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Messaggi Instagram e Facebook non possono essere molestie (Cass. 40033/23)

3 ottobre 2023, Cassazione penale

La messaggistica telematica può essere equiparata, quanto ad invasività, alla corrispondenza epistolare, sfornita di tutela penale nel sistema dell'art. 660 c.p., se il destinatario dei messaggi non fosse avvertito dell'arrivo e decidesse di aprire la posta pervenuta, come per la corrispondenza epistolare, senza subire alcun condizionamento costituito da segni o rumori premonitori.

La possibilità per il destinatario della comunicazione di sottrarsi all'interazione immediata con il mittente e di porre un filtro alla comunicazione a distanza permettendogli di decidere di non essere raggiunto dalla stessa, se non in un momento in cui decide liberamente di farlo, rende, infatti, tale forma di comunicazione oggettivamente meno invasiva di quella effettuata a mezzo del telefono, e più vicina a quella epistolare.

La istantaneità della comunicazione molesta veicolàta tramite la messaggistica telematica, e la circostanza che essa giunga in un momento improvviso non regolabile dal soggetto che riceve la comunicazione, sono  caratteristiche accessorie del mezzo utilizzato, che il destinatario può evitare, sottraendosi a quella interazione immediata con il mittente che è la linea di delimitazione della fattispecie penale.

Ne consegue che molestie perpetrate tramite messaggi inviati mediante le applicazioni instagram e facebook, le cui notifiche dei messaggi in arrivo possono essere attivate per scelta libera dal soggetto che li riceve, non realizzano il reato di molestie.

 

Corte di Cassazione

 sez. I penale, ud. 6 giugno 2023 (dep. 3 ottobre 2023), n. 40033
Presidente Rocchi – Relatore Russo

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 20 settembre 2022 la Corte d'appello di Caltanissetta, riformando la pronuncia di primo grado emessa in rito abbreviato dal Tribunale di Caltanissetta, e riqualificato il fatto, originariamente contestato come reato previsto e punito dall'art. 612-bis c.p., in quello dell'art. 660 c.p., ha condannato D.P.F. alla pena di mesi 2 di arresto per avere inviato una richiesta di amicizia sul profilo facebook dei figli naturali A. e B. , per aver inviato messaggi dello stesso tipo ai genitori adottivi di questi, per aver successivamente contattato tramite facebook ed instagram la nonna paterna adottiva dei minori, e per aver postato sempre su facebook e instagram fotografie ritraenti i propri figli naturali insieme ai genitori adottivi, fotografie su cui aveva apposto la frase di testo "i miei figli". I fatti di cui la imputata è stata ritenuta responsabile sono avvenuti in (OMISSIS) .

2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l'imputata, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi di seguito descritti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. c.p.p..

Con il primo motivo deduce inosservanza norma penale dell'art. 660 c.p., perché tale fattispecie prevede che il mezzo dell'azione molesta sia il telefono; la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che allo strumento del telefono possano essere equiparati altri mezzi di trasmissione, purché abbiano la caratteristica dell'essere imposti al destinatario, senza possibilità per questi di sottrarsi all'immediata interazione con il mittente, ed ha escluso l'esistenza del reato nel caso in cui la modalità della comunicazione sia asincrona perché l'azione del mittente si esaurisce nella memorizzazione di un documento di testo nella memoria dell'elaboratore del gestore del servizio nella comunicazione si perfeziona solo in un momento successivo quando il destinatario si connette a sua volta dall'elaboratore cosa che sarebbe avvenuta nel caso in esame.

Con il secondo motivo deduce mancata applicazione da parte del giudice di appello della causa di non punibilità dell'art. 131-bis c.p., astrattamente applicabile a seguito della riqualificazione del fatto in quello di cui all'art. 660 c.p..

3. Con requisitoria scritta il Procuratore generale, Dott.ssa Elisabetta Ceniccola, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

È fondato, in particolare, il primo motivo, in cui si sostiene che il fatto di cui è stata giudicata responsabile l'imputata non è previsto dalla legge come reato.

La norma dell'art. 660 c.p. sanziona, infatti, "chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo".

La giurisprudenza di legittimità ha già affrontato il problema posto nel ricorso della applicabilità di questa fattispecie penale alla molestia o disturbo arrecati mediante l'utilizzo della rete internet.

