nè, per ritenersi violati i parametri della ragionevolezza e della parità di trattamento, è sufficiente la circostanza che, per effetto della novella, si determini una diversità di trattamento tra fatti coevi, atteso che tale aspetto rappresenta la fisiologica conseguenza del susseguirsi di normative diverse che, necessariamente, vengono a trovare applicazione rispetto a situazioni processuali ravvicinate tra di loro, diversamente disciplinate a seconda del criterio intertemporale adottato.

Posto che la modifica del regime applicabile incide essenzialmente su aspetti processuali relativi alle modalità ed ai presupposti per la consegna, in applicazione del principio generale del tempus regit actum, la scelta del legislatore di applicare la nuova disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 10 del 2021 ai mandati di arresto Europeo "ricevuti" dopo la data del 21 febbraio 2021, ovvero a quelli per i quali l'arresto è avvenuto dopo tale data, è frutto di un'insindacabile scelta legislativa, che non determina nè irragionevoli disparità di trattamento, nè lesione del principio di legalità stabilito dall'art. 25 Cost. e 7 CEDU.

Il tema affrontato dalla Corte di Giustizia con la sentenza richiamata dalla difesa (c-717/18), relativo alla questione pregiudiziale sollevata sulla interpretazione dell'art. 2, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584, era diverso e relativo non all'applicazione della legge processuale che regola il mandato di arresto e i suoi presupposti, ma alla pena di riferimento ai fini dell'adozione del mandato di arresto nello Stato membro emittente in caso di successione di leggi.

5.Come si è anticipato, il mandato di arresto oggetto di M.K. è stato emesso per motivi processuali perché l'autorità giudiziaria deve celebrare il processo a carico della persona richiesta in consegna.

5.1. il difensore del ricorrente aveva eccepito che la persona chiesta in consegna, sebbene non sia cittadino italiano ma cittadino della Repubblica di Tunisia, è nato in Italia e qui dimora stabilmente da oltre cinque anni. La difesa aveva allegato elementi di prova a sostegno del radicamento, ritenuti, in tesi, ostativi alla consegna.

A questo fine ha prodotto il permesso di soggiorno di lunga durata, con vigenza fino al 2031; un contratto di lavoro sottoscritto nel 2022 ed ha precisato che, sebbene la persona chiesta in consegna non parli la lingua italiana - perché, a suo dire, non è andato a scuola-, aveva svolto regolare attività lavorativa in anni precedenti e che, comunque, aveva vissuto sempre in Italia, come si evince dal certificato di residenza storico della famiglia cui era a carico, in quanto minore.

5.2.La Corte di appello non ha esaminato la rilevanza della documentazione prodotta ed ha ritenuto che in materia di mandato di arresto cd. processuale ci si deve limitare, ai fini della verifica della sussistenza/insussistenza delle condizioni di consegna, alle ipotesi di cui all'art. 18-bis, comma 1, L. cit., nelle quali il motivo di rifiuto è connesso e limitato ai criteri della cd. territorialità e litispendenza, ipotesi non ricorrenti nella fattispecie.

Nessun rilievo potrebbe riconoscersi, secondo la Corte di merito, al cd. radicamento sul territorio italiano, condizione che è prevista solo per il cittadino italiano e comunitario residente in Italia almeno da cinque anni, ma solo per il cd. mandato esecutivo per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 178 del 2023 e del D.L. n. 69 del 13 giugno 2023, convertito, con modificazioni, nella L. n. 103 del.

L'interpretazione della disciplina in materia di mandato di arresto Europeo cd. processuale sviluppata nella sentenza impucinata non è fondata alla stregua della cd. garanzia di reinvio prevista dall'art. 19, lett. b), cit. e delle ragioni di carattere logico-sistematico di seguito svolte e che, per motivi di chiarezza e sintesi, sono sviluppate solo con riferimento alla disposizione di cui all'art. 18-bis L. cit. come modificate per effetto del D.Lgs. n. 10 del 2021 (quindi omettendo i riferimenti alle modifiche intervenute per effetto della L. 4 ottobre 2019, n. 117, se non rilevanti).

