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Associazione persona offesa di una diffamazione (Cass. 36931/23)

7 settembre 2023, Cassazione pena

Ai fini della procedibilità per diffamazione a danno di una persona giuridica, è sufficiente la enunciazione in querela della qualità di presidente dell'ente senza dover necessariamente allegare la relativa documentazione. 

L'ente può è titolare di un proprio diritto all'onore e alla reputazione, potendo quindi le espressioni denigratorie dirette nei confronti di singoli appartenenti ad un'associazione od istituzione, al contempo, aggredire anche l'onorabilità dell'entità collettiva cui essi appartengono.

 

Corte di Cassazione

sez. V penale

 ud. 5 giugno 2023 (dep. 7 settembre 2023), n. 36931
Presidente Pezzullo - Relatore Cananzi

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza emessa il 18 marzo 2022, confermava quella del Tribunale torinese che aveva accertato la responsabilità penale di D.M.S. , condannandola alla pena di Euro mille di multa, oltre al risarcimento del danno con provvisionale di Euro cinquemila in favore della parte civile, in ordine ai delitti di diffamazione aggravata, ritenuti in continuazione.

In particolare, a D.M. è contestato il delitto previsto dagli artt. 81,comma 2, e 595, comma 3, c.p. "per avere, con più azioni in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, offeso la reputazione dei soci del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli di Roma, e del Circolo stesso, in particolare pubblicando sul suo sito personale (omissis) (dal 25.1.2017) un articolo dal titolo "Persone a cui voglio bene" ove affermava: "fino a quando esisterà un circolo intitolato a Mario Mieli , vorrà dire che la protervia e la prepotenza saranno totali. Non intendo tollerare che un circolo sovvenzionato con denaro pubblico inneggi a pedofilia, necrofilia e coprofagia"; diffondendo (dal 21.2.2017) sul network youtube un video in cui la stessa indagata afferma: "...fino a quando col nostro denaro viene finanziato il Circolo Mario Mieli di Roma, un circolo dove si inneggia (alla) pedofilia, coprofagia e necrofilia"; condividendo sulla pagina "D.M.S. community" tenuta dall'indagata sul socia) network Facebook l'articolo apparso sul quotidiano "(...)" il 13.1.2017 (dal 14.1.2017); rilasciando un'intervista sul quotidiano on line "(...)" (dal 13.1.2017) dove affermava: "i pedofili si chiamano "map", persone attratte da minori. Il circolo L.g.b.t. di Roma è intitolato a M.M. , cantore di pedofilia, necrofilia e coprofagia. Posso assumere che tutti gli iscritti provino simpatia per queste pratiche? O che almeno non ne provino nausea? Posso?"; rilasciando al quotidiano on line (omissis) (dal 19.1.2017) un'intervista dal titolo "(omissis) " ove dichiarava: "Lo sa che diceva quel gentiluomo a cui è intitolata un'associazione che prende i soldi dallo Stato? (....) era un pedofilo. E noi diamo i soldi a gente che ha fatto sue queste idee. Una follia. Contro la quale vale la pena di battersi".

2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di D.M.S. consta di sei motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p..

3. Il primo motivo deduce violazione di legge processuale in relazione agli artt. 337, comma 3, 122 e 529 c.p.p..

Lamenta la ricorrente l'erronea applicazione delle norme processuali quanto alla legittimazione a presentare la querela, sporta da C.M. quale presidente del circolo Mario Mieli.

In primo luogo, in quanto l'imputata indirizzava le proprie dichiarazioni ai singoli soci del circolo e non all'associazione, cosicché la querela sporta nell'interesse della associazione, e non dal singolo socio, non consente di ritenere sussistente la condizione di procedibilità.

In subordine, rappresentando che C. non aveva dimostrato la propria legittimazione quale presidente del circolo M.M. a presentare querela, difettando la prova di un mandato specifico da parte dei soci dello stesso e non risultando comprovata la qualità di presidente e l'affidamento dei poteri querelatori da parte dell'assemblea.

Ne conseguirebbe l'assenza della condizione di procedibilità.

4. Il secondo motivo, correlato al primo, deduce sempre violazione di norme processuali in relazione agli artt. 337, comma 4, e 529 c.p.p., in particolare rilevando come difetti l'identificazione del querelante e la sottoscrizione della querela, poiché il timbro di deposito è apposto sulla procura speciale rilasciata dal querelante al difensore, atto separato dalla querela.

5. Il terzo motivo deduce violazione degli artt. 595,51 c.p. e 21 Cost. per mancato riconoscimento della scriminante, anche nella forma putativa.

