Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Imputato registra clandestinamente il testimone: legittimo ed utilizzabile nel processo (Cass. 11418/21)

24 marzo 2021, Cassazione penale

La registrazione fonografica di conversazioni o comunicazioni realizzata, anche clandestinamente, dall’imputato partecipe di dette comunicazioni, o comunque autorizzato ad assistervi, costituisce prova documentale, il cui contenuto, però, deve essere apprezzato conducendo un vaglio penetrante e rigoroso, corredato da idonea motivazione.

Non pone problemi particolari il caso in cui la registrazione sia effettuata da un privato e il documento fonografico venga, quindi, ad esistenza al di fuori dell’ambito processuale e di ogni attività investigativa e assuma una propria autonomia strutturale rispetto a questi. Non v’è dubbio che, in tale ipotesi, la prova rappresentativa, formatasi presumibilmente in maniera spontanea e libera, essendo "precostituita", ben può essere acquisita al processo ed utilizzata dal giudice ai fini della decisione, perché, data la sua genesi, è insensibile a qualunque verifica circa il rispetto delle regole in materia di assunzione della prova, regole di cui il privato non è destinatario e che non operano oltre i confini processuali o, quanto alle indagini, oltre quelli procedimentali.

Sul fronte degli atti di polizia giudiziaria, che "non possono essere acquisiti al processo e non possono essere utilizzati, come materiale probatorio, documenti fonografici rappresentativi di sommarie informazioni rese alla polizia giudiziaria (e da questa clandestinamente registrate) da persone a conoscenza di circostanze utili ai fini delle indagini, perché, in tale maniera, si renderebbe il processo permeabile da apporti probatori unilaterali degli organi investigativi e soprattutto si aggirerebbero le regole sulla formazione della prova testimoniale nel contraddittorio dibattimentale.


Sul fronte degli atti di investigazione difensiva, che la ricezione di dichiarazioni e le assunzioni di informazioni da parte del difensore deve avvenire nelle forme e con i limiti di cui all’art. 391-bis c.p.p., il cui mancato rispetto determina la sanzione di inutilizzabilità ex art. 391-bis c.p.p.

Quanto alle iniziative personali delle parti private, gli atti di indagine difensiva sono tipici e sono regolati dagli artt. 391-bis e ss. c.p.p..
L’imputato, come del resto la persona offesa, non può compiere quegli atti di indagine tipizzati, nè può assistere all’assunzione di informazioni da parte del suo difensore. Ne consegue che l’imputato non potrebbe procedere all’assunzione di informazioni secondo le forme tipizzate dall’art. 391-bis c.p.p.; non si rinvengono, invece, nel codice di rito divieti in merito alla possibilità per l’imputato di riferire (e quindi di registrare) conversazioni, anche "provocate", intercorse con un testimone, ferma restando la necessità di verificare se nelle modalità di approccio e nei contenuti del dialogo siano ravvisabili i presupposti di un reato.

La questione si sposta, allora, sul diverso versante della valenza probatoria della registrazione effettuata dall’imputato.
Il documento dimostra che la registrazione c’è stata e ha avuto quel contenuto: ben altra cosa, invece, è lo stabilire il valore probatorio delle dichiarazioni registrate che devono essere attentamente esaminate dal giudice e necessitano di un vaglio particolarmente pregnante dato che si tratta di dichiarazioni rese in maniera informale, senza obbligo di dire la verità, dirette all’imputato e da lui raccolte.

Il giudice non può esimersi dal porre dette dichiarazioni a diretto confronto con quelle, eventualmente di segno opposto, rese nel corso della deposizione testimoniale, nel contraddittorio delle parti, con assunzione dell’obbligo di dire la verità; sul medesimo giudice graverà, quindi, il correlativo obbligo di fornire adeguata e specifica motivazione delle valutazioni compiute e delle scelte effettuate.