La questione attiene al significato da attribuire alla locuzione "col mezzo del telefono", utilizzata dal legislatore del 1930, ed alla possibilità di ricomprendere in essa anche delle modalità di interferenza, non gradita, nella vita altrui create dallo sviluppo tecnologico, e non immaginate dal legislatore nel momento in cui è stata scritta la norma.

1.1. Una prima pronuncia (Sez. 3, Sentenza n. 28680 del 26/03/2004, Modena, Rv. 229464) si è occupata, in particolare, della rilevanza penale della molestia arrecata mediante gli short messages system (SMS) ed ha ritenuto che la disposizione dell'art. 660 c.p. punisca anche la molestia posta in essere attraverso l'invio di tale tipologia di messaggi, che sono trasmessi attraverso sistemi telefonici mobili o fissi, e che, a giudizio di questa pronuncia, non possono essere assimilati a messaggi di tipo epistolare, in quanto il destinatario di essi è costretto, sia de auditu che de visu, a percepirli, con corrispondente turbamento della quiete e tranquillità psichica, prima di poterne individuare il mittente, il quale in tal modo realizza l'obiettivo di recare disturbo al destinatario.

Sul piano del rispetto del principio di tipicità della fattispecie penale, e dei limiti posti dalla locuzione "col mezzo del telefono", questa pronuncia non incontra difficoltà perché si muove ancora in un sistema di comunicazioni che è caratterizzato dall'utilizzo di un apparecchio telefonico, mentre sul piano della ratio della fattispecie essa rifiuta la tesi che i sistemi di messaggistica veicolati dalle linee telefoniche possano avere una invasività minore della comunicazione tradizionale effettuata con il mezzo del telefono.

1.2. Una seconda pronuncia (Sez 1, n. 24510 del 17/06/2010, D'Alessandro, Rv. 247558) si è occupata della rilevanza penale delle molestie perpetrate mediante messaggi di posta elettronica, ed ha introdotto una prima limitazione alla possibilità di sussumere nell'ambito della norma dell'art. 660 c.p. anche questa tipologia di comunicazione a distanza generata dal progresso dei sistemi di telecomunicazione.

Con riferimento ai messaggi di posta elettronica, infatti, la sentenza D'Alessandro ha sostenuto che il principio di stretta legalità e di tipizzazione delle condotte illecite dell'art. 1 c.p. impedisce che l'interpretazione dell'espressione "col mezzo del telefono" possa essere dilatata sino a comprendere anche le modalità di comunicazione asincrona, quale l'invio di messaggi di posta elettronica, che pure utilizzano la rete telefonica e la rete cellulare delle bande di frequenza.

La sentenza ha, infatti, sostenuto che "l'invio di un messaggio di posta elettronica, - esattamente proprio come una lettera spedita tramite il servizio postale - non comporta (a differenza della telefonata) nessuna immediata interazione tra il mittente e il destinatario", in quanto "l'azione del mittente si esaurisce nella memorizzazione di un documento di testo (colla possibilità di allegare immagini, suoni o sequenze audiovisive) in una determinata locazione della memoria dell'elaboratore del gestore del servizio, accessibile dal destinatario" e "la comunicazione si perfeziona, se e quando il destinatario, connettendosi, a sua volta, all'elaboratore e accedendo al servizio, attivi una sessione di consultazione della propria casella di posta elettronica e proceda alla lettura del messaggio".

Secondo la sentenza D'Alessandro, devono essere ricondotti, invece, nell'alveo della previsione incriminatrice i messaggi di testo inviati tramite telefono (c.d. sms) in quanto, con riferimento ad essi, "il destinatario è costretto, sia de auditu che de visu, a percepirli, con corrispondente turbamento della quiete e tranquillità psichica".

In definitiva, sul piano del rispetto del principio di tipicità della fattispecie penale, questa pronuncia sgancia la interpretazione della locuzione "col mezzo del telefono" dall'utilizzo di un apparecchio telefonico e ritiene sufficiente che la comunicazione avvenga attraverso le linee telefoniche, ma, sul piano della ratio, fissa la linea di confine della fattispecie penale nella circostanza che la comunicazione avvenga con modalità sincrona, dando luogo ad una immediata interazione tra soggetto agente e destinatario della comunicazione.

La locuzione codicistica "col mezzo del telefono" diventa, pertanto, la formula utilizzata dal legislatore del 1930 per sanzionare le condotte moleste perpetrate mediante una comunicazione di carattere invasivo cui il destinatario non può sottrarsi (se non disattivando l'apparecchio telefonico); la comunicazione telefonica comporta, infatti, la immediata interazione tra il chiamante e il chiamato e la diretta intrusione del primo nella sfera delle attività del secondo, fenomeno che, nel caso dei messaggi di posta elettronica, non si verificherebbe.