La Corte di appello non avrebbe tenuto in conto l'opera di M.M. , personalità alla quale era stato intitolato il circolo, che, come dimostrato con la produzione in primo grado dei relativi scritti, inneggiava alla pedofilia, cosicché l'aver intitolato il circolo al M. implicava la celebrazione delle sue idee e l'imputata aveva voluto evidenziarle nel dibattito pubblico, per denunciare il sovvenzionamento delle attività del circolo, come medico e come cittadina indignata, nell'esercizio del diritto di critica.

6. Il quarto motivo deduce vizio di motivazione, in relazione agli artt. 192 e 546, comma 1, c.p.p..

Lamenta la ricorrente che la Corte di appello non avrebbe dato risposta ai motivi di impugnazione, ritenendoli eccentrici, senza però dichiararli inammissibili e senza alcuna valutazione dei medesimi.

La Corte di appello non si sarebbe confrontata con le doglianze relative alla circostanza che, come emerso dall'istruttoria in primo grado, l'esaltazione della figura del M. e la centralità delle idee inneggianti alla pedofilia nel pensiero dello stesso, nonché le attività del circolo nelle scuole, a contatto con gli studenti, determinavano la promozione indiretta della figura e del pensiero di M. . La sentenza impugnata avrebbe travisato il contenuto della deposizione di C. , che per un verso dichiarava che il circolo non si ispirava a M. , salvo poi affermare che fosse "la pietra miliare del circolo".

7. Il quinto motivo lamenta vizio di motivazione non avendo la sentenza impugnata valutato le dichiarazioni della D.M. , rese nel corso del giudizio di primo grado, con le quali la stessa ha spiegato di voler "accendere un faro" sulla figura discussa di M. , sulla promozione della sua figura fra i minori, nonché sul sovvenzionamento statale. Inoltre, la Corte di appello non avrebbe preso in considerazione il rischio di confusione fra M. e il suo pensiero, da un lato, e l'associazione che aveva intitolato il circolo al predetto.

8. Il sesto motivo lamenta vizio di motivazione quanto alle statuizioni civili, in quanto la Corte di appello avrebbe reso a riguardo una motivazione apparente, eludendo quanto affermato da C. , relativamente alla circostanza che le dichiarazioni della D.M. non avevano intaccato la reputazione e le entrate del circolo.

9. Il ricorso è stato trattato con l'intervento delle parti, a seguito di tempestiva richiesta da parte del difensore della ricorrente, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7, comma 1, D.L. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall'art. 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall'art. 5-duodecies D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.

2. Il primo e il secondo motivo strettamente connessi vanno trattati unitariamente.

2.1 Va premesso che questa Corte deve occuparsi del dedotto difetto di legittimazione alla presentazione della querela, pur se lo stesso non è stato oggetto di motivo di appello, limitandosi lo stesso a censurare l'omessa identificazione del querelante.

Va ricordato che, in tema di applicazione delle disposizioni di cui all'art. 129 c.p.p., la questione attinente alla procedibilità dell'azione penale è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento e, quindi, può essere dedotta per la prima volta davanti alla Corte di cassazione, purché, nel caso in cui si affermi la tardività della querela, il "dies a quo" non debba essere determinato con un giudizio di fatto che è precluso al giudice di legittimità (Sez. 5, n. 23689 del 06/05/2021, Cavallin, Rv. 281318 - 01; Sez. 3, n. 24146 del 14/03/2019, M., Rv. 275981 - 01).

Sull'ulteriore censura, quella proposta sul punto della condizione di procedibilità in ordine alla corretta identificazione del querelante, si è già pronunciata la Corte di appello, ritenendola adeguata e rilevando, altresì, in merito alla legittimazione sostanziale a sporgere querela da parte del presidente del circolo, come tutte le dichiarazioni della D.M. fossero rivolte all'associazione non riconosciuta e quelle del 13 gennaio 2017 ai singoli soci dello stesso.

2.2 Va premesso che dagli atti - ai quali può accedere questa Corte come ‘giudice del fattò vertendosi in error in procedendo (Sez. Un. 31 ottobre 2001, Policastro, rv. 220092) - emerge come la querela fu presentata da C. , che si qualificava come presidente del Circolo di cultura omosessuale M.M. , allegando il verbale della propria elezione, non quale presidente, bensì come primo fra gli eletti del consiglio direttivo dell'associazione.