 

Corte di Cassazione

sez. V Penale

sentenza 5 febbraio – 24 marzo 2021, n. 11418
Presidente Pezzullo – Relatore Morosini

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Salerno, in riforma della sentenza di condanna pronunciata dal giudice di pace di Buccino, ha assolto T.S.J. dai reati di percosse e minacce commessi ai danni della madre del suo ex marito, TA.Ca. .

Il Tribunale ha acquisito la registrazione, effettuata dall’imputata all’insaputa del suo interlocutore, nel corso della quale il teste L.M. , parlando con l’imputata "ammette senza problemi di aver fatto una falsa dichiarazione".

In ragione di tale emergenza, che non aveva trovato ingresso nel giudizio di primo grado, il Tribunale ha ritenuto sospette di falsità tutte le dichiarazioni dei testimoni di accusa e dunque ha assolto l’imputata dai reati ascrittile per insussistenza del fatto.

2. Avverso la sentenza ricorre la parte civile, tramite il difensore, articolando sei motivi.

2.1. Con il primo eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), la inutilizzabilità ex art. 391-bis c.p.p., comma 4, e art. 191 c.p.p., delle conversazioni registrate tra imputato e testimone aventi ad oggetto circostanze già riferite a sommarie informazioni alla polizia giudiziaria.
Sostiene il ricorrente che L.M. , dopo aver reso le sue dichiarazioni alla polizia giudiziaria in merito agli accadimenti per cui è processo, sarebbe stato "avvicinato direttamente dall’imputata" che aveva registrato il contenuto del colloquio all’insaputa del testimone.
Tale registrazione, trascritta da un consulente tecnico, è stata versata agli atti del processo ed esclusivamente su di essa fa leva la pronuncia assolutoria.
Si tratta tuttavia di prova inutilizzabile perché assunta in violazione dell’art. 391-bis c.p.p., comma 4, che, a pena di inutilizzabilità, vieta al difensore di sentire, sulle domande formulate o sulle risposte date, le persone già sentite dalla polizia giudiziaria.
I principi della sentenza Torcasio non rileverebbero nella specie, perché non è in discussione la forma del mezzo di prova assunto, ma il contenuto del documento di cui si chiede l’acquisizione che non può e non deve violare i divieti imposti dal codice di rito.
2.2. Con il secondo e il terzo motivo la ricorrente denuncia analogo vizio, lamentando che:
- le dichiarazioni del testimone sarebbero state ottenute mediante pressione e suggestione in violazione dell’art. 188 c.p.p.;
- il contenuto della registrazione sarebbe inutilizzabile, poiché, pur essendo a disposizione della difesa dell’imputata all’udienza del 13 ottobre 2017 quando è stata assunta la deposizione del L. , la difesa non ha mosso contestazioni al testimone ai sensi dell’art. 500 c.p.p..
In assenza di contestazioni il documento registrato non potrebbe assurgere a legittimo parametro valutativo dell’attendibilità del testimone, data la diversità ontologica degli ambiti in cui le stesse sono state rese: un colloquio privato tra imputato e testimone, in cui il secondo potrebbe subire le pressioni del primo e non è tenuto a nessun obbligo; l’assunzione formale di una testimonianza, nel contraddittorio delle parti, con l’obbligo giuridico, a carico del dichiarante, di rispondere e di dire la verità.
2.3. Con il quarto, il quinto e il sesto motivo, la ricorrente denuncia, vizi di omessa motivazione e di illogicità argomentativa, sollevando, in via preliminare, eccezione di costituzionalità del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 39-bis laddove, nei processi per reati di competenza del giudice di pace, non consente il ricorso per cassazione per vizi di motivazione.
In sintesi la ricorrente evidenzia:
- che il Tribunale dà per assodato un contenuto della registrazione, che però non corrisponde esattamente a quello reale, che neppure riporta in modo da consentire alla difesa di comprendere da quale passaggio egli abbia tratto il giudizio di falsità delle dichiarazioni del testimone;
- che viene totalmente omessa la motivazione sul punto della ritenuta piena affidabilità di una dichiarazione raccolta dall’imputata, senza obblighi per il dichiarante di dire la verità, rispetto al contenuto di una testimonianza assunta in dibattimento nel contraddittorio delle parti;
- che il Tribunale non ha tenuto conto delle produzioni difensive concernenti la denuncia-querela sporta da L. nei confronti dell’imputata per il comportamento tenuto in occasione della registrazione; l’ordinanza di applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento emessa nei confronti dell’imputata per comportamenti violenti e persecutori ai danni dell’ex marito; la memoria difensiva della parte civile;
- che è privo di motivazione il passaggio che dalla ritenuta falsità della deposizione di L. , testimone del reato di cui al capo C), fa derivare la inaffidabilità anche delle dichiarazioni testimoniali della persona offesa e del teste V. , riferite al capo A).
3. Il 6 febbraio 2020, in vista dell’udienza del 17 febbraio 2020 (poi rinviata), il difensore dell’imputata ha depositato una memoria ex art. 121 c.p.p. con la quale:
- ha eccepito la inammissibilità del ricorso, perché la parte civile nel richiedere l’annullamento della sentenza impugnata non avrebbe indicato il giudice di rinvio;
- ha rilevato l’infondatezza dei motivi di ricorso: la registrazione e la consulenza tecnica di trascrizione sono state acquisite dal Tribunale con il consenso delle parti; l’attività compiuta dalla difesa si inserisce in una fase processuale successiva a quella delle indagini preliminari ed è consistita nel richiedere al giudice di pace di acquisire il CD-Rom ove è stata impressa la traccia audio e nell’indicare il consulente tecnico nella propria lista testimoniale; l’imputata non riveste alcuna delle qualifiche soggettive di cui all’art. 391-bis c.p.p. dunque non è destinataria dei relativi precetti; il contenuto della conversazione registrata dimostra che non vi è stata alcuna pressione nè induzione esercitata sul testimone; la difesa non ha potuto fare ricorso alle contestazioni ex art. 500 c.p.p. in quanto il giudice di pace non aveva acquisito la registrazione; i motivi afferenti a vizi della motivazione non sono consentiti dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 39-bis.
4. Nessuna delle parti ha avanzato richiesta di discussione orale, dunque il processo segue il cd. "rito scritto" ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, (prorogato per effetto del D.L. n. 2 del 2021, art. 1, comma 1). Il Procuratore generale ha trasmesso, tramite posta elettronica certificata, le proprie articolate conclusioni con le quali ha chiesto l’inammissibilità del ricorso; con lo stesso mezzo hanno concluso le parti private nei termini in epigrafe riportati, la parte civile ha accompagnato le conclusioni con una memoria sostanzialmente riproduttiva dei motivi di ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.
È bene premettere che il ricorso è stato proposto solo dalla parte civile, quindi si dibatte soltanto degli effetti civili della sentenza, mentre, agli effetti penali, è definitiva l’assoluzione dell’imputata per insussistenza del fatto.
2. Anzitutto va disattesa l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa dell’imputato con memoria del 6 febbraio 2020.
Il codice di rito non prevede che il ricorrente individui il giudice di rinvio.
3. Il primo motivo è infondato.
3.1. Nel corso delle indagini preliminari per i reati oggetto del presente procedimento è stato assunto a sommarie informazioni L.M. .
Questi, sentito in dibattimento, ha confermato le accuse a carico dell’imputata in relazione all’episodio di cui al capo C).
Dopo che L. aveva fornito il proprio racconto alla polizia giudiziaria, l’imputata si era recata presso l’esercizio commerciale da lui gestito e aveva avviato una conversazione raccogliendo la versione del L. sui fatti del processo, che aveva registrato all’insaputa del suo interlocutore.
Quella registrazione, unitamente alla relativa trascrizione, è stata acquisita dal giudice di secondo grado su accordo delle parti (cfr. verbale udienza del 9 aprile 2019, "le parti consentono alla acquisizione della consulenza tecnica della difesa e del CD").
Il Tribunale si è basato sul contenuto della registrazione (come trascritta dal consulente tecnico di parte civile) per ritenere falsa la testimonianza resa in dibattimento da L. (il quale, scrive il giudice, "ammette senza problemi di aver fatto una falsa dichiarazione") e inquinata l’intera istruttoria, tanto da giungere alla assoluzione dell’imputata da tutti i reati a lei ascritti.
3.2. Con i primi tre motivi la parte civile ricorrente eccepisce la inutilizzabilità della registrazione, effettuata dall’imputata, nel corso delle indagini preliminari, al fine di raccogliere le dichiarazioni stragiudiziali di una persona già escussa a sommarie informazioni dalla polizia giudiziaria. Va chiarito che rileva solo un’eventuale inutilizzabilità patologica, poiché la parte civile ha concordato con le altre parti l’acquisizione della registrazione e della consulenza di trascrizione.
La questione è spinosa e si muove su un crinale scivoloso, perché, al di là della rilevanza nel presente processo afferente materia di competenza del giudice di pace, involge tematiche delicate che rischiano di ripercuotersi nei processi più complessi. Si pensi:
- per un verso, al capo mafia che, valendosi della forza intimidatrice della organizzazione criminosa alla quale appartiene, si rechi dalle vittime di estorsione per registrare colloqui informali e (di necessità) compiacenti sui fatti denunciati, sì da poter produrre nel processo, come documento, quelle registrazioni, ed invalidare, in ipotesi, le accuse formulate a suo carico;
- oppure, per altro verso, all’imputato di un reato di violenza sessuale che registri una conversazione nel corso della quale la persona offesa (unica testimone) lo deride, confessando di averlo calunniato, e quindi ottenga, per tal via, una prova decisiva della propria innocenza.
Il dilemma si pone per il fatto che è l’imputato a registrare la dichiarazione nel corso del procedimento a suo carico per i fatti oggetto di quel procedimento.