1.3. Una terza pronuncia (Sez. 1, n. 36779 del 27/09/2011, Ballarino e altro, Rv. 250807), muovendo dal rilievo che i risultati dell'innovazione tecnologica consentono di inviare messaggi di posta elettronica, in entrata e in uscita, attraverso i normali apparecchi telefonici, fissi o mobili, sostanzialmente con le stesse modalità di invio degli sms, ha ritenuto che, ai sensi dell'art. 660 c.p., al termine "telefono" debba essere equiparato, senza esondare dal perimetro dei possibili significati della formulazione letterale impiegata dal legislatore, qualsiasi mezzo di trasmissione, tramite rete telefonica e rete cellulare delle bande di frequenza, di voci e di suoni imposti al destinatario, senza possibilità per lo stesso di sottrarsi alla "immediata" interazione con il mittente, e che non sia, pertanto, dirimente il criterio incentrato sul carattere sincronico o asincronico del contenuto della comunicazione, cui aveva fatto ricorso la sentenza D'Alessandro.

Nella sistematica della pronuncia Ballarino, infatti, anche l'invio di un messaggio di posta elettronica può realizzare in concreto una diretta e sgradita intrusione del mittente nella sfera delle attività del destinatario, quando la comunicazione sia accompagnata da un avvertimento acustico, che ne indichi l'arrivo in forma petulante, con un'intensità tale da condizionare la tranquillità del ricevente. La percezione obbligata da parte del destinatario del ripetuto avvertimento acustico può, infatti, rivelarsi molesta proprio come l'invio ripetuto di squilli telefonici.

La situazione sarebbe diversa, invece, quando il destinatario dei messaggi di posta elettronica non sia avvertito dell'arrivo e decida di aprire la posta elettronica pervenuta, come per la corrispondenza epistolare, senza subire alcun condizionamento costituito da segni o rumori premonitori.

In definitiva, anche questa pronuncia aggancia la interpretazione della locuzione "col mezzo del telefono" all'utilizzo delle linee telefoniche, ma fissa la linea di confine della fattispecie nella circostanza che le comunicazioni avvengano con un mezzo che raggiunge il destinatario dell'azione perturbatrice in modo invasivo, mediante una interazione immediata con il mittente cui il destinatario non può sottrarsi, e tale invasività consisterebbe nel sistema di alert di cui è dotata la forma di comunicazione.

1.4. Una quarta pronuncia (Sez. 1, Sentenza n. 37974 del 18/03/2021, D'Antoni, Rv. 282045) ha puntualizzato ulteriormente, in ordine alle molestie arrecate tramite messaggistica istantanea sms e whatsapp, che la interazione immediata, e non gradita, del destinatario con il mittente può consistere non soltanto nell'avvertimento acustico che indica l'arrivo del messaggio, ma anche nella percezione immediata e diretta del contenuto del messaggio attraverso l'anteprima di testo che compare sulla schermata di blocco.

Nel percorso logico di questa pronuncia il distinguo tra messaggistica telematica e messaggistica tramite sms non ha ragion d'essere, in quanto entrambi possono realizzare in concreto una diretta e immediata intrusione del mittente nella sfera delle attività del ricevente.

La pronuncia aggiunge che è irrilevante la circostanza che il destinatario di messaggi non desiderati potrebbe evitarne la ricezione, senza compromettere in alcun modo la propria libertà di comunicazione, semplicemente escludendo o bloccando il contatto indesiderato, perché con le stesse modalità è possibile evitare la ricezione anche degli sms sgraditi, come pure escludere la chiamata telefonica proveniente da un'utenza sgradita, sfruttando le funzionalità di blocco presenti sulla maggior parte dei dispositivi.

In definitiva, anche questa pronuncia aggancia la interpretazione della locuzione "col mezzo del telefono" all'utilizzo delle linee telefoniche, ma fissa la linea di confine della fattispecie nella circostanza che le comunicazioni avvengano con un mezzo che raggiunge il destinatario dell'azione perturbatrice in modo invasivo, imponendogli una interazione immediata con il mittente, e tale invasività consisterebbe, in questo caso, nel sistema di preview di cui è dotata la forma di comunicazione.