2.3 Tanto premesso i motivi di ricorso sul punto devono ritenersi infondati.

2.3.1 Per un verso, infatti, consolidato è il principio per cui ai fini della riferibilità della querela ad una persona giuridica, la previsione di cui all'art. 337 c.p.p. si limita a richiedere l'indicazione della fonte dei poteri di rappresentanza da parte del soggetto che la presenta e non già la prova della veridicità delle dichiarazioni di quest'ultimo sul punto, con la conseguenza che detta veridicità deve presumersi fino a contraria dimostrazione (Sez. 2, n. 23534 del 18/04/2019, Diaz, Rv. 276663 - 01; Sez. 2, n. 12455 del 04/03/2008, Mondi, Rv. 239747, la quale, in motivazione, chiarisce che la parte non è gravata da alcun onere di allegazione documentale; mass. conf.: N. 8368 del 2014 Rv. 259037 01).

Proprio in tema di associazione non riconosciuta, d'altro canto, è stato anche affermato in modo condivisibile che la querela proposta dal legale rappresentante deve ritenersi contenere l'indicazione della fonte dei poteri di rappresentanza, qualora il querelante si qualifichi come soggetto cui essa competa "ex lege", dal momento che deve intendersi implicito ed automatico il riferimento alla norma giuridica quale fonte (Sez. 5, n. 7599 del 12/05/1999, Scalfari, Rv. 213789 - 01 in fattispecie relativa a querela presentata dal presidente del consiglio di amministrazione di un'associazione non riconosciuta; nello stesso senso richiamano tale principio, Sez. 2, n. 32970 del 14/05/2002, Carlei, Rv. 222582 01; Sez. 6, Sentenza n. 10274 del 12/07/2000, Grottaroli, Rv. 217647 - 01).

Nel caso in esame C. si qualificava come presidente della associazione non riconosciuta "Circolo di cultura omosessuale M.M. ", così prospettando la sua qualità di rappresentante ex lege, alla luce di quanto previsto dall'art. 36, comma 2, c.c.

Quanto alla circostanza che non sia stato allegato il verbale attributivo della qualità di presidente al C. , bensì solo quello della sua elezione quale componente del consiglio, tale omissione non inficia l'efficacia della querela: si è affermato che la querela, pur se priva dell'enunciazione formale della fonte dei poteri di rappresentanza conferiti al legale rappresentante della persona giuridica, non è nulla, in quanto la sua inefficacia consegue solo alla mancanza di un effettivo rapporto fra il querelante e l'ente, che nel caso in esame non è stato messo in discussione, risultando anzi la costituzione di parte civile in giudizio a conferma del corretto esercizio del diritto di querela (Sez. 2, n. 39839 del 27/06/2012, Savino, Rv. 253442; mass. conf. N. 37377 del 2003 Rv. 227038 - 01, N. 37365 del 2005 Rv. 232691 - 01).

2.3.2 Può quindi affermare questa Corte che, in relazione alla querela sporta dal presidente di una associazione non riconosciuta, la previsione di cui all'art. 337, comma 3, c.p.p. si limita a richiedere l'indicazione della fonte del potere di rappresentanza da parte del soggetto che la presenta, adempimento assolto con la spendita della qualità di presidente, che implica il riferimento alle fonti normative attributive "ex lege", ai sensi dell'art. 31, comma 2, c.c., del menzionato potere. D'altro canto, non deve essere fornita la prova della predetta qualità, che è efficace fino alla prova contraria dell'inesistenza di un effettivo rapporto fra il querelante e l'ente.

2.3.4 Ne consegue l'infondatezza della censura sul punto.

2.3.5 Quanto, poi, alla ulteriore censura, relativa alla identificazione del querelante, che la difesa evidenzia effettuata in calce alla procura speciale al difensore e non in calce all'atto di querela, in vero non vi è soluzione di continuità fra la querela e la procura speciale, che risulta materialmente in sequenza, come anche comprovata dalla consequenzialità della numerazione delle pagine. Sul punto, pertanto, corretta è la decisione dei Giudici di merito.

D'altro canto, le Sezioni Unite - n. 26268 del 28/03/2013, Cavalli, Rv. 255584 - 01 - hanno chiarito che la mancata identificazione del soggetto che presenta la querela non determina l'invalidità dell'atto allorché ne risulti accertata la sicura provenienza e si è ritenuto, con orientamento condiviso da questa Corte, che tale prova sia fornita dalla successiva costituzione di parte civile, nel caso in esame intervenuta (Sez. 4, n. 5446 del 23/01/2019, Sasso, Rv. 274979 - 01; Sez. F, n. 32190 del 24/07/2002, Galliadi, Rv. 222546 - 01).