La norma di cui all'art. 18-bis L. cit. è stata oggetto dell'intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 178 del 2023 e poi dell'intervento legislativo con la L. n. 103 del 2023.

In particolare, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della L. n. 69 del 2005, art. 18-bis, comma 2, nella parte in cui non prevede che la corte d'appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano da almeno cinque anni e sia sufficientemente integrata in Italia, sempre che la corte d'appello disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia.

Il Giudice delle leggi ha posto fine ad una situazione, di cui più volte era stata denunciata la legittimità e devoluta anche alla Corte di Giustizia, per le differenze alle quali il regime di consegna in caso di mandato cd. esecutivo dava luogo prevedendo che il rifiuto di consegna non potesse trovare applicazione per i cittadini di Paesi terzi sia pure "radicati" in Italia, ma solo per il cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell'Unione Europea legittimamente ed effettivamente residente o dimorante nel territorio italiano da almeno cinque anni, sempre che l'autorità giudiziaria disponga che la pena o la misura di sicurezza sia eseguita in Italia, conformemente al suo diritto interno.

Con la L. n. 103 del 2023, sempre in materia di mandato cd. esecutivo, l'art. 18-bis, comma 2, L. 69 cit. è stato modificato prevedendo il rifiuto di consegna della persona che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano.

È stata prevista (art. 18-bis, comma 2-bis) la sanzione della nullità della sentenza che non contiene la indicazione degli elementi e dei relativi criteri di valutazione che rilevano ai fini della esigenza di verificare che la persona richiesta in consegna sia sufficientemente integrata nello Stato italiano nel periodo di cinque anni, positivizzando indici già individuati dalla giurisprudenza di legittimità e idonei a denotare il cd. radicamento, fatto salvo "ogni altro elemento rilevante".

La violazione rileva non solo in positivo (quando, cioè, sia accertata la condizione ostativa all'accoglimento della consegna), ma anche in negativo, quando la dedotta residenza e dimora ultraquinquennale della persona richiesta in consegna, a fronte delle allegazioni difensive, non sia stata esaminata.

5.3. Rileva la Corte che, in tema di mandato cd. processuale, la L. n. 103 del 2023 ha sostituito il disposto di cui all'art. 19 che, al comma 2, non risulta perfettamente coincidente con quelle in tema di mandato ai igni dell'esecuzione, pur facendo rinvio alla disposizione di cui all'art. 18-bis, comma 2-bis.

La disposizione in esame, infatti, non comprende, tra le persone che possono beneficiare del reinvio, anche la persona legittimamente ed effettivamente dimorante in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, così come previsto per la modificata disposizione di cui all'art. 18-bis, comma 2, cit. che fa, invece, riferimento sia al residente che al dimorante.

Ciò non di meno, non è revocabile in dubbio che tale garanzia deve essere ricondotta - al di là del dato letterale dell'art. 19 cit.- agli stessi soggetti che, in caso di mandato cd. esecutivo, potrebbero vedere eseguita la pena in Italia, conformemente al diritto interno, quindi anche alla persona legittimamente ed effettivamente dimorante in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano

La consegna in funzione della celebrazione del processo, vista nella sua prospettiva dinamica, si traduce, in caso di condanna, in una forma posposta di consegna per l'esecuzione e la stessa giurisprudenza di legittimità ne ha precisato natura e funzione specificando che la garanzia del reinvio costituisce un requisito di legittimità della decisione (Sez. 6, n. 14859 del 27/03/2014, Damean, Rv. 259683), in attuazione delle previsioni recate dalla L. n. 69 del 2005, art. 19, lett. b), ante modifica, e dall'art. 5 della Decisione quadro 2022/584/GAI.