1.5. Una quinta pronuncia (Sez. 1, Sentenza n. 28959 del 04/05/2021, Scotti, Rv. 281755), di poco successiva, si è occupata di nuovo delle comunicazioni che avvengono mediante posta elettronica, ha escluso la rilevanza penale delle stesse ai sensi dell'art. 660 c.p., a causa della minore invasività della modalità asincrona attraverso cui avviene la comunicazione, in conformità alla pronuncia D'Alessandro di undici anni prima, però, ha apposto a tale conferma della irrilevanza penale "la necessaria precisazione, imposta dal progresso tecnologico" della rilevanza penale di tale forma di comportamenti molesti se la comunicazione tramite posta elettronica avviene con un telefono "attrezzato", che permette "la trasmissione di voci e di suoni in modalità sincrona, che avvertono non solo l'invio e la contestuale ricezione di sms (short messages system), ma anche l'invio e la ricezione di posta elettronica".

In definitiva, anche secondo questa pronuncia la linea di confine della fattispecie consiste nella circostanza che le comunicazioni avvengano con un mezzo che raggiunge il destinatario dell'azione perturbatrice in modo invasivo, obbligandolo all'immediata interazione con il mittente, e l'invasività dipende anche in questo caso dall'esistenza o meno di sistemi di alert o preview di cui è dotata la comunicazione molesta.

1.6. La coerenza interna della giurisprudenza di legittimità nella applicazione della fattispecie astratta dell'art. 660 c.p. alle comunicazioni che avvengono mediante messaggistica telematica è condizionata dall'evoluzione del progresso tecnologico, che è passato dal telefono in grado di inviare sms della pronuncia Modena del 2004 al telefono "attrezzato", che spedisce e riceve e-mail e messaggi telematici, della sentenza Scotti del 2021. In essa, però, si possono cogliere alcune linee conduttrici che sono sempre rimaste ferme.

1.6.1. La prima linea conduttrice è che l'espressione "col mezzo del telefono" contenuta nell'art. 660 c.p. deve essere letta come riferita all'utilizzo delle linee telefoniche, e non del telefono quale dispositivo elettronico in quanto tale, che, trasformando le vibrazioni acustiche in variazioni di una corrente elettrica, e viceversa, consente la trasmissione di suoni a distanza.

Questa interpretazione deve a maggior ragione essere ribadita in un contesto tecnologico, quale quello attuale, che ormai ha reso neutro il dispositivo elettronico materialmente utilizzato per effettuare la comunicazione a distanza, atteso che ormai la medesima tipologia di comunicazione a distanza può essere inviata, o ricevuta, indifferentemente tramite dispositivi elettronici molto diversi, talché non sarebbe ragionevole distinguere, agli effetti penali, a seconda che la comunicazione molesta sia spedita, o ricevuta, tramite telefono, computer, orologio o altro dispositivo.

L'interpretazione della espressione "col mezzo del telefono" come riferita all'utilizzo delle linee telefoniche, quale veicolo della comunicazione molesta, permette di ricondurre all'alveo del penalmente rilevante, agli effetti dell'art. 660 c.p., anche l'invio di messaggistica telematica molesta, pure nel contesto dell'attuale sviluppo tecnologico, caratterizzato da tipologie di linee telefoniche molto diverse (analogiche, digitali, satellitari, in fibra ottica) senza che ci si debba porre il problema del tipo di accesso alla rete utilizzata dal mittente del messaggio molesto. Le stesse differiscono, infatti, sul piano della tecnologia attraverso cui avviene l'accesso dell'utente alla rete telefonica generale, ma hanno in comune il carattere della diffusività, che permette ad una persona di raggiungere, attraverso la concatenazione mondiale delle reti pubbliche di telecomunicazione, un destinatario con cui non avrebbe altrimenti un canale di telecomunicazione a distanza di tipo privato.

1.6.2. La seconda linea conduttrice della giurisprudenza di legittimità esposta ai punti precedenti, però, è che l'assimilazione delle molestie avvenute attraverso messaggistica istantanea a quelle sanzionate dall'art. 660 c.p. in tanto si giustifica, in quanto il mezzo utilizzato sia stato caratterizzato in concreto da una invasività assimilabile a quella della chiamata telefonica molesta.