2.3.6 Infine, quanto alla censura rivolta alla querela - perché sporta solo dal presidente del circolo e non dai soci, ai quali la ricorrente indica rivolti i propri scritti - va richiamato il condivisibile principio per cui in tema di diffamazione a mezzo stampa le espressioni denigratorie dirette nei confronti di singoli appartenenti ad un'associazione od istituzione possono, al contempo, aggredire anche l'onorabilità dell'entità collettiva cui essi appartengono, entità alla quale, conseguentemente, anche compete la legittimazione ad assumere la qualità di soggetto passivo di delitti contro l'onore. Ne consegue che, quando l'offesa assume carattere diffusivo (nel senso che essa viene ad incidere sulla considerazione di cui l'ente gode nella collettività), detto ente, al pari dei singoli soggetti offesi, è legittimato alla presentazione della querela ed alla successiva costituzione di parte civile e ad esso compete eventualmente la facoltà di proporre impugnazione nelle ipotesi particolari previste dall'art. 577 c.p.p. (Sez. 5, n. 1188 del 26/10/2001, dep. 14/01/2002, Scalfari, Rv. 220813 - 01, in una fattispecie in cui è stata riconosciuta la qualità di persona offesa -con possibilità di costituirsi parte civile e di proporre la impugnazione sopra specificata- ad un Consiglio dell'ordine degli avvocati, avendo il giornalista formulato giudizi negativi e denigratori nei confronti di "migliaia di avvocati", appartenenti al predetto ente, ed avendone indicati alcuni come "manutengoli della camorra"; nello stesso senso, Sez. 5, n. 37383 del 16/06/2011, Benetton, Rv. 251518 - 01, in relazione alla lesione della reputazione professionale dell'ente, a seguito della divulgazione a mezzo stampa di false notizie in ordine a presunti contrasti tra i soci principali di una società commerciale; Sez. 5, n. 16281 del 16/03/2010, Pasquin, Rv. 247263 - 01, in merito alle offese indirizzate a singoli soci e collaboratori di uno studio legale, che ben si traducono in offesa alla reputazione di questi ultimi come componenti di un organismo professionale, coeso per via di associazione, e, quindi, nella lesione della reputazione dell'associazione professionale per la quale sia proposta querela; nello stesso anche Sez. 5, n. 4982 del 30/01/1998, Sandri, Rv. 210601 - 01, che per altro indica come potenziali persone offese della diffamazione anche entità giuridiche o di fatto - associazioni, partiti, fondazioni, comunità religiose, corpi amministrativi e giudiziari - in quanto rappresentativi sia di un interesse collettivo unitario ed indivisibile in relazione alla finalità perseguita, sia degli interessi dei singoli componenti).

D'altro canto, l'effetto estensivo dell'offesa si ha anche in senso opposto, allorquando l'attacco alla reputazione dell'ente si traduca in un attacco all'onorabilità dei singoli che ne partecipano, cosicché si è affermato che in tema di diffamazione a mezzo stampa, le espressioni denigratorie dirette nei confronti di un'entità collettiva possono ledere anche l'onorabilità delle persone che la compongono, alle quali deve quindi essere riconosciuta la legittimazione alla presentazione della querela (Sez. 5, n. 34395 del 27/05/2015, Colavita, Rv. 265016 - 01, in una fattispecie in cui è stata riconosciuta la qualità di persona offesa ai singoli medici di un reparto ospedaliero nei cui confronti l'imputato aveva reso dichiarazioni lesive).

Inoltre, come osserva Sez. 5, n. 12744 del 07/10/1998, Faraon, Rv. 213415 - 01, è identificabile per un ente un onore o un decoro collettivo, quale bene morale di tutti gli associati o membri, considerati come unitaria entità, capace di percepire l'offesa (fattispecie di diffamazione a mezzo stampa in danno della Congregazione dei Testimoni di Geova), poiché è concettualmente ammissibile l'esistenza di un onore sociale, collettivo, quale bene morale di tutti i soci, associati, componenti, membri come un tutto unico, capace di percepire l'offesa (Sez. 5, n. 2886 del 24/01/1992, Rv. 189901 - 01).

Nel caso in esame le affermazioni dell'imputata sono evidentemente rivolte sia alla collettività dei soci, sia anche al circolo, cosicché non si pone il tema della legittimazione alla querela che ben poteva essere proposta anche da un singolo socio, tanto più che il tenore delle dichiarazioni, come evidenziato dai Giudici di merito, riguarda sia la lesione dell'onore del circolo, quale ente portatore di una propria reputazione, sia anche la lesione della reputazione degli associati, rappresentati proprio dall'ente esponenziale.