È invece pacifico che sono acquisibili e utilizzabili come documenti le registrazioni fatte da chiunque prima e al di fuori del processo, trattandosi di fonti di prova precostituite che attengono a "fatti" storici anche se "dichiarativi"; così come le registrazioni fatte, anche nel corso del processo, dalla persona offesa o da altri testimoni, ove si consideri che esse hanno per oggetto "fatti in ordine ai quali nessuno dubita della praticabilità della testimonianza de relato, espressamente disciplinata dall’art. 195 c.p.p.. Alla testimonianza dell’ascoltatore, quindi, si affianca, come tipico mezzo di prova del fatto "dichiarazione stragiudiziale", la riproduzione fonografica dell’atto dichiarativo. Se quest’ultima viene offerta al giudice come prova anziché il resoconto testimoniate, la vox mortua proveniente dall’incisione fonografica finisce con l’assolvere "l’identica funzione della vox viva del teste", considerato che "riferisce, come riferirebbe un testimone, le parole di chi ha emesso la dichiarazione"" (così in motivazione Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio).
In sintesi occorre stabilire se questi principi possano valere o meno anche quando sia l’imputato, nel corso del procedimento, a registrare, all’insaputa degli interlocutori, dichiarazioni a lui informalmente rese da persone già sentite dalla polizia giudiziaria.
3.3. Le linee guida vanno tratte proprio dalle Sezioni Unite Torcasio, da ultimo citate.
Alla medesima pronuncia sembra essersi ispirato il giudice di appello, laddove liquida, in poche battute, il problema, sostenendo che: "non può parlarsi di inutilizzabilità della registrazione, alla luce di quanto chiarito dalla sentenza della Corte di cassazione, VI sezione penale, n. 23742 del 2010 (cosiddetta sentenza "Torcasio”)".
Il caso deciso dalle Sezioni Unite Torcasio ha riguardato le registrazioni fonografiche di colloqui intercorsi tra operatori di polizia giudiziaria e loro informatori, effettuata ad iniziativa dei primi e all’insaputa dei secondi.
Le Sezioni Unite hanno ritenuto che tale operazione non fosse classificabile come "intercettazione"; al contempo, però, hanno escluso che simili registrazioni siano utilizzabili dato che, in tale specifico caso, si tratta non di "prova documentale", ma della riproduzione di atti processuali che non può svolgersi con quelle modalità.
In sostanza si è detto che la registrazione fonografica di conversazioni o comunicazioni realizzata, anche clandestinamente, da soggetto partecipe di dette comunicazioni, o comunque autorizzato ad assistervi, costituisce prova documentale secondo la disciplina dell’art. 234 c.p.p., sempre che non si tratti della riproduzione di atti processuali (Rv. 225466) perché la registrazione di una comunicazione da parte di soggetto che ne sia stato partecipe, per quanto astrattamente suscettibile di produzione come documento, non può sostituirsi, in violazione dell’art. 191 c.p.p., a fonti di prova delle quali la legge vieta l’acquisizione (Rv 225467).
Escluso, quindi, che possa essere ricondotta nel concetto d’intercettazione la registrazione di un colloquio, svoltosi a viva voce o per mezzo di uno strumento di trasmissione, ad opera di una delle persone che vi partecipi attivamente o che sia comunque ammessa ad assistervi (principio qui non in discussione), interessa, in questa sede, la seconda parte della decisione che passa attraverso gli snodi argomentativi di seguito indicati.
Ciascuno degli interlocutori "è pienamente libero di adottare cautele ed accorgimenti, e tale può essere considerata la registrazione, per acquisire, nella forma più opportuna, documentazione e quindi prova di ciò che, nel corso di una conversazione, direttamente pone in essere o che è posto in essere nei suoi confronti; in altre parole, con la registrazione, il soggetto interessato non fa altro che memorizzare fonicamente le notizie lecitamente apprese dall’altro o dagli altri interlocutori".
"L’acquisizione al processo della registrazione del colloquio può legittimamente avvenire attraverso il meccanismo di cui all’art. 234 c.p.p., comma 1, che qualifica "documento" tutto ciò che rappresenta "fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo"; il nastro contenente la registrazione non è altro che la documentazione fonografica del colloquio, la quale può integrare quella prova che diversamente potrebbe non essere raggiunta e può rappresentare (si pensi alla vittima di un’estorsione) una forma di autotutela e garanzia per la propria difesa, con l’effetto che una simile pratica finisce col ricevere una legittimazione costituzionale".
"È ovvio che non deve trattarsi della riproduzione meccanica di atti processuali e, pertanto, vanno escluse dal novero di prove documentali le riproduzioni fonografiche di cui all’art. 134 c.p.p., commi 3 e 4, artt. 139 e 141bis c.p.p., art. 214 c.p.p., comma 3, art. 219 c.p.p., comma 2, art. 398 c.p.p., comma 5 bis. La prova documentale in senso stretto è caratterizzata da una genesi "strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto alla vicenda processuale" e si forma fuori dell’ambito processuale, nel quale deve essere introdotta per acquistare rilevanza".