Le pronunce passate in rassegna si confrontano, infatti, tutte con la tesi che le comunicazioni moleste effettuate tramite sistemi di messaggistica telematica possano avere una invasività minore della comunicazione tradizionale effettuata con il mezzo del telefono, ma - ad eccezione della pronuncia D'Alessandro - la superano in concreto attribuendo rilievo decisivo alla circostanza che le comunicazioni moleste effettuate mediante messaggistica telematica siano affiancate da un sistema di alert (sentenza Ballarino) o di preview (sentenza D'Antoni), che le rende invasive nello stesso modo di quelle effettuate a mezzo del telefono.

Tanto è che la successiva pronuncia Scotti torna sulle comunicazioni effettuate mediante posta elettronica, che erano state ritenute estranee al perimetro della fattispecie penale dalla pronuncia D'Alessandro, e le ritiene rilevanti purché ricevute su un telefono "attrezzato", che permette l'interazione immediata tra destinatario e mittente, conclusione, d'altronde, coerente con le pronunce precedenti e con l'evoluzione tecnologica, non essendo ragionevole a quel punto continuare ad attribuire uno statuto differenziato alle e-mail, che ormai vengono ricevute sui diversi tipi di dispositivi in modo del tutto analogo alle altre forme di messaggistica telematica.

1.6.3. In realtà, però, se sono i sistemi di alert o preview che affiancano la forma di comunicazione a distanza a rendere la stessa sufficientemente invasiva da dover essere considerata molesta nel significato dell'art. 660 c.p., deve essere a questo punto osservato che la esistenza o meno di un sistema di alert o preview dipende, in realtà, non dal soggetto che invia, ma da quello che riceve, che può decidere liberamente se consentire all'applicazione di messaggistica telematica di inviargli la notifica della ricezione di un messaggio.

La stessa sentenza Ballarino, d'altronde, aveva affermato che la messaggistica telematica avrebbe potuto essere equiparata, quanto ad invasività, alla corrispondenza epistolare, sfornita di tutela penale nel sistema dell'art. 660 c.p., se il destinatario dei messaggi non fosse avvertito dell'arrivo e decidesse di aprire la posta pervenuta, come per la corrispondenza epistolare, senza subire alcun condizionamento costituito da segni o rumori premonitori.

La possibilità per il destinatario della comunicazione di sottrarsi all'interazione immediata con il mittente e di porre un filtro alla comunicazione a distanza permettendogli di decidere di non essere raggiunto dalla stessa, se non in un momento in cui decide liberamente di farlo, rende, infatti, tale forma di comunicazione oggettivamente meno invasiva di quella effettuata a mezzo del telefono, e più vicina a quella epistolare.

Ma, in un sistema di messaggistica telematica che ormai, per effetto dell'ulteriore progresso delle telecomunicazioni, permette al destinatario di sottrarsi sempre all'interazione immediata con il mittente ponendo un filtro al rapporto con il soggetto che invia il messaggio molesto, la equiparazione tra, la invasività delle comunicazioni moleste effettuate tramite sistemi di messaggistica telematica e quella delle comunicazioni tradizionali effettuate con il mezzo del telefono non si giustifica più, perché la circostanza che il messaggio telematico abbia assunto quella maggiore invasività che lo rende assimilabile alla telefonata molesta ricevuta improvvisamente dipende non da una scelta del soggetto che invia, ma da una scelta del soggetto che riceve.

La istantaneità della comunicazione molesta veicolàta tramite la messaggistica telematica, e la circostanza che essa giunga in un momento improvviso non regolabile dal soggetto che riceve la comunicazione, sono, infatti, caratteristiche accessorie del mezzo utilizzato, che il destinatario può evitare, sottraendosi a quella interazione immediata con il mittente che è la linea di delimitazione della fattispecie penale.

Ne consegue che nel caso in esame, caratterizzato da molestie perpetrate tramite messaggi inviati mediante le applicazioni instagram e facebook, le cui notifiche dei messaggi in arrivo possono essere attivate per scelta libera dal soggetto che li riceve, il fatto di cui è stata ritenuta responsabile l'imputata non è sussumibile nella fattispecie penale dell'art. 660 c.p., in quanto non commesso "col mezzo del telefono", nel significato attribuito a questa locuzione dalla giurisprudenza di legittimità.

La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio ex art. 620, comma 1, lett. a), c.p.p., perché il fatto non sussiste.

2. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n.196/03 in quanto imposto dalla legge, atteso che nella sentenza sono riportati dati sensibili delle persone menzionate.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n.196/03 in quanto imposto dalla legge.