In sostanza, in questo caso si tratta di un delitto soggettivamente plurioffensivo, in quanto la diffusività della condotta diffamatoria, seppur non è intervenuta alcuna querela da parte di singoli associati, legittima la qualità di persona offesa del circolo per la duplice lesione dei beni dell'onore e della reputazione sia dell'ente che degli associati.

Ne consegue l'infondatezza dei primi due motivi.

3. Va da subito evidenziato che, in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare la frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e quindi della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato (Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005, dep. 2006, Travaglio, Rv. 233749; Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Fabrizio, Rv. 256706; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Dennofonti, Rv. 261284; Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi, Rv. 278145).

4. I motivi terzo, quarto e quinto, strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente.

4.1 La Corte di appello, dopo avere riportato in maniera dettagliata la motivazione della sentenza di primo grado, ha evidenziato come i motivi di appello si siano concentrati sulla ‘centralità', nel pensiero di M. , delle teorie favorevoli alla pedofilia, alla coprofagia e alla necrofilia, in ciò volendo confutare l'argomentazione del Tribunale che ne aveva ridimensionato la rilevanza.

A ben vedere, la Corte di appello evidenzia come l'accusa fondata di diffamazione scaturisca dall'assenza di relazione fra le teorie predette e le condotte poste in essere dall'azione del circolo e dai suoi soci, a fronte della equazione sostenuta dall'imputata che all'intitolazione del circolo a M. corrispondesse lo svolgimento di pratiche apologetiche delle predette teorie e condotte, da parte della associazione e dei soci della stessa.

In vero, fatta salva la legittima ‘battaglià, come la definisce la Corte territoriale, della imputata, che politicamente criticava e censurava il sovvenzionamento del circolo M.M. con fondi pubblici, espressione queste senz'altro di critica politica, sono invece altre le espressioni riportate nell'imputazione che i giudici di merito hanno ritenuto offensive della reputazione della parte civile: "Non intendo tollerare che un circolo sovvenzionato con denaro pubblico inneggi a pedofilia, necrofilia e coprofagia", "fino a quando col nostro denaro viene finanziato il Circolo M.M. di Roma, un circolo dove si inneggia a pedofilia, coprofagia e necrofilia". O anche: "(omissis) "; "Lo sa che diceva quel gentiluomo a cui è intitolata un'associazione che prende i soldi dallo Stato? (....) era un pedofilo. E noi diamo i soldi a gente che ha fatto sue queste idee. Una follia. Contro la quale vale la pena di battersi".

Più esplicite nella deduzione, riguardo alla equiparazione fra intitolazione del circolo e condivisione delle idee del M. , ma non per questo meno lesive, risultano le dichiarazioni nelle quali l'imputata afferma: "i pedofili si chiamano "map", persone attratte da minori. Il circolo L.g.b.t. Roma è intitolato a Mario Mieli , cantore di pedofilia, necrofilia e coprofagia. Posso assumere che tutti gli iscritti provino simpatia per queste pratiche? O che almeno non ne provino nausea? Posso?".

Il Tribunale e la Corte territoriale rilevano come la lesione della reputazione sussista nella accusa rivolta al circolo di "inneggiare" a tali pratiche e di percepire fondi pubblici, collegando i finanziamenti alle attività di promozione delle predette pratiche.

Rileva la sentenza impugnata, richiamando quella di primo grado nella parte introduttiva, che non era in alcun modo comprovata la circostanza che da parte del circolo M.M. e da parte dei soci fosse stata messa in atto alcuna attività di promozione delle pratiche di pedofilia, coprofagia e necrofilia, bensì risultava solo esservi stata l'organizzazione della presentazione del volume di M. , in uno a due case editrici di rilievo nazionale, senza utilizzare finanziamenti pubblici.