"Ritenuta, pertanto, l’ammissibilità della prova documentale, integrata dalla registrazione fonografica di una comunicazione tra presenti (o anche tra persone che si servono di uno strumento di trasmissione) ad opera di uno degli interlocutori o di persona ammessa ad assistervi, va affrontato il tema della concreta utilizzabilità, nel processo, di una simile prova".
"Non pone problemi particolari il caso in cui la registrazione sia effettuata da un privato e il documento fonografico venga, quindi, ad esistenza al di fuori dell’ambito processuale e di ogni attività investigativa e assuma una propria autonomia strutturale rispetto a questi. Non v’è dubbio che, in tale ipotesi, la prova rappresentativa, formatasi presumibilmente in maniera spontanea e libera, essendo "precostituita", ben può essere acquisita al processo ed utilizzata dal giudice ai fini della decisione, perché, data la sua genesi, è insensibile a qualunque verifica circa il rispetto delle regole in materia di assunzione della prova, regole di cui il privato non è destinatario e che non operano oltre i confini processuali o, quanto alle indagini, oltre quelli procedimentali".
"Ben più delicato è il caso in cui il documento fonografico sia formato per iniziativa di un operatore della polizia giudiziaria, che occultamente registra il contenuto di una conversazione alla quale partecipa.
Emerge immediatamente, in questa ipotesi, una problematica che, prescindendo dalla "teorica" ammissibilità delle registrazioni clandestine a cura del partecipe al colloquio, si focalizza specificamente sulla particolare qualità del medesimo partecipe; non assumono cioè rilevanza il tema della registrazione quale prova documentale e quello connesso della disciplina costituzionale e processuale sulla riservatezza delle comunicazioni; l’attenzione, invece, va concentrata sulla legittimità dell’atto compiuto dalla polizia giudiziaria: assume, in sostanza, importanza secondaria il fatto che le informazioni siano state stabilmente impresse su nastro magnetico; il documento fonico, di per sé, per la sola ragione che è- in tesi- legittimato dall’art. 234 c.p.p., non rende valida ed utilizzabile un’acquisizione invalida, perché in violazione di altri divieti stabiliti, nel caso specifico, dalla legge".
"La "deformalizzazione" del contesto nel quale determinate dichiarazioni vengono percepite dal funzionario di polizia non deve costituire un espediente per assicurare comunque al processo contributi informativi che non "sarebbe stato possibile ottenere ricorrendo alle forme ortodosse di sondaggio delle conoscenze del dichiarante"" (così in motivazione Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio).
In sintesi, in base ai principi enucleati dalle Sezioni Unite Torcasio, il problema delle violazioni eventualmente commesse nell’uso investigativo del registratore va risolto alla luce dell’art. 191 c.p.p., posto che è evidente come la palese violazione dello schema legale renda l’atto investigativo, che si pone al di fuori di tale schema, infruttuoso sul piano probatorio, per violazione della legge processuale; occorre tenere conto anche delle specifiche norme processuali, correlate alla detta prescrizione generale, che prevedono divieti probatori sanzionati dall’inutilizzabilità (artt. 62, 63, 141 bis, 195, 203 c.p.p.).
3.4. Può allora ritenersi che "la spendibilità processuale delle registrazioni clandestine si gioca sulla pertinenza del documento fonico alla rappresentazione di notizie (aventi ad oggetto il contenuto del colloquio) che ben possono essere introdotte nel processo attraverso la testimonianza del partecipe implicato nella registrazione" (Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio).
Ciò significa:
- sul fronte degli atti di polizia giudiziaria, che "non possono essere acquisiti al processo e non possono essere utilizzati, come materiale probatorio, documenti fonografici rappresentativi di sommarie informazioni rese alla polizia giudiziaria (e da questa clandestinamente registrate) da persone a conoscenza di circostanze utili ai fini delle indagini, perché, in tale maniera, si renderebbe il processo permeabile da apporti probatori unilaterali degli organi investigativi e soprattutto si aggirerebbero le regole sulla formazione della prova testimoniale nel contraddittorio dibattimentale" (Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio);
- sul fronte degli atti di investigazione difensiva, che la ricezione di dichiarazioni e le assunzioni di informazioni da parte del difensore deve avvenire nelle forme e con i limiti di cui all’art. 391-bis c.p.p., il cui mancato rispetto determina la sanzione di inutilizzabilità ex art. 391-bis c.p.p.. "Nè la possibilità offerta al difensore e agli investigatori privati, ex art. 391 bis c.p.p., di procedere a colloqui informali e non documentati determina una disparità di trattamento tra le parti processuali, atteso che detti colloqui, proprio perché non documentati e funzionali all’eventuale attività investigativa della difesa, risultano, di per sé, insuscettibili d’impiego, ai sensi dell’art. 391 decies c.p.p." (Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio);