Il meccanismo così delineato realizza, da un lato, la finalità di semplificazione delle procedure di consegna, evitando la duplicazione di procedure per la necessità di far ricorso, in caso di condanna, alla attivazione di una ulteriore procedura per la sua esecuzione, e, dall'altro lato, è rispettoso dei diritti fondamentali e dei principi giuridici fondamentali sanciti nell'art. 6 del Trattato sull'Unione Europea, tra cui l'eguaglianza di fronte alla legge chiamata in causa dalle disposizioni che, nell'ambito del diritto dell'Unione, regolano la estensione dei diritti dei cittadini di Stati membri ai cittadini di uno Stato non membro che, tuttavia, abbiano legittimamente ed effettivamente dimora o residenza nel territorio dell'Unione.

Non vi è ragione, sul piano logico e sistematico, per escludere che alla persona che legittimamente ed effettivamente dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, non si applichi la garanzia del cd. reinvio nello Stato italiano per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale eventualmente applicate nei suoi confronti dallo Stato membro di emissione, dopo essere stata sottoposta al processo.

Osta a tale ricostruzione la interpretazione che la Corte di Giustizia prima e la Corte Costituzionale poi hanno dato delle disposizioni che, in materia di mandato di arresto cd. esecutivo, negavano, in modo assoluto e automatico ai cittadini di Stati terzi, il beneficio del motivo di non esecuzione del mandato di arresto, precludendo così all'autorità giudiziaria competente di valutare caso per caso se la persona ricercata, cittadina di uno Stato terzo, dimori o risieda nel territorio del proprio Stato e se, in caso affermativo, i suoi legami con quest'ultimo Stato siano tanto significativi da far ritenere che l'obiettivo del suo reinserirnento sociale possa essere meglio raggiunto ove la pena sia eseguita nel medesimo Sitato.

Da qui la incompatibilità del differente regime di cui godono tanto il cittadino italiano quanto, a determinate condizioni, il cittadino di altro Stato membro con il principio di uguaglianza di fronte alla legge sancito dall'art. 20 CDFUE e, dunque, con lo stesso art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI, letto alla luce dell'art. 1, paragrafo 3, della medesima decisione quadro, che riafferma l'obbligo di rispettare "i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall'art. 6 del Trattato sull'Unione Europea" nell'esecuzione della stessa e la contrarietà all'art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, Cost. in relazione all'art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI (come precisato nel paragrafo 4.6 della sentenza n. 178 della Corte Costituzionale).

Il Giudice delle leggi ha affermato con chiarezza che una tale disciplina contrasta con la finalità rieducativa della pena imposta dall'art. 27 Cost., comma 3, poiché l'esecuzione all'estero della pena o di una misura di sicurezza inflitta o disposta a carico di una persona che abbia saldamente stabilito in Italia le proprie relazioni familiari, affettive e sociale finisce per ostacolare gravemente, una volta terminata l'esecuzione della pena e della misura, il reinserimento sociale della persona cui esse debbono tendere per mandato costituzionale.

Deve, pertanto, essere formulato il principio di diritto secondo cui, quando il mandato di arresto Europeo è stato emesso ai fini di un'azione penale nei confronti di un cittadino italiano o di una persona che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano, l'esecuzione del mandato è subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata sottoposta al processo, sia rinviata nello Stato italiano per scontravi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale eventualmente applicate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione.

L'interpretazione dell'art. 19, comma 2, L. 69 cit., come innanzi svolta, rende irrilevante la questione di illegittimità costituzionale proposta con il quarto motivo di ricorso.

A tale principio dovrà attenersi la Corte di appello, Sezione dei Minorenni, indicata in dispositivo, verificando la presenza degli elementi giustificativi della legittima ed effettiva residenza o dimora sul territorio italiano della persona richiesta in consegna.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello Sezione Minorenni di Roma. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52 che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.