Emergeva invece, all'esito dell'istruttoria, che l'attività del circolo si sostanziasse nella promozione dei diritti civili e delle persone L.g.b.t., nella lotta all'H.i.v., nonché nella predisposizione di servizi legali e di consulenza psicologica per i malati di H.i.v.: in sostanza risultava del tutto non comprovata l'affermazione sostenuta dalla D.M. che la promozione delle idee del circolo nelle scuole si fosse concretizzata in una istigazione alla pedofilia, alla necrofilia e alla coprofagia. Da qui la assenza di verità riguardo alle affermazioni della D.M. , acclarata dai Giudici di merito, in doppia conforme, che non risulta essere oggetto di specifica e fondata censura in ordine al travisamento, quanto alla omessa valutazione di prove che attestassero, invece, che il circolo o i suoi soci avessero posto in essere condotte apologetiche delle pratiche menzionate

4.2 Così ricostruiti i fatti, va evidenziato come riguardo all'invocato diritto di critica, anche politica, richiamato in ricorso e nel corso della discussione da parte delle difese di D.M. , questa Corte ritiene necessario richiamare quanto ritenuto dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, che offre chiavi di lettura, in forza del dettato dell'art. 10 della CEDU, del rapporto fra il diritto alla libertà di espressione e il diritto della persona a non essere lesa ingiustamente nell'onore e nella reputazione, beni da ricondurre ai diritti di personalità ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost., nonché diritti tutelati dall'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nell'ambito del diritto al rispetto della vita privata (si veda, tra molti precedenti, Chauvy e altri c. Francia, n. 64915/01, § 70, in fine, CEDU 2004 VI).

Perché entri in gioco l'art. 8, l'attacco alla reputazione di una persona deve raggiungere un certo livello di gravità, e deve essere effettuato in modo tale da arrecare pregiudizio al godimento personale del diritto al rispetto della vita privata (si veda A. c. Norvegia, n. 28070/06, § 64, 9 aprile 2009).

La Corte Edu rileva la necessità di limitare le ingerenze dell'autorità pubblica rispetto al diritto di espressione, per evitare il rischio di effetto dissuasivo (chilling effect) nell'esercizio, soprattutto (ma non solo), dell'attività giornalistica e attribuisce rilievo alla distinzione - per esaminare la buona fede ed il rispetto delle regole di prudenza e serietà di colui che invoca la garanzia (con particolare riferimento ai giornalisti) - tra fatti (informazioni) e i giudizi di valore (idee). I fatti, a differenza delle opinioni, si possono provare, mentre per i giudizi di valore non è possibile pretendere una verifica di conformità, che sarebbe in contrasto con la stessa libertà di opinione (Corte EDU, caso Lingens c. Austria, 8.7.1986; Corte EDU, caso Grimberg c. Russia, 21.7.2005, § 29).

E però anche i giudizi di valore devono fondarsi su una sufficiente base fattuale (Corte EDU, caso Jerusalem c. Austria, 27.2.2001, § 43; Corte EDU, caso GRA Stiftung gegen Rassismus und Antisemitismus c. Svizzera, 9.1.2018, §§ 5180; Corte EDU, caso Perna c. Italia, 6.5.2003; Corte EDU, caso Riolo c. Italia, 17.7.2008; di recente, altresì, Corte EDU, caso Antunes Emidio e Soares Gomes da Cruz c. Portogallo, 24.9.2019, che ha ribadito che la libertà di espressione gode di un elevato livello di protezione quando la manifestazione di opinione riguarda questioni di interesse pubblico, e ha inoltre sottolineato che al fine di identificare il livello di protezione della libertà di espressione occorre considerare la differenza tra descrizione di fatti storici e espressione di giudizi di valore, dal momento che quest'ultimi non sono suscettibili di prova).

5. A tale elaborazione convenzionale corrispondono i ‘limitì posti alla ingerenza dell'autorità statuale in Italia, come fissati da questa Corte nel bilanciamento fra il diritto di manifestazione del pensiero dell'art. 21 Cost. e il diritto all'onore e alla reputazione, e in sostanza alla dignità della persona, sancito dagli artt. 2 e 3 Cost.

Per l'esercizio del diritto di critica, alla stregua della differenza fra fatti e giudizi di valore, è sempre richiesto da questa Corte il requisito della verità del fatto storico, ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica (Sez. 5, n. 8721 del 17/11/2017, dep. 2018, Coppola, Rv. 272432; Sez. 5, n. 7715 del 04/11/2014, dep. 2015, Caldarola, Rv. 264064; Sez. 1, n. 40930 del 27/09/2013 Travaglio, Rv. 257794), pur se la verità del fatto deve riguardare il nucleo ed il profilo essenziale dei fatti, che però non devono essere strumentalmente travisati e manipolati (Sez. 1, n. 8801 del 13/11/2018, dep. 2019, Cordova, Rv. 276167; Sez. 1, Sentenza n. 4496 del 14/01/2008 Pansa, Rv. 239158, a proposito dello strumentale travisamento di dati nel loro nucleo essenziale).