3.5. Quanto alle iniziative personali delle parti private, vanno, invece, compiute le riflessioni che seguono.
Gli atti di indagine difensiva sono tipici e sono regolati dagli artt. 391-bis e ss. c.p.p..
L’imputato, come del resto la persona offesa, non può compiere quegli atti di indagine tipizzati, nè può assistere all’assunzione di informazioni da parte del suo difensore, secondo il disposto dell’art. 391-bis c.p.p., comma 8.
Ne consegue che l’imputato non potrebbe procedere all’assunzione di informazioni secondo le forme tipizzate dall’art. 391-bis c.p.p.; non si rinvengono, invece, nel codice di rito divieti in merito alla possibilità per l’imputato di riferire (e quindi di registrare) conversazioni, anche "provocate", intercorse con un testimone, ferma restando la necessità di verificare se nelle modalità di approccio e nei contenuti del dialogo siano ravvisabili i presupposti di un reato.
3.6. La questione si sposta, allora, sul diverso versante della valenza probatoria della registrazione effettuata dall’imputato.
Il documento dimostra che la registrazione c’è stata e ha avuto quel contenuto.
Ben altra cosa, invece, è lo stabilire il valore probatorio delle dichiarazioni registrate che devono essere attentamente esaminate dal giudice e necessitano di un vaglio particolarmente pregnante dato che si tratta di dichiarazioni rese in maniera informale, senza obbligo di dire la verità, dirette all’imputato e da lui raccolte.
Il giudice non può esimersi dal porre dette dichiarazioni a diretto confronto con quelle, eventualmente di segno opposto, rese nel corso della deposizione testimoniale, nel contraddittorio delle parti, con assunzione dell’obbligo di dire la verità; sul medesimo giudice graverà, quindi, il correlativo obbligo di fornire adeguata e specifica motivazione delle valutazioni compiute e delle scelte effettuate.

3.7. Va affermato, pertanto, che la registrazione fonografica di conversazioni o comunicazioni realizzata, anche clandestinamente, dall’imputato partecipe di dette comunicazioni, o comunque autorizzato ad assistervi, costituisce prova documentale secondo la disciplina dell’art. 234 c.p.p., il cui contenuto, però, deve essere apprezzato conducendo un vaglio penetrante e rigoroso, corredato da idonea motivazione.

4. I restanti motivi sono fondati nei limiti e con le precisazioni che si vanno ad illustrare.
4.1. A mente dell’art. 606 c.p.p., comma 2-bis, e del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 39-bis (introdotti dal D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, entrato in vigore il 6 marzo 2018), avverso le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace il ricorso per cassazione è ammesso soltanto nei casi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b) e c).
Con l’avvertenza che nel concetto di violazione di legge va ricompresa anche la motivazione inesistente o meramente apparente che viola il disposto dell’art. 125 c.p.p., comma 3, presidiato da sanzione di nullità (cfr. per tutte Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246, sul diverso istituto delle misure di prevenzione).
Nella specie è vero che la ricorrente nella enunciazione dei motivi fa riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), tuttavia è indiscutibile che, nella illustrazione degli stessi, si invochi, ripetutamente, l’omessa motivazione; ipotesi, come detto, riconducibile alla categoria della violazione di legge.

4.2. Così qualificate, le censure colgono nel segno.
La sentenza impugnata è priva di effettivo apparato motivazionale.
Il giudice omette:
- di indicare gli specifici elementi fattuali dai quali tragga il convincimento che L. nella registrazione abbia ammesso di aver riferito il falso;
- di spiegare perché le dichiarazioni registrate debbano assumere valenza superiore e possano travolgere la testimonianza resa dal L. in dibattimento;
- di chiarire come l’ipotetica falsità di una testimonianza possa automaticamente, e per ciò solo, travolgere anche l’affidabilità delle dichiarazioni rese dagli altri testimoni di accusa.
4.3. L’esito processuale rende irrilevanti i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla parte civile ricorrente (dubbi comunque già risolti da Sez. 7, n. 49963 del 06/11/2019, Fusini, Rv. 277417).
5. Discende l’annullamento della sentenza impugnata relativamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, al quale va rimessa anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
L’inerenza della vicenda a rapporti familiari impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata relativamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.