Anche in materia di diffamazione a mezzo stampa - nel caso in esame comparabile anche con il contestato "altro mezzo di pubblicità" in quanto parte delle condotte in esame furono consumate a mezzo internet - si è ritenuto che il diritto di critica politica consentito, quello che trova fondamento nell'interesse all'informazione dell'opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici o pubblici amministratori, non deve comunque essere avulso da un nucleo di verità e non deve trascendere in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui (Sez. 5, n. 31263 del 14/09/2020, Capozza, Rv. 279909); in sostanza l'esercizio della critica non può trascendere in attacchi ad personam, finalizzati solo ad aggredire la sfera morale altrui, non richiedendosi neppure - a differenza di quanto si verifica con riguardo al diritto di cronaca - che la critica sia formulata con riferimento a precisi dati fattuali, sempre che, come già evidenziato, il nucleo ed il profilo essenziale dei fatti non siano strumentalmente travisati e manipolati, come già evidenziato (Sez. 5, n. 11662 del 06/02/2007, Iannuzzi, Rv. 236362; Sez. 5, n. 19334 del 05/03/2004, Giacalone, Rv. 227754).

Si è aggiunto che il rispetto della verità del fatto assume, in riferimento all'esercizio del diritto di critica politica, un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor più quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016, dep. 2017, Volpe, Rv. 270284; Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, dep. 2011, Simeone, Rv. 249239; Sez. 5, n. 49570 del 23/09/2014 Natuzzi, Rv. 261340); in tal caso, però, il limite immanente all'esercizio del diritto di critica è, pertanto, essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l'utilizzo di "argumenta ad hominem" (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, dep. 2011, Simeone, Rv. 249239).

6. E bene nel caso di specie, la Corte di appello ha fatto buon governo di tali principi, rilevando come il nucleo essenziale dei fatti dai quali prende le mosse l'esercizio del diritto di critica da parte di D.M. è sostanzialmente frutto di travisamento e di manipolazione, in quanto attribuisce al circolo e ai soci attività di inneggiamento, vale a dire, letteralmente, di esaltazione e celebrazione di pratiche di pedofilia, di necrofilia e di coprofagia, che non hanno trovato però alcun riscontro nella realtà, all'esito dell'istruttoria dibattimentale.

Correttamente sono stati ritenuti attacchi gratuiti quelli dell'imputata, perché privi di una base di verità storica, fondati su un sillogismo che i Giudici del merito congruamente hanno rilevato fallace, vale a dire che l'intitolazione del circolo a M.M. comprovasse che il circolo stesso e i suoi soci si adoperassero quali apologeti delle condotte di pedofilia, necrofilia e coprofagia.

Una critica corretta - osservano in modo non manifestamente illogico i Giudici del merito - avrebbe dovuto partire dalla verità dei fatti, cioè dal pensiero di M. , che nel suo libro trattava tali temi, per giungere a contestare l'opportunità dell'intitolazione del circolo e dei finanziamenti pubblici allo stesso. Invece, il sillogismo fallace che D.M. opera fra l'intitolazione e la circostanza che il circolo e i soci promuovessero le predette pratiche, risulta lesivo della dignità dei destinatari delle accuse.

Correttamente i Giudici di merito, in particolare il Tribunale con adesione della Corte territoriale, escludono quindi che possa trarsi dalla intitolazione del circolo a M. l'accettazione dell'intero pensiero dello stesso, per altro ignoto alla pluralità di consociati, cosicché le censure mosse con i motivi in esame appaiono del tutto infondate.

Non sono state valutate contributo al dibattito pubblico, requisito indispensabile di una società democratica, le affermazioni della D.M. , correttamente ritenute invece dalla Corte di appello, e prima dal Tribunale di Torino, accuse calunniose rivolte ai soci del circolo e al circolo medesimo, come rappresentativo degli stessi, avendo ad oggetto la consumazione di reati (istigazione alle pratiche di pedofilia - art. 414-bis c.p.; istigazione al vilipendio di cadavere - artt. 414,410, comma 2, c.p.) o la promozione di pratiche (non comprovate) e comunque connotate da un forte disvalore sociale, contrarie all'igiene e al buon costume, nella percezione comune espressive anche di manifestazioni patologiche di carattere psichiatrico.

Pertanto le censure, rivolte dalla difesa della ricorrente per omessa valutazione dei motivi di appello, sono infondate, in quanto la Corte ricostruisce l'iter motivazionale della sentenza di primo grado, evidenzia come i motivi di appello non siano pertinenti rispetto a quella motivazione, comunque rendendo motivazione non apparente e rilevando anche un deficit di continenza della critica, già riscontrata dal primo giudice.

D'altro canto, nell'esercizio del diritto di critica è ben possibile l'uso di espressioni provocatorie o forti, ma a patto che siano bilanciate dalla verità della base fattuale nel suo nucleo fondante, il che non è nel caso in esame: pertanto le accuse di inneggiamento alla pedofilia, necrofilia e coprofagia risultano esorbitare anche dal parametro della continenza, come osservano i Giudici del merito, avendo D.M. utilizzato espressioni lesive della dignità e della reputazione del circolo e dei soci, dirette a colpire l'ente e le persone che vi aderiscono.

Quanto, poi, alla censura in ordine alla contraddittorietà della motivazione, in quanto C. aveva definito M. una "pietra miliare" per la vita del circolo, salvo poi ridimensionarne i(rilievo in altra parte della deposizione, a ben vedere la censura non è specifica, non consentendo una analisi della complessiva deposizione del C. , tanto più che si verte in tema di interpretazione delle emergenze probatorie, non sindacabile in questa sede, se non nella forma del travisamento non dedotto.

D'altro canto, come evidenziato, la censura viene sostanzialmente mossa alla deposizione di C. , che risulterebbe in sé contraddittoria, e non alla sentenza impugnata. Ma il ricorso per cassazione deve concernere il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. Ciò che si chiede, invece, è una inammissibile rilettura degli elementi ricostruttivi del fatto ed una rivalutazione nel merito della sentenza non consentite (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 vedi anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).

Analogamente, in ordine alle dichiarazioni rese da D.M. nel corso dell'istruttoria, la Corte di appello fa proprie le valutazioni del Tribunale, che a sua volta aveva valutato in pienezza la tesi di D.M. , che negava di aver accusato di pedofilia il circolo e i suoi soci, concentrando le critiche sul M. e le sue teorie.

Ma si tratta, anche in questo caso, di una tesi che viene disattesa dai Giudici di merito in modo non manifestamente illogico, a fronte dell'evidente diversità fra la versione dibattimentale e le espressioni rifluite nell'imputazione.

La censura, in vero generica, in ordine alla omessa motivazione del dolo, non si confronta per un verso con la congrua motivazione del Tribunale (foll. 16 e 17), alla quale rinvia la Corte di appello, e per altro con la circostanza che l'atto di appello non si connotava per una censura specifica sul punto dell'elemento soggettivo del delitto di diffamazione, cosicché il motivo è precluso.

D'altro canto, corretto è il riferimento al principio, richiamato dal Tribunale, per cui in tema di diffamazione, ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo, è sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, e che comunque implica l'uso consapevole, da parte dell'agente, di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere (Sez. 5, n. 8419 del 16/10/2013, dep. 2014, Verratti, Rv. 258943 - 01).

Anche il motivo in ordine al mancato riconoscimento della invocata scriminante del diritto di critica nella forma putativa - per quanto non oggetto di motivo di appello, quindi censura preclusa in questa sede - richiederebbe che l'imputata abbia posto in essere la condotta diffamatoria con ragionevole e giustificabile convinzione della veridicità dei fatti denunciati, lesivi dell'altrui reputazione, anche se di essa non sussiste certezza processuale (Sez. 5, n. 21145 del 18/04/2019, Olivieri, Rv. 275554 - 01).

Ciò non accade nel caso in esame, in quanto non assume valenza esimente la verità putativa, cioè solo supposta del fatto diffamatorio, senza previa acquisizione, attraverso le opportune verifiche e controlli, della certezza dell'effettiva sussistenza dei fatti denunciati, verifiche mai operate dalla D.M. (Sez. 5, Sentenza n. 11199 del 11/08/1998, Mattana Rv. 212131 - 01).

Pertanto, i motivi ora esaminati sono complessivamente infondati.

7. Il sesto motivo non è consentito.

La condanna al pagamento della provvisionale non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (tra le altre Sez. 2, n. 49016 del 06/11/2014, Patricola, Rv. 261054). Per altro, in tema di provvisionale, la determinazione della somma assegnata è riservata insindacabilmente al giudice di merito, che non ha neppure l'obbligo di espressa motivazione quando, come nella specie, l'importo rientri nell'ambito del danno ritenuto prevedibile (Sez. 5, n. 12762 del 14/10/2016 dep. 2017, Ottaviano, Rv. 269704).

8. Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente.

Inoltre, l'imputata va condannata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.686,00 oltre accessori di